Quello che non so di lei (2017) e quel che so di Polanski

Non so quale questione in sospeso abbia Roman Polanski con i ghostwriter, se abbia avuto qualche brutta esperienza o semplicemente trovi intrigante l’argomento – proprio come lo trovo io – ma riesce sempre a scovare le storie peggiori da portare in video, storie cioè che ancora si salvano su carta, ma a raccontarle per immagini danno il peggio di sé.
Riponevo molta fiducia in Quello che non so di lei (D’après une histoire vraie, nei cinema italiani dal 1° marzo 2018), tanto che alla sua uscita mi sono subito andato a leggere il romanzo originale, rimanendone delusissimo: il film – in DVD e Blu-ray 01 Distribution dal 12 luglio 2018 – rispecchia perfettamente il romanzo. Cioè è deludente.

Ma… il film è prodotto dalla Weyland-Yutani?

Polanski ci aveva già provato a raccontare una storia di ghostwriter che spaziasse fra le varie accezioni del termine, con lo straordinariamente supponente film L’uomo nell’ombra, curioso titolo italiano del più semplice The Ghost Writer (2010), con uno spazio fra il “fantasma” e lo “scrittore” che faceva cascare l’occhio a forza di strizzarlo.
In quel caso il regista e sceneggiatore aveva sotto mano un corposo romanzo di Robert Harris – che in alcuni casi ha ricopiato parola per parola – che però aveva un’idea di fondo che forse potrà sembrare sconvolgente per gli anglofoni ma non certo per noi italiani: sapevate che, tremo solo a scriverlo, ci sono dei politici… che non sono proprio onesti? Lo so, è impossibile a crederci, eppure l’esplosivo e stupefacente assunto del film è l’esistenza di un politico che non abbia lavorato esclusivamente per il bene dei propri elettori. Mado’, mi tremano le mani a scriverlo…
Spero non si offenderà Polanski se dico che lui ha qualche scheletruccio nell’armadio uno zinzinino più rilevante di un politico men che onesto, quindi che metta tanta enfasi in una storia del genere è un po’ sorprendente: almeno il romanzo di Harris è scritto così bene che quando rimani deluso e vorresti picchiare l’autore con il libro stesso almeno ti è rimasta un’ottima lettura nel cuore. Il film è solo sbadiglio contro sbadiglio.

Cin cin a tutti gli scrittori fantasma

Dopo il traballante Carnage (2011) – una roba di maniera che stupisce trovare diretta dallo stesso regista di Cul de sac (1966) e La morte e la fanciulla (1994), cioè giochi al massacro fra personaggi in spazi ristretti parecchio meglio riusciti – Polanski sembrava tornato in forma con l’ottimo Venere in pelliccia (2013), a parte qualche marchetta pagata allo pseudo-femminismo imperante. Contavo molto che Quello che non so di lei, presentato al Festival di Cannes il 27 maggio 2017, fosse il passo successivo nella rinascita del regista, invece si ricade parecchio più giù, mangiandosi tutti i gradini saliti.

Dopo il grande successo del romanzo pseudo-biografico Niente si oppone alla notte (Rien ne s’oppose à la nuit, 2011), la scrittrice francese Delphine de Vigan ha avuto un lungo momento di “crisi della pagina bianca” e solamente dopo qualche anno è uscito il suo romanzo successivo: Da una storia vera (D’après une histoire vraie, 2015), edito in Italia da Mondadori nel 2016 e ristampato negli Oscar Mondadori.
L’autrice decide di raccontare tutto ciò che ha vissuto, la sua crisi personale e professionale, trasformandola di nuovo in un romanzo pseudo-biografico, dove cioè veri eventi di vita vissuta si intrecciano con artifici letterari. Il risultato non mi sento di definirlo riuscito, perché l’impianto del romanzo non è omogeneo e le due parti che lo compongono sono di qualità abissalmente diversa.

La parte più “vera” del romanzo, quella cioè in cui l’autrice racconta il disagio di una scrittrice che ha dato tutto e un attimo dopo vogliono che dia altro, quando in realtà non c’è più nulla, la considero ben riuscita e arriva al lettore: in fondo è basilarmente il racconto di una persona che non riesce ad essere come tutti vogliono che sia. Tutti vogliono che Delphine de Vigan scriva un altro grande romanzo ma lei non ha più nulla da scrivere, oltre a dover ancora fare i conti con la figura della madre che ha trasfigurato per il precedente romanzo. Come dicevo, questa parte del libro mi è piaciuta.

«Quel libro rappresentava un traguardo, una conclusione. O piuttosto un limite invalicabile, un confine al di là del quale non si poteva andare, o almeno non io. Dopo, era il nulla.»
(traduzione di Elena Cappellini)

La versione filmica del vero romanzo Niente si oppone alla notte (2011)

Poi però c’è la parte thriller, c’è la parte in cui l’autrice vorrebbe inserire il “mistero”… ma non stiamo parlando di un’autrice di thriller. Quando entra in scena la misteriosa amica L. che nessuno vede tranne l’autrice, una donna sibillina che di mestiere fa parlare le sconosciute per poi scrivere libri al posto loro… be’, non serve Nostradamus per capire dove stia andando la storia, eppure alla protagonista servono 300 lunghissime pagine per scoprirlo!

«Probabilmente L. si è insinuata nella mia vita con il mio consenso. A poco a poco, mi sono lasciata influenzare.»

Il rapporto fra la protagonista del romanzo e la misteriosa L. è talmente banale e scontato che per forza deve nascondere qualcos’altro, che per forza l’autrice ci sta ingannando per poi uscirsene con un colpone di scena che… No, nessun colpo di scena: il primo pensiero che viene in mente appena L. entra in scena è esattamente quello giusto. A che servono dunque 300 pagine di chiacchiericcio? È come quando in un film horror entra in scena l’attore nero: sarà una sorpresa scoprire che morirà?

La versione filmica di Delphine de Vigan

L. di professione fa la ghostwriter, fa parlare le persone, entra pian piano nelle loro vite, si fa raccontare ogni aspetto del loro intimo senza mai farsi accorgere o fare rumore, le manipola finché poi non scrive un libro come le persone in questione non saprebbero mai fare. No, non vi ho rivelato la fine della storia, bensì l’inizio: è così che si presenta L., facendo cioè quello che faceva il protagonista de L’uomo nell’ombra e facendo quello che fanno tutti i ghostwriter, solo che la de Vigan l’ha scoperto ora. E quello che segue è talmente ovvio e immaginabile che non mi serve rivelarvi il finale: l’avete già capito.
Visto che, come detto, nel 2010 Polanski ha fatto un film proprio su uno “scrittore fantasma”, che si insinua nella vita di un politico fino a carpirne ogni segreto, non lo si può definire uno che candidamente abbia scoperto ora l’argomento – come appare la romanziera francese – quindi insieme ad Olivier Assayas ora modificherà la trama del romanzo, renderà più vera L. invece di una macchietta e tirerà fuori una di quelle storie potenti che… No, niente di tutto questo. Proprio come il precedente film si limita a ricopiare il romanzo, inserendo pure i numeri di pagina e le macchie di stampa…

L’autrice che non sa più scrivere e la ghostwriter che scrive per altri: chissà che colpo di scena…

La sempre brava Emmanuelle Seigner in Polanski si cala nel ruolo di Delphine Dayrieux, autrice del grande romanzo di successo Vienne la nuit con la madre protagonista – personaggio secondario trattato malissimo e che denota la totale pigrizia della sceneggiatura – che ad un evento di firma-copie incontra un alieno, un essere mellifluo proveniente da un lontano pianeta e che cerca, senza riuscirci, di imitare le fattezze umane.
Perché non posso credere che Eva Green sia un essere umano vivente, data la sua totale impossibilità a comportarsi come un essere umano: è un cartonato che sta lì, fermo, a fissa il vuoto, e ogni tanto arriva Polanski a spostarlo di scena in scena.

La falsissima espressione che quel pesce morto di Eva Green ha per tutto il film

Con i suoi occhi da pesce morto sdraiato sul bancone del mercato, Eva Green è L., ma nel film mica possiamo usare una lettera puntata: così diventa Elle, per Elizabeth, e il gioco di parole è rispettato. Sì, perché il grande colpo di genio della de Vigan è che questa donna misteriosa si chiama con un nome che si pronuncia come “Lei”, così da rimanere anonima e quando la scrittrice si lamenta con familiari ed amici che “lei” le sta rubando la vita, tutti dicono «ma lei chi?» Che trovata geniale, roba nuova, tipo uno che volesse accecare un gigante ma prima gli dica di chiamarsi Nessuno, così quando il gigante vada a lamentarsi si ritrovi a dire «Nessuno mi ha ferito».
Il doppiaggio italiano non può ovviamente lasciare il nome Elle, non si capirebbe il gioco di parole, e giustamente ribattezza il personaggio Lei. Ma per cosa sta Lei? Qui il direttore del doppiaggio si ricorda della scelta di Mario Maldesi su Star Wars e così il personaggio si chiama Lei… come diminutivo di Leila!

Salve, sembro un’umana ma non lo sono: sono Eva Green detta Lei

Quello che inizia è una scontata scontatezza che ferisce gli occhi e fa male al cuore: ma è davvero Roman Polanski quello che sta dirigendo e sceneggiando ’sta roba? Forse dev’esserci un momento in cui i grandi del cinema vanno fermati e messi in pensione coatta: non puoi fotterti cinquant’anni di onorata carriera così, non è giusto…
Piccoli virtuosismi visivi, del tutto inutili, cercano disperatamente di salvare un prodotto che ha la stessa qualità (e odore) di un pesce morto sul banco del mercato, come testimoniano gli occhi finti di Eva Green. Che evidentemente è una modella, non un attrice: sta lì, ferma, morta, con un’espressione falsa come Giuda sulla faccia, in attesa che il fotografo scatti. Solo che la cinepresa non fa flash e quindi non capisce quando la scena è finita: per tutto il film la mefitica attrice ha lo sguardo immobile in attesa che qualcuno finalmente faccia “click”. Devastante oltre ogni immaginazione.

Oh, quando arriva il “click” della foto?

Non c’è empatia, non c’è passione, i personaggi sono buttati per terra come uno straccio bagnato e hanno la stessa gradevolezza, nulla ci viene spiegato e anzi continuano a prenderci in giro facendo finta ad un certo punto che sia la romanziera a voler spiare di nascosto la vita dell’amica “fantasma”, che nessuno vede. Uhh, che mistero, una scrittrice che nessuno vede, una “scrittrice fantasma”, una ghostwriter, una che ruba le vite per migliorarle nella narrativa, uhhh che colponi di scena che proprio nessuno si potrebbe mai aspettare, a meno che non abbia mai letto un romanzo o visto un film in vita sua…

Il cartonato messo in modalità “thriller”

Noia e fastidio sono compagni fedeli del film, quando almeno il romanzo ha una buona scrittura – sebbene 300 pagine per descrivere l’ovvio siano una prova ben dura – quindi Polanski una volta di più si dimostra finito e anzi impegnato a zapparsi i piedi con grande lena: per favore, qualcuno può allontanarlo dai set? Perché non scrive un libro? Perché non tiene corsi di cinema? Perché non gioca a bocce? Qualsiasi cosa, ma non fategli più fare film, per favore.

L.

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17 risposte a Quello che non so di lei (2017) e quel che so di Polanski

  1. Zio Portillo ha detto:

    Mi dispiace per Polanski per il quale nutro un amore/odio che sfocia oltre il Polanski regista e arriva fino all’uomo. Se da un lato provo una compassione infinita per ciò che Manson fece a suo moglie e a suo figlio, dall’altro lo disprezzo con tutto me stesso per quanto fece alla ragazzina a casa di Nicholson. Come regista stiamo sulla stessa lunghezza d’onda: amo alla follia alcune sue pellicole mentre per altre lo prenderei a schiaffoni forti.
    Qua mi pare di capire che siamo dalla parte degli schiaffi. Ovviamente vedrò di recuperarlo pur sapendo che mi farò del male e che rimpiangerò il Polanski che fu.

    Capitolo Eva Green. Mai piaciuta. Nemmeno quando Bertolucci la faceva passare per la Venere e tutti andavano giù di testa per lei. Nemmeno quando copulava feroce nel bislacco seguito di “300” o faceva uscire pazza mezza “Sin City” (altro seguito evitabile). Come donna mi ha sempre inquietato… Sguardo da pazza, zigomi pronunciati, sangue agli occhi. No, grazie. Ve la lascio tranquillamente, ho gusti differenti. Ah, pure come attrice non mi pare questa gran cosa. Salvo solo il suo ruolo di Vesper nello 007 tamarrissimo e meraviglioso con Craig (“Casino Royal”). Ce ne sono di peggio, ovviamente, ma pure molte che sanno fare meglio. Mediocre.

    N.B.: prima che piovano critiche, la Green è una bellissima donna eh, sia chiaro. Ma non è tra le mie preferite, anzi.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Sicuramente la Green è una bella donna ma essendo incapace di comportarsi come un essere umano non riesco a provare alcun trasporto. Per fortuna non seguo né 300 né Sin City né Bertolucci né Pennyful Dread quindi mi sono sempre evitato la sgradevole esperienza di vederla recitare. Quel ruolo in 007 l’avevo del tutto rimosso, pensa quanto m’ha colpito 😀
      Comunque non la chiamerei attrice: è una modella, un manichino, sta lì a guardare il vuoto in attesa di istruzioni, quindi è proprio la persona sbagliata da chiamare in un ruolo come questo, in un film che dovrebbe basarsi sulla sottigliezza.

      Io divido sempre le persone dagli artisti: ci sono grandissimi artisti che sono persone spregevoli (anche senza arrivare agli estremi di Roman): parliamo di un ambiente, quello del cinema, dove il tasso di alcolizzati, tossicodipendenti, stupratori e picchiatori è parecchio altino, quindi se giudicassimo registi e attori come persone dovremmo smettere con il cinema! 😀
      Questo per dire che la mia stima per Polanski è esclusivamente filmica, perché ha creato tanti capolavori con relativi inciampi. Solo che da anni fa solo inciampi, quindi dopo 50 anni di carriera forse è il caso di fermarsi: perché non scrive una bella biografia? Invece di far parlare i critici, perché non ci racconta lui i suoi film, invece di farne di pessimi? Possibile non abbia dei risparmi da parte per andare in pensione? Va be’ che a questi i soldi durano un attimo…

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      • Zio Portillo ha detto:

        Scindere attori, registi, scrittori,… dalle loro vite vere a ciò che interpretano, scrivono o dirigono è cosa buona e giusta. Andrebbe fatto sempre anche se ci sono casi così estremi che la scissione mi risulta alquanto complicata. Penso proprio a Polanski o ad Allen. Due nomi a caso, i primi che mi sono venuti in mente. Ambedue hanno vite vere che inevitabilmente si intersecano con la loro vita professionale e la differenziazione tra “uomo” e “professionista” mi risulta più complicata.

        Casualmente sono anche due grandissimi che però si sarebbero dovuti ritirare da qualche tempo visto che sono diventati pallide imitazioni di ciò che erano.

        P.S.: Lucius, mi sa che sta settimana ci siamo solo noi due…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Pochi ma buoni 😀
        Certo, paragonare Allen a Polanski è esagerato, ma ogni autore dello spettacolo ha una vita che è meglio ignorare, fermandosi a ciò che produce.

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    • Conte Gracula ha detto:

      A me non piace granché nemmeno come donna, la trovo un po’… uoma, diciamo.

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  2. Conte Gracula ha detto:

    Caro Lucius, sono rimasto scioccato dal fatto che potrebbero esistere… oddio, mi sento male… politici disonesti. Come è possibile? Pensavo fossero solo persone di specchiata virtù, anime così limpide da essere trasparenti…

    Comunque, spettacolare l’artificio di L./elle, ma ancora più spettacolare la soluzione italiana di Lei/Leila, che nemmeno fa più funzionare il trucco di Ulisse XD
    Ma è un thriller per bambini delle elementari? ^^

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Guarda, più andava avanti la visione più la mascella cadeva in basso: già il libro è quello che è, banalissimo e scontatissimo, ma con una fiacchissima regia diventa davvero un prodotto per l’infanzia. Anche se temo nessun bambino cadrebbe nelle imbarazzanti “trappole” della sceneggiatura.
      Visto che già Polanski aveva trattato (male) l’argomento, con un film che almeno era di fattura migliore, poteva evitarsi di tornare ad affrontare i ghostwriter con un testo ancora meno efficace del precedente. La prossima volta farà un film sul Fantasma Formaggino Scrittore 😀

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  3. Cassidy ha detto:

    Beh direi che ti è piaciuto questo film 😉 Scherzi a parte, mi ripeto che dovrei vederlo, perché ho visto quasi tutti i film di Polanski, però mi puzza davvero troppo di fregatura, mi hai confermato che ogni tanto il mio “Senso di Cassidy” ancora ci azzecca. “Venere in pelliccia” era bellissimo, a differenza di “L’uomo nell’ombra” un lungo sbadiglio tra i titoli di testa e quelli di coda, quindi non o fretta di recuperare questo film, mi basta il tuo ottimo post 😉 Questione “Eva Verde” la trovo bellissima, peccato che poi i film dove recita siano sempre poca roba, ho apprezzato “The Dreamers” ma non è tra i miei Bertolucci preferiti, scorrendo la filmografia di Eva Green non trovo un film che mi fa pensare, ecco sì, quello merita, forse solo il western “The Salvation”, dove guarda caso, la nostra faceva la parte di una muta, e recitava solo con quegli splendidi occhioni, sarà un caso? Non ho mai visto “Camelot” (che potrebbe piacermi), in “Penny Dreadful” era brava si, ma dopo quattro puntate non ho mai più avuto voglia di vedere la quinta, insomma so che ha molto ammiratori, la trovo molto bella, non la trovo anche molto brava, quello no. Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Caso vuole che mi sono in pratica perso ogni suo film, e quando l’ho vista poi l’ho dimenticata. O tipo nel film Burton, quello coi bimbi-mostro, faceva giusto una inutile comparsata. Diciamo che non la inseguo 😛

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  4. Giuseppe ha detto:

    A me piacciono entrambe, Emmanuelle Seigner e Eva Green (stupenda, poi, in Penny Dreadful), ma temo proprio che in questo film non si salvi davvero nessuno, a prescindere dalla recitazione: è proprio l’argomento trattato ad essere “storia vecchia” e risaputa, e il come lo si tratta nel passaggio da cartaceo a filmico riesce tanto a darmi l’idea che non interessi più nemmeno allo stesso Polanski (che, probabilmente, aveva già sparato tutte le sue cartucce a riguardo con The ghost writer) 😦 Lo recupererò, comunque, ma SENZA nessuna fretta…

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  5. Pietro Sabatelli ha detto:

    Dubito che mi piacerà…tuttavia non si può rinunciare ad Eva 😉

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  6. Cristiana ha detto:

    Concordo che The Ghost Writer faceva addormentare… Ma come si fa a dire di no a Eva?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      So che Eva scalda molti animi, ma non certo per le sue (assenti) doti recitative, forse per il suo sguardo magnetico: se però passa l’intero film a fare due soli sguardi, mette a dura prova la mia comprensione del suo “fascino”. 😛

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