La vergine di Dunwich (1970) Lovecraft, l’infilmabile

Squadra che perde non si cambia: la AIP ha fallito nel portare Lovecraft al cinema in generale, e in particolare ha toppato con la regia di Daniel Haller, che ha firmato La morte dall’occhio di cristallo (1965), perché allora… non riprovarci? Magari stavolta Haller parte meglio, anche perché ora c’è Roger Corman alla produzione ma soprattutto c’è Sandra Dee.

«Look at me, I’m Sandra Dee
Lousy with virginity
Won’t go to bed
Till I’m legally wed
I can’t, I’m Sandra Dee
»
da “Grease”, 1978

Già negli anni Settanta gli americani prendevano in giro la fidanzatina d’America, la vergine più vergine tra le vergini, che infatti – come recita la divertente canzone delle liceali di Grease – non va a letto prima di essere legalmente sposata: semplicemente non può. È Sandra Dee.
I giovani d’oggi temo non la conoscano, ma ancora negli anni Ottanta in cui il giovane Etrusco non poteva scegliere i film in TV la Dee imperversava sulla RAI. Filmetti romantichelli anni Sessanta la cui innocenza sfidava il buon gusto, ma funzionavano e ricordo che li trovavo divertenti. In fondo ero innocente anch’io.

E se prendessimo l’innocentina d’America e la facessimo diventare la nuova Rosemary?


Lovecraft, l’infilmabile

«Another One Bites the Dust.»
Queen, 1980

«Another originally superb Lovecraft story bites the dust
“Castle of Frankenstein” n. 16 (luglio 1971)

Gli anni Novanta si aprono con un rinnovato interesse per Lovecraft, forti anche dei festeggiamenti del centenario della sua nascita, ma bisogna anche fare i conti con il passato. Sul numero 106 (settembre 1991) della rivista specialistica “Fangoria” il sempre attento Will Murray riassume per i nuovi fan tutti i tentativi che il cinema ha fatto per portare l’autore di Providence sullo schermo, e l’articolo si intitola in modo illuminante “Lovecraft: l’inadattabile?” (The unadaptable).
Può il medium cinema ricreare le atmosfere nate dal medium letterario? Fino agli anni Settanta, la risposta è un secco no.

Murray racconta di quando Lovecraft, malgrado fosse sempre bisognoso di soldi, rifiutò l’offerta di vendere i diritti di Dreams in the Witch-House per un adattamento, e al produttore rispose che era impossibile trasformare un racconto di sottile inquietudine senza «un irreparabile impoverimento e la perdita di tutta la sua forza». Mai HPL avrebbe concesso ad un altro medium di svilire la sua opera: se avesse saputo che brutta fine avrebbe fatto, la sua opera…
Passata in rassegna la produzione cinematografica lovecraftiana degli anni Sessanta – che abbiamo già incontrato – Murray arriva all’ultimo film della AIP dedicato alle opere dello scrittore di Providence: The Dunwich Horror.

Uscito nelle sale americane il 14 gennaio 1970 (secondo IMDb), solamente il 30 luglio 1976 arriva sul tavolo della censura italiana, probabilmente perché nel frattempo la passione dell’occulto aveva “colpito” forte anche l’Italia. Il 2 agosto successivo il film riceve il visto con il divieto ai minori di 14 anni.
Esce nelle nostre sale almeno dal 15 ottobre 1977 con il titolo La vergine di Dunwich (al singolare). Subito scomparso e inedito in home video, riappare solo nel 2013 quando la Sinister Film (Cecchi Gori) lo presenta in DVD ribattezzandolo Le vergini di Dunwich (non si sa perché, visto che ce n’è solo una nella vicenda), ristampandolo nel 2019.

Un film praticamente ignoto al grande pubblico italiano

Da sabato 22 dicembre 1979 inizia la sua breve vita televisiva su piccoli canali locali. Lunedì 9 luglio 1990 il film appare in seconda serata addirittura su Odeon TV, quindi a sorpresa questo… è uno degli Eroi di Odeon!


Il film

Il dottor Henry Armitage (il noto caratterista Ed Begley) esce dalla sua lezione universitaria osannato dai suoi alunni: e che lezione avrà tenuto mai? Quale sarà il suo segreto? «E ora, se per favore riportate il Necronomicon in biblioteca…» Ah, ecco qual è il segreto!
Vuoi vedere che come il futuro Lovecraft-Combs di Necronomicon (1993) sta copiando tutto dal Libro della Legge dei Morti?

Quale professore non gira con il Necronomicon sotto il braccio?

Due occhi crudeli seguono il professore ma soprattutto il volume misterioso: gli occhi del giovane, riccioluto e baffuto Dean Stockwell, eterna carogna al cinema.

Quell’eterna carogna di Dean Stockwell

Seguendo le direttive del dottor Armitage, Nancy Wagner (Sandra Dee) rimette a posto il Necronomicon nella sua vetrina: malgrado ci venga ben specificato che si tratti di un libro raro e senza prezzo, sta lì all’entrata della biblioteca universitaria, che chiunque può prenderlo.

Mi raccomando, massima segretezza!

Infatti arriva l’infame Wilbur  Whateley (il citato Dean Stockwell) e… Aspetta, Whateley? Sarà parente degli Witley de La morte dall’occhio di cristallo (1965) e degli Whateley de La porta sbarrata (1967)? Ammazza che fantasia alla AIP! Comunque Wilbur convince Nancy guardandola fissa fissa negli occhi a darle il librone, e appena aperto con mani vogliose comincia a recitare:

«Yog-Sothoth è il cancello dove si incontrano le sfere: solo pochi privilegiati possono moltiplicarsi e aprirlo. Yog-Sothoth è la chiave e da quel cancello aperto torneranno gli Anziani [Old Ones], e sarà allo stesso istante passato, presente e futuro. E gli Anziani avanzeranno invisibili [l’audio italiano fa così schifo che non si capisce oltre]»

Dunque Yog-Sothoth è il portiere di un ospizio a cui girano le sfere, perché ci sono tutti questi anziani che aprono il cancello e vogliono uscire: ’ndo vanno, tutti ’sti vecchi?
Scherzi a parte, la dabbenaggine di questo film è così palese, che a trenta secondi dall’inizio già sta sputazzando in giro roba presa a caso per ingannare gli spettatori esattamente come faceva la Strega Lavigna col suo segreto nero: fingere di parlare di satanismo dopo l’enorme successo di Rosemary’s Baby (1968), senza però avere la benché minima idea di cosa sia il satanismo.
Mentre in video Wilbur snocciola una citazione dal The Dunwich Horror (1929) di Lovecraft, appena ristampato dalla Arkham House di August Derleth (probabilmente a ridosso dell’uscita del film), intanto passano scene di supposte messe nere – o meglio, supposte nere messe agli spettatori – nel tentativo di evocare immagini inquietanti che non sembrano aver funzionato, visto il disprezzo che il film ha raccolto sin dalla sua uscita.

Il mio tessssssoro

Wilbur esce fuori essere un discendente di uno degli Whateley di cui il dottor Armitage studia la vita, così tramite questa nuova amicizia il giovane chiede gli venga dato ancora il Necronomicon:

«Io studio scienze occulte, e quel libro per me è una Bibbia.»

È chiaro che il film voglia spingere parecchio sulla nuova moda dell’occultismo, anche se è ancora un po’ troppo presto: avesse aspettato tre anni, con l’uscita de L’Esorcista per me questo film… sarebbe parso normale! (Capito? “para normale”, sembrare normale… Va be’, a Dunwich hanno riso di più.)

«Anticamente si diceva che il libro apriva la porta ad un’altra dimensione, ad un’altra razza di esseri. Io non condivido queste credenze né le capisco a pieno.»

Venghi dotto’, venghi che tengo io la porta aperta. Se abbiamo la credenza? Ma certo, pure il settimino: venghi che li condividiamo.

«Comunque conosco abbastanza sull’argomento… per non riderne.»

Insomma, c’è poco da ridere, per dirla alla Verone, ma è irresistibile spernacchiare un testo grossolano che tenta di dire cose che non capisce a spettatori a cui non interessano.

Questo antichissimo Necronomicon ha una carta di un bianco sospetto, quasi moderno!

Quello che segue è il triste spettacolo del tentativo di fare un film satanico rifacendosi ad un vecchio racconto fantastico con sceneggiatori improvvisati che cercano di replicare Rosemary’s Baby.
Per motivi ignoti Nancy segue uno sconosciuto come Wilbur nella notte, lasciandosi guidare nella di lui casa e in giro per prati oscuri: è schiava del suo sguardo magnetico? Non si sa. Si sa solo che lui comincia a farle vivere esperienze che parono normali ma sono solo stupide. Perché nessuno ha idea di come siano fatte delle messe nere: saranno mica come il Circo Quagliarulo?

Il Circo Quagliarulo nello spettacolo “Messa nera con Sandra Dee”

Arrivati al Pozzo dei Rospi manco fossero Totò e Peppino che ingannano Titina, Wilbur guarda Nancy con la tipica espressione di uno… che sente i Grandi Antichi premere per uscire.

Nancy… lo vuoi vedere il mio Yog-Sothoth?

Scopriamo che Wilbur è figlio di Lavigna… ancora lei! Ma la AIP sta cercando di creare un universo narrativo? Com’è che non sento parlare di AIP mythology, con la Caduta degli Whateley e Lavigna de mammete?
Impossibile seguire la vicenda, appannati dalle risate grasse in faccia a Dean Stockwell e ai riti satanici che il povero attore ha dovuto improvvisare sul set: gli mancava solo l’antico rito dell’“Occhio malocchio, prezzemolo e finocchio” e poi li ha fatti tutti, ammorbandoci con lunghe scene di ridicolo scimmiottamento satanico.
Ma il capolavoro arriva nel rito finale, quando Sandra Dee cerca di alzare le proprie quotazioni mostrando quant’è sodo il suo corpo da ventottenne – e basta con la verginella! – mentre Wilbur segue il rito del Circo Quagliarulo, impilandole Necronomicon e un bicchiere sulla pancia. E Cthulhu… muto!

Non distogliete l’occhio dal bicchiere, siòri e siòri

La follia può partire: spostato il sacro libro misterioso in zona “segreto nero di Lavigna”, tenuto aperto tra le cosce in un sottilissimo e delicatissimo doppio senso, Wilbur può lanciare la sua invocazione:

YOG-SOTHOTH!!!!

ECCOMI!

L’abominio è completo: non sarà con un bang che Lovecraft abbandonerà il cinema, bensì con il Circo Quagliarulo.
«La più maligna entità dell’opera lovecraftiana, Yog-Sothoth, finalmente appare e sembra un anemone di mare», è il commento finale di Murray del citato articolo di “Fangoria”.

Ahò, e Yog-Sothoth pure io ma mica faccio tutto ’sto casino!


Conclusione

«Gli Anziani ritorneranno, perché io aprirò loro la porta.»
Wilbur Whateley

Sono contento che Wilbur sia un ragazzo a modo e beneducato, che apre la porta agli anziani, però la dabbenaggine con cui autori ignari trattano un argomento di cui non sanno nulla rivolgendosi ad un pubblico disinteressato non può che rendere caritatevole la fine di Lovecraft al cinema. Io la chiamerei eutanasia autoriale.

Come detto più volte, il vero interesse per Lovecraft nasce negli esoterici anni Settanta, in cui il satanismo e qualsiasi tipo di paranormale riscuote un interesse mai conosciuto prima. Non si parla più di pochi appassionati considerati “strani” dal pubblico generico, si parla dell’intera civiltà occidentale incuriosita da storie paranormali considerate spazzatura fino a poco tempo prima.
Il tempismo dei film della AIP è stato fatale: se fossero usciti qualche anno dopo, staremmo parlando di campioni di incasso e film di culto da studiare a scuola. Invece sono solo filmacci da dimenticare e già dimenticati. Ma davvero hanno perso per un soffio. Nel luglio 1974 la rivista “The Monster Times” pubblicizza una particolare iniziativa editoriale:

«Ricordate Boris Karloff nei panni della creatura mutata di Die, Monster, Die? O l’Orrore di Dunwich che minacciava l’eterna innocente Sandra Dee? Che ne dite di Carol Lynley come terrore sconosciuto dentro e fuori La porta sbarrata? Se avete ancora gli incubi per questi film, allora c’è una bella novità in libreria per voi.
I ragazzi della Ballantine Books, fornitori di alcuni dei migliori e più spaventosi racconti di terrore al mondo, hanno appena distribuito una serie di romanzi e racconti di H.P. Lovecraft in formato tascabile, della dimensione giusta sia per la tomba che per la cripta. Lovecraft era il maestro del terrore che ha scritto le storie originali diventate poi i succitati film spaventosi.»

E con “spaventosi” non si intende “che fanno paura per quanto sono brutti”. Come si vede, la lovecraft-mania è esplosa pochi anni dopo che la AIP ha provato a sdoganare l’autore al cinema, fallendo miseramente.

The Dunwich Horror è il film che chiude le porte del cinema a Lovecraft: ci si è provato, ma è andata male. Da questo momento il nome di HPL spunterà in qualche produzione televisiva e nei film horror italiani a cavallo fra Settanta e Ottanta, tutti rivalutati in seguito ma comunque ben poco lovecraftiani, e in pratica dovranno passare quindici anni prima che Lovecraft torni in vita al cinema.

Chi sarà mai ad aver… rianimato Lovecraft? Chissà…

L.

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25 risposte a La vergine di Dunwich (1970) Lovecraft, l’infilmabile

  1. armiere guns ha detto:

    Bravo!

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  2. Austin Dove ha detto:

    Sembrava interessante 🤷

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  3. Cassidy ha detto:

    Lavigna e il suo segreto nero stanno alla AIP come Iron Man ai film della Marvel insomma, il personaggio su cui tutto è stato basato 😉 Avevo delle cosette da dire su Stockwell e i suoi riccioli ma l’apparizione di Jim Carrey-Yog mi ha ucciso dal ridere, sul serio sono morto, davvero geniale! 😀 Cinque altissimo per la citazione iniziale a Grease! Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Nel marasma totale di una produzione che cerca di inscenare riti satanici, Stockwell si ritrova per tutto il film a compiere gesti ridicoli e senza alcun senso alla disperata ricerca di passare per giovane stregone evocatore del Maligno: spruzza terra in giro, agita coltelli, mugugna incantesimi… e alla fine si mette le mani alle orecchie in quel modo: sono morto! Invece del Maligno ha evocato Jim Carrey in “Scemo e più scemo” 😀
      Capisci che con le mani di Stockwell messe in quel modo non potevo resistere…

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  4. Il Moro ha detto:

    Beh, ho riso forte sulla scena della messa nera! Non credo però che sia il giusto effetto ricercato dal film…

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  5. Pietro Sabatelli ha detto:

    Ahah…che poi Jim Carrey fa più paura che ridere con quella smorfia 😀

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  6. Zio Portillo ha detto:

    Con Jim Carrey mi hai steso! Se domani impazzissi e decidessi di recuperare ‘sti film che hanno provato a adoganare HPL al cinema, credo che i tuoi post esilaranti sarebbero lo scoglio più duro da affrontare visto che la serietà che ci mettevano quelli della AIP è stata sbertucciata in modo definitivo.
    Ironico comunque che appena quelli della AIP hanno mollato il colpo, HPL è diventato di “dominio pubblico”. Tempismo perfetto!
    Vediamo se per lunedì prossimo riesco a recuperare il film in qualche maniera perché ammetto che non lo vedo da un sacco e lo ricordo pochino.


    … Toh! Ricerca veloce e si trova pure facilmente… Dai, non prometto nulla!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non prometto però che riuscirò ad affrontare Re-Animator per lunedì, è un titano che avrebbe bisogno di uno studio tale che onestamente temo di non garantire. Già sono rimasto indietrissimo coi Morti Viventi del venerdì. Quindi vai tranquillo che per altri Lovecraft mi sa che servirà più tempo 😉

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  7. Willy l'Orbo ha detto:

    Altro racconto letto, altro film non visto…e mi sa che va benissimo così! 🙂
    In ogni caso, dagli eroi di Odeon a Jim Carrey, mi hai provocato gioia e risate volontarie, non come quelle involontarie in cui è specializzata l’AIP! 🙂

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  8. SAM ha detto:

    Bè, è normale che Wilbur Whateley compaia ovunque, dato che è uno dei protagonisti de “l’orrore di Dunwich”.
    Come anche Armitage e Lavinia .
    Ho la sensazione che sia l’unico racconto che la AIP conosca di Lovecraft, visto che bene o male copiano sempre da li.

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  9. Giuseppe ha detto:

    “Nancy… lo vuoi vedere il mio Yog-Sothoth?”
    “Wilbur, smettila di continuare a fissarmi il Cthulhu!” 😛
    La cosa probabilmente davvero meno riuscita in questo film, parlandone da spettatore contemporaneo? Mettere satanismo spicciolo e il Solitario di Providence in un unico calderone quando lui con demoni ed esoterismi classici vari non ha mai avuto a che spartire, ottenendo il risultato di disorientare sia il pubblico lovecraftiano che vive le impacciate parti pseudo-sataniche come un intralcio, sia il pubblico “esoterico” più tradizionale che di demoniaco in senso stretto qui non trova proprio nulla (com’è ovvio che fosse: nel pantheon di Lovecraft per quel tipo di soprannaturale non c’è nessun posto). D’altra parte, l’autore non era ancora stato riscoperto a un punto tale da rischiare una maggiore fedeltà al racconto originale misconosciuto da tanti spettatori … e allora vai di improvvisazione, con Sandra Dee impegnata a dimenticarsi di essere Sandra Dee e con Dean Stockwell capace addirittura di anticipare Jim Carrey (ovviamente grazie a Yog-Sothoth che gli ha concesso di vedere il futuro) 😀

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      L’unica cosa satanica del film è la capacità della AIP di riproporre la stessa formula per la quarta volta quando era più che evidente che non avrebbe funzionato come tutte le altre volte. Possibile a nessuno dei produttori o degli autori è venuto in mente di provare qualcos’altro? Qualsiasi altra formula? Evidentemente no.

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      • Giuseppe ha detto:

        Contavano troppo su di un unico autore che alla fine, visti i risultati, non hanno dato grande prova di conoscere bene nemmeno loro (non tanto da riuscire a “venderlo” a un pubblico ancora tutto da svezzare, comunque): del resto, cominciare l’intera operazione con “La città dei mostri” nascondendo Lovecraft sotto il tappeto di Poe già qualcosa avrebbe dovuto farlo capire…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Non mi sento di condannare la scelta di aver usato male Lovecraft, era un autore sconosciuto che nessuno si filava di pezza da quarant’anni, eppure agli occhi della AIP era l’unico che avesse un’apparenza (fallace) di argomenti in qualche modo legati al satanismo che stava esplodendo. Con Poe non ci facevano niente, e se un autore famoso voleva rimanere famoso era meglio che all’epoca non affrontasse il Maligno nel modo in cui stava per esplodere dal 1968. Rimaneva solo HPL, anche se solo per vaga rassomiglianza.
        In mano ad uno sceneggiatore dignitoso anche una scopiazzata volante di HPL avrebbe potuto dare vita ad un film passabile, invece è evidente che la AIP abbia toppato di brutto: e non è un giudizio fuori tempo, dato nel 2020 di un film del 1970, visto che tutti sparano su questi film, dalla loro uscita in poi! Il non piacere proprio a nessuno è certo un risultato incredibile ^_^

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      • Giuseppe ha detto:

        A dirla tutta, un buon film dell’AIP con echi lovecraftiani ci sarebbe pure stato, se non fosse per il fatto che Lovecraft lì non veniva citato nemmeno di striscio: in “L’uomo dagli occhi a raggi X” la vista del dottor Xavier alla fine arriva a estendersi fin troppo oltre la realtà materiale e lui, piuttosto che continuare a vedere un qualcosa che nei racconti e nei romanzi di HPL non avrebbe sfigurato affatto, sceglie di accecarsi con le proprie stesse mani…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Mi stupisce il fatto che so di aver visto il film, ricordo benissimo Ray Milland ma non ne ricordo alcuna scena! Possibile non mi abbia lasciato memorie o sensazioni? Urge nuova visione…

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      • Conte Gracula ha detto:

        Ho il vago ricordo che vedesse così lontano da arrivare a descrivere un essere imprecisato al centro dell’universo. Lo descrive a una congregazione di Christian Reborb (sai, quelli che hanno il telepredicatore nel tendone, una roba così) e quelli lo convincono che sia il diavolo e piuttosto che continuare a contemplare il Demonio, sarebbe meglio andare in Paradiso da ciechi.

        Mi pare fosse quel film e in effetti, se non fosse una roba blanda buttata lì all’ultimo, sembrerebbe una citazione di Azathot (inserite voi le H giuste, so fare solo lo spelling di Cthulhu 😛 ).

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  10. Kukuviza ha detto:

    ahahahah mi sono spanciata! ma le messe nere con le piume azzurre in testa??? ma che è? veramente circo quagliarulo. Poi il pozzo dei rospi ha fatto il resto. Anche il necronomicon così in bella mostra con tanto di cartellino. Mi sembra i cervelli di Frankenstein Junior col cartello A.B.Normal.

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  11. Conte Gracula ha detto:

    L’orrore di Dunwich, con la povera Lavinia (o Lavigna, nel cinematic extended universe della AIP) si presterebbe a una storia di avvento del demonio, ma qui mi sa che hanno cannato alla grande, e cavoli, quel Jim Carrey cultista di Yog mi ha fatto davvero ridere XD

    La maggior parte dei racconti di Lovecraft ha il mostro che c’è, ma non si vede (al massimo, se ne parla nel finale) le qualità per farci un film a basso costo ci sarebbero, basterebbero luoghi suggestivi e interpreti carismatici e di media capacità per tradurre i trip del narratore interno do turno in immagini… invece, si va spesso sul folcloristico, con effetti speciali del discount e storie scritte da chi non conosce la materia nemmeno a livelli minimi.
    È un peccato – anche se le risate si sprecano.

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