Ray Harryhausen 2 – UFO e lucertoloni siciliani


Indice:


L’animazione è un dio crudele

Per diventare re dell’animazione serve tanto talento ma anche tanta fortuna, e per capire quanto Ray Harryhausen abbia avuto di entrambi penso sia importante aprire una piccola parentesi.

Il film Il re dell’Africa (1949) è l’unico a contenere una sorta di Trinità dell’animazione. C’è il decano Willis O’Brien e la giovane promessa Ray Harryhausen, assunto perché il suo lavoro era di gran lunga migliore rispetto a tutti gli altri animatori provinati, ma il lavoro è tanto, quello scimmione richiede un sacco di tempo, così viene assunto il danese Pete Peterson, anche lui una grande promessa dell’animazione a passo uno, purtroppo infranta.

Pete Peterson sul set de Il re dell’Africa

Il successo del film è l’occasione per tutti e tre gli animatori di risplendere, ma le cose non vanno così. Il 63enne O’Brien è ormai alla fine della corsa mentre Pete approfitta del nuovo lavoro per sposarsi e sua moglie muore di infarto tre mesi dopo le nozze. Ci vorrà tempo per tornare all’animazione.

Nel 1957 Jack Dietz, produttore de Il risveglio del dinosauro, vuole fare di nuovo uno di quei film pieni di mostri ma ormai Harryhausen sta volando per conto suo, in sodalizio con il produttore Charles Schneer, così Dietz si rivolge a O’Brien e Peterson, che lavorano nel garage di quest’ultimo. I due vivono un’ultima cavalcata lavorando insieme a Lo scorpione nero (1957), poi il decano e la nuova generazione escono di scena. Pete Peterson viene colpito da sclerosi multipla ma non perde le speranze perché le mani per animare gli funzionano… finché un cancro al fegato se lo porta via nel 1962. Due mesi dopo che già O’Brien era morto di infarto.
L’animazione a passo uno è un dio crudele, e per un Ray Harryhausen che porta alle stelle ce ne sono tanti che cadono nella polvere.

(La triste storia di Pete Peterson è raccontata da Paul Mandell nella rivista “Cinemagic” n. 28, senza data ma intorno al 1984).


La Terra contro i dischi volanti

Nell’estate del 1956 esce negli Stati Uniti Earth vs. the Flying Saucers di Fred F. Sears. Ricevuto il visto italiano il 13 settembre 1956, la CEIAD lo porta in sala solo dal 29 maggio 1957 con il titolo La Terra contro i dischi volanti.

Non ho trovato tracce di trasmissione televisiva. La Columbia TriStar lo porta in VHS nel 1997 ed è stato più volte ristampato in DVD, prima da Columbia-Sony poi da Sinister Films.

Quella forma mi è familiare…

Già ho ampiamente parlato del fenomeno UFO che ha colpito l’immaginario americano (e quindi italiano) dal 1947 in cui Kenneth Arnold avvistò degli oggetti che volavano come dei piatti lanciati in aria, e la stampa andò in brodo di giuggiole inventando il termine flying saucer, in italiano “piatti volanti” ma poi si è preferito il più dignitoso “dischi volanti”. In breve tempo il cinema è obbligato ad interessarsene perché è argomento che interessa una fetta enorme della popolazione, quindi è il momento che i “piatti” volino… con l’animazione di Ray Harryhausen.

E Indipendence Day… muto!

Il film non mi sembra degno di nota, è la solita storia degli alieni che vogliono invadere la Terra cominciando da Washington, e inseguendo gli umani uno ad uno, cespuglio per cespuglio, quindi mi sembrano innocui: impiegheranno mille anni a conquistarci, non mi preoccuperei più di tanto. Infatti il protagonista pensa più a fare il mollicone con la donna di turno che a difendere la Terra, ma per fortuna gli ultimi minuti ci regalano un po’ di interesse.

E George Washington… muto!

I dischi volanti cattivi prendono di mira i monumenti presidenziali americani, così Ray Harryhausen si mette a ricostruire minuziosamente celebri monumenti come l’obelisco dedicato a Washington e la cupolona del Campidoglio di Capitol Hill. Bravo Ray, di solito gli americani vanno a distruggere i monumenti altrui, ogni tanto tocchi pure a loro!

Pure er cuppolone!

A parte queste brevi animazioni onestamente è un film che non desta altro interesse, se non per lo studio su questi primi prodotti a veicolare l’UFO-mania dell’epoca.


A 30 milioni di Km dalla Terra

Esattamente un anno dopo l’asticella si alza di parecchio, perché esce 20 Million Miles to Earth di Nathan Juran. Ricevuto il visto italiano il 30 agosto 1957, la CEIAD lo porta in sala solo dal 21 aprile 1958 con il titolo A 30 milioni di Km dalla Terra.

Non ho trovato tracce di trasmissione televisiva. La Columbia TriStar lo porta in VHS nel 1997 ed è stato più volte ristampato in DVD, prima da Columbia-Sony poi da A&R Productions.

Anche i mostri venusiani hanno cominciato da piccoli

Di ritorno da Venere, un razzo sonico americano va a schiantarsi davanti alle coste del paesino siciliano di Gerra (?), dove viene salvato l’unico superstite ma anche uno strano contenitore: come al solito intervengono i “tocconi”, l’uovo venusiano si schiude e ne fuoriesce un mostrino piccolo che però cresce a velocità incredibile.

Appena diventato grande il mostro sfugge al controllo… e va subito nella Pineta di Ostia! È un’ambientazione classica a cui non si può resistere.

Anche su Venere è famosa la Pineta di Ostia!

Nell’intervista del 1973 che presenterò a fine ciclo Harryhausen racconta che all’inizio volevano mostrare anche un prologo ambientato su Venere, ma avrebbe allungato troppo la storia e soprattutto sarebbe costato troppo, così si procede rapidamente: da un paesino siciliano sperduto… siamo subito a Roma! E ti pare che non tornavano a distruggere monumenti altrui?

Dopo i monumenti americani, ora tocca a quelli romani

Finito di smontare il Palatino coi Fori Romani, il mostro si ritrova al celebre zoo capitolino, scena peraltro girata nel vero zoo, un’attenzione che non mi aspettavo dal film, visto che prima ha cercato di spacciarci tipiche fattorie americane per l’entroterra siculo!

Il vero zoo di Roma, meta fissa per ogni bambino della Capitale

Harryhausen racconta che l’elefante vero che la produzione ha ottenuto era così piccolo che non corrispondeva alle proporzioni richieste, così nell’unica breve scena in cui è inquadrato gli hanno affiancato un addestratore molto basso, perché l’animale sembrasse più grande di quanto fosse in realtà.

Un gioco di prospettiva degno di un mago

Altro aneddoto è quando il Comune romano si è molto seccato, perché aveva appena rifatto il manto stradale… che arrivano i carri armati americani a percorrere i Fori Imperiali! Pare che sia stato lasciato più di un segno sul terreno, durante la lavorazione, ma posso tranquillizzare Ray: buche e strade dissestate sono tipiche di Roma più del Colosseo!

Non puoi sistemare una strada che arrivano i carri armati ammaricani!

E a proposito dell’Anfiteatro Flavio, se King Kong si arrampicava sull’Empire State Building questo mostro venusiano si arrampica sul Colosseo, decisamente più facile da scalare e parecchio più basso, tanto da rendere implausibile la sua morte una volta caduto. Ma va be’, toccava mostrare un po’ di monumento, fra una distruzione e l’altra.

In attesa di Bruce Lee, ecco il mostro venusiano sul Colosseo

Al di là della storia, la particolarità che colpisce di più in questo film è l’enorme passo avanti artistico di Harryhausen, che si lancia in una serie di scene piene di virtuosismi tecnici che oggi noi diamo per scontati ma che all’epoca lo erano molto meno, anche per via delle ristrettezze economiche di queste produzioni: sono lontani i tempi in cui Willis O’Brien aveva tempo e soldi per fare virtuosismi con il suo Kong, ma qui Ray riesce a creare più piani visivi e a “infilare” il suo mostro in un alcune scene davvero deliziose.

Attori in primo piano, il mostro in secondo e in terzo pieno gente che passa!

Ray sta crescendo a vista d’occhio, come il mostro del film, e sta rendendo le proprie creature sempre più fuse con le scene dal vivo e interagenti con gli attori umani.

L.

P.S.
Vi ricordo che ho già presentato il romanzo-novelization del film, firmato da Henry Slesar ed uscito per “Urania” Mondadori nelle nostre edicole qualche mese prima della pellicola in sala.

– Ultime bestiacce:

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30 risposte a Ray Harryhausen 2 – UFO e lucertoloni siciliani

  1. Fabio ha detto:

    Ovviamente conoscevo la vicenda del triste declino di Willis O’Brien,ma devo dire che tale Pete Peterson era sfuggito ai miei radar,è proprio vero che fare carriera nel mondo dei film non è solo una questione di talento,ma anche di vere e proprie “botte di culo”,altrimenti per il diletto di noi spettatori,chissà quanti creativi avremmo avuto in più!.

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  2. Fabio ha detto:

    Bravo Lucius che insegna che il Colosseo ha anche un antico nome ufficiale,”Anfieteatro Flavio”,in onore dell’omonimo imperatore che ne supervisionò il progetto,e che non ne vide la fine,completato dal figlio e suo successore Tito!

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  3. Fabio ha detto:

    Finora ci siamo riscaldati,ma la prossima settimana toccherà a quello che io definisco il film che ha reso definitivamente Harryhausen “divinità del fantastico su schermo”,ma non dirò altro più di questo,lascerò questo compito al buon Zinefilo!

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  4. Cassidy ha detto:

    Prima dei seguaci di Mr. Arancione, solo il grande Ray si era permesso di maltrattare così Capitol Hill 😉 L’idea del domatore diversamente alto è una gran trovata di prospettiva, forse non sono grandi film, anzi no, ma è la magia di Harryhausen a renderli speciali, proprio il suo lavoro certosino risulta ancora la parte migliore. Cheers!

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  5. Madame Verdurin ha detto:

    Pensa che proprio oggi mio figlio piccolo è in gita allo zoo di Roma con i nonni… Pensa se gli avessi mostrato questo film prima! XD

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Prova a fargli vedere la scena al suo ritorno, magari gli farà piacere riconoscere l’entrata e vederla com’era in anni così antichi 😛
      Ricordo ancora con gran piacere la mia prima (e credo unica) gita allo Zoo di Roma, con relativo acquisto di libro fotografico che conservo ancora. Gli animali erano un po’ fiacchi, stavano buttati per terra e non davano molti segni di vita, ma vederli dal vivo è stato bello 😛

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  6. Willy l'Orbo ha detto:

    Tra dischi volanti, mostri nella pineta di Ostia (ahahaah!), carri armati che rovinano il manto stradale e “piccoli” elefanti…post imperdibile! 🙂

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  7. loscalzo1979 ha detto:

    A 30 Milioni di Km dalla terra è bellissimo, oltre per il fatto che viene ambientato nel nostro Paese, un onore che il buon Ray ci ha dato

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Chissà come mai ha pensato all’Italia…

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      • Giuseppe ha detto:

        Speravo che la vecchia Enciclopedia del Cinema di Fantascienza a cura di Giovanni Mongini (ed. Fanucci, 1976) mi potesse dare qualche delucidazione in merito ma niente, anzi è piuttosto dura con il film in questione (salvando in pratica solo il lavoro di Harryhausen) definendolo “mediocre e scontato”: oggi mi sorprenderei di un parere del genere ma, evidentemente, in quegli anni ’70 in cui il fantastico aveva ancora piena cittadinanza a casa nostra ci si poteva permettere di far gli schizzinosi… A livello di trama avrà pure avuto le sue ingenuità d’epoca, d’accordo, ma mediocrità e scontatezza credo si dovessero comunque cercare molto più dalle parti di “La Terra contro i dischi volanti” (non considerato granché riuscito nemmeno dai fan di vecchia data di Ray, qui trovatosi addirittura a convivere con un’esplosione rubacchiata da “La guerra dei Mondi” di Byron Haskin) che non da quelle di “A 30 Milioni di Km dalla terra”, con il mitico nonché splendidamente animato Ymir a spasso per Roma 😉
        Per quanto riguarda i passaggi televisivi bisognerebbe riuscire a recuperare gli archivi della vecchia Retecapri, perché nel loro ciclo del venerdì “Film da un altro mondo” questi due film erano stati trasmessi (rigorosamente nella versione in bianco e nero, probabilmente sempre dai DVD Sony dell’edizione speciale). Di altri probabili passaggi, come quelli nelle maratone notturne fine ’80 su Italia 1, oggi non rimane traccia…
        P.S. Penso che quel povero bestione ci sia rimasto secco più per le ferite che non per la (modesta) caduta 😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Le vecchie “enciclopedie” andavano bene per reperire informazioni (e foto) ma i commenti temo non abbiano superato il tempo in cui sono nati. E, come sempre, giudicare un prodotto con gli occhi della posterità non ha mai molto senso.
        Ovvio che entrambi i film attingevano a uno stile condiviso con altri film che già all’epoca Ray stesso considerava “di serie B”, anche se solo per mere questioni finanziarie, è chiaro che gli alieni di gomma del primo e lo stile “monster movie” del secondo non possono essere considerati soddisfacenti con gli occhi di spettatori di trenta o cinquant’anni poteriori, e anche all’epoca non è che fossero considerati “di culto” bensì semplici prodotti di intrattenimento per giovani spettatori. (Ray stesso, nell’intervista che presenterò a fine ciclo, ci soffre ad aver visto la propria opera considerata “per ragazzini”, visto che la creava pensando di raggiungere anche un pubblico più adulto.)
        Se non fosse per l’animazione di Ray temo che sarebbero film subito dimenticati, ma appunto è anche questa la sua magia 😉

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      • Giuseppe ha detto:

        Di certo, il motivo principale per cui vengono ricordati E’ la magia di Ray (e su questo non ci piove) 😉
        Riguardo poi alle vecchie enciclopedie, tengo sempre conto del particolare periodo storico in cui alcune di queste sono state pubblicate, e cioè fra gli anni spartiacque del cinema fantastico: il 1968, con “2001: Odissea nello Spazio”, e il 1977, con “Guerre Stellari”… un intervallo di quasi due lustri caratterizzato da atteggiamenti assai poco benevoli nei confronti della fantascienza (e non solo) ritenuta “commerciale” o di serie B, vedi ad esempio il caso di Inoshiro Honda considerato dalla critica di settore solo per “Matango” e “Uomini H”, relegando il resto della sua produzione a robetta per ragazzi (escluso forse il primissimo “Godzilla” del 1954), appunto. Successivamente le cose sarebbero cambiate di nuovo, come sta a dimostrare anche l’edizione riveduta, corretta e ampliata dell’opera di Mongini (altri nove volumi in aggiunta ai primi due), dal taglio certo meno “polemico” rispetto a quello dei ruggenti anni ’70…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Sarebbe bello un mondo in cui la critica cinematografica non seguisse le mode e si limitasse ad analizzare i film, concentrandosi più sulle mode che li hanno fatti nascere che sulle mode che vivono i recensori.
        E’ chiaro che prima degli ultimi ruggenti anni Settanta, in cui per la prima volta la fantascienza è uscita dal reparto “robaccia per stupidi” non si poteva concepire di recensirla come un genere dignitoso con persino qualcosa da dire. Poi è diventato di gran moda ed ecco che avviene quello che avviene sempre: il salto sul carro del vincitore.
        Invece di schierarsi seguendo le mode, sarebbe bello se i critici – e gli scrittori tutti – pensassero a scrivere, invece di seguire l’onda. Se domani il genere fantascientifico cadesse in disgrazia (e ci siamo molto vicini, vista la robaccia che gira da vent’anni) si ritornerebbe ai giudizi degli anni Sessanta e tornerebbero buone le vecchie recensioni 😛

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  8. Vasquez ha detto:

    So che tutti i dischi volanti come li metti metti, sembrano tutti piatti volanti, ma questi qui del Maestro mi sembrano proprio uguali a quelli di Mars Attack. Facilissimo che siano andati a ripescarli da qui…
    Bel pezzo, ma ormai è pleonastico dirlo.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Tim Burton mi dà l’idea di amare i film giusti, facilissimo che si sia rifatto a queste animazioni del maestro, che in Italia temo siano girate pochissimo ma in America sono molto più note.
      Il fatto che di un film si ricordino solo i minuti finali la dice lunga sulla qualità della trama, ma certo è un chiaro figlio della UFO-mania del periodo 😉

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      • Giuseppe ha detto:

        Nella riedizione Sony a doppio disco del film mi pare ci sia una chiacchierata tra Burton e Harryhausen a proposito 😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Degli UFO ho l’edizione a singolo disco, recuperata su bancarella, ma purtroppo non mi si vede più, forse il DVD è rovinato o forse i lettori che ho in casa cominciano a dare gravi segni di vecchia, e ne avrebbero anche diritto 😛

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      • Vasquez ha detto:

        Io ho solo la vhs di Mars Attack 😅
        che per quanto è poverella come edizione, non ha neanche mezza scritta in italiano (se non ricordo male è della Warner…). Però è l’unica videocassetta colorata in mio possesso: invece che nera, è di un bel verde acceso, tonalità marziana credo 😛

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Sai che credo di non aver mai visto VHS colorate? Al massimo ricordo un periodo in cui la Cecchi Gori (mi pare) le produceva in grigio chiaro, ma addirittura verde marziano non l’ho mai visto 😛
        Grazie per l’informazione, intanto, così aggiorno il mio database delle edizioni italiane: se dovessi trovare su bancarella “Mars Attack” non lo prendo che tanto già so essere tutto ammaricano ^_^

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      • Vasquez ha detto:

        Ti confermo che la videocassetta è Warner, quindi il master video è americano (e ovviamente niente doppiatori), e anche la sua verdenza 😛
        Mi dispiace solo che quelle su ebay sono tutte nere, mi sarebbe piaciuto mettere un esempio.

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  10. Sam Simon ha detto:

    Bellissime le scene dei dischi volanti, e pjre quelle a Roma! E ora sappiamo di chi sia la colpa delle buche nelle strade romane: dei carri armati statunitensi dei film di Harryhausen! Il Zinefilo fa denuncia sociale. :–D

    Scherzi a parte, questi effetti speciali dimostrano tutti i loro limiti ad occhio nudo, ma io li trovo davvero affascinanti ancora oggi!

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