È noto che diversi attori hanno prestato il volto a Parker, il celebre criminale nato dalla penna di Richard Stark, ma onestamente non sapevo (o non ricordavo) che su grande schermo fosse stato anche… nero!
The Split del regista televisivo Gordon Flemyng esce in patria americana nell’ottobre 1968 e riceve il visto italiano il successivo 25 gennaio 1969, con divieto ai minori di 14 anni. La MGM lo porta nelle nostre sale dal 4 giugno 1969 con il titolo I 6 della grande rapina (il numero a volte è scritto in lettere).
Non ho trovato notizie sicure di messe in onda, mentre la MGM lo porta in VHS italiana nell’ottobre 1986: il film riappare in italiano nel 2016 quando Sinister Film lo riesuma in DVD.
Il film è tratto dal romanzo Parker: il rischio è la mia droga (The Seventh, 1966), settima avventura del criminale firmato da Richard Stark (pseudonimo “duro” dello scrittore Donald E. Westlake), portato in Italia da “Il Giallo Mondadori” (n. 952) il 30 aprile 1967, quindi prima che ne girassero la versione cinematografica: gli perdoniamo perciò la scelta di un titolo che non fa capire il collegamento romanzo-film. Visto che Stark ha il grave difetto di non chiamarsi Agatha Christie, non è mai più stato ristampato in Italia.
La trama del romanzo è semplicissima, come ho raccontato ieri su un altro blog. Il colpo allo stadio di Monequois, durante il campionato universitario di rugby, è andato liscio come l’olio, i sette complici hanno seguito un piano perfetto e ora devono solo aspettare che si plachino le acque per spartirsi il bottino, il quale viene lasciato ad uno di loro: Parker.
Dopo tre giorni chiuso in casa con la sua bella, Parker esce un attimo a comprare birra e sigarette: al suo ritorno trova la donna morta e i soldi spariti. E due poliziotti che fanno domande. Qualcuno dei complici ha fatto il furbo, e ora Parker dovrà trovarlo e spiegargli a fondo quanto la cosa lo irriti.
Il primo terzo del romanzo è divertente, poi purtroppo a Stark gli prendono velleità letterarie e ci racconta per due volte la stessa vicenda ma dal punto di vista di altri personaggi, così da creare una supposta tensione per lo scontro finale, ottenendo invece solo tanta noia. Davvero un gran peccato. Saprà Robert Sabaroff tirare fuori una sceneggiatura filmica più efficace da questo romanzo?
La cosa principale di questo film è che, tanto per cambiare, Parker non si chiama Parker, bensì… McClain… Aspetta, ma io questo nome l’ho già sentito, e non parlo del McClane di Die Hard (1988). Ma… ma… vuoi vedere che…
Per la prima volta nella storia dell’umanità, gli adattatori italiani hanno fatto quello che MAI alcun adattatore ha mai fatto: si è informato sulle opere pregresse. È l’unica spiegazione per cui il Parker di Organizzazione crimini (1973) si chiama in originale Macklin e in italiano… McClain! Nel 1973 gli italiani si sono accorti che era lo stesso personaggio e gli hanno dato lo stesso nome de I 6 della grande rapina (1968): segnatelo sul calendario perché sono quelle cose che accadono una volta ogni millennio.
Chi avrà stavolta il compito di incarnare su schermo il celebre criminale starkiano? È il turno della stella di colore Jim Brown: e l’inclusività degli anni Duemilaventi… muta!
Se non l’avete fatto, gustatevi su Prime Video quel capolavoro di Quella notte a Miami (2020) di Regina King, che annovero tranquillamente fra i migliori film del nuovo millennio: lì Jim Brown è uno dei protagonisti (interpretato da Aldis Hodge) e ci viene spiegato in maniera decisamente efficace cosa voglia dire essere una stella di colore nell’America dell’epoca. (Gli altri personaggi sono il cantante Sam Cooke, il pugile Cassius Clay e il predicatore Malcolm X: proprio dei tizi qualunque…)
Quando il 18 maggio 2023 Jim Brown ci ha lasciati, da decenni non era più Jim Brown. Stella del football, negli anni Sessanta è fra gli eroi di Quella sporca dozzina (1967), titolo che basterebbe già da solo a riempire un curriculum. Negli anni Settanta è fra i più caldi eroi della blaxploitation: avete presente quel fenomeno che tutti citano dagli anni Novanta solo perché l’hanno scoperto con Tarantino ma nessuno in realtà rivede, se non forse un paio di titoli famosi? Ecco, Jim Brown è stato l’eroe di un genere che nessuno ricorda più, se non a chiacchiere.
Nel 1982, come abbiamo visto, Fred Williamson (l’unico superstite di quella gloriosa esperienza) ha provato a salvare Jim Brown dall’oblio con Trio mortale ma senza speranza. Nel 1968 Brown è ancora un nome caldissimo, talmente potente da compiere due imprese assolutamente inedite per l’epoca: essere un attore nero in un ruolo da protagonista per una grande major, con il proprio nome scritto più grosso dei colleghi bianchi, e interpretare un personaggio nato bianco. Tutto questo in un’epoca in cui in certi posti d’America, la culla della democrazia, ti ammazzavano per molto meno.
Secondo voi, il fatto che Jim Brown sia considerato fra i più grandi giocatori della storia del football ha influito sulla scelta di cambiare il romanzo, e dal rugby di Stark passare a un furto in uno stadio di football? E guarda caso la partita che apre il film vede protagonisti i Los Angeles Rams, contro cui Brown dieci anni prima aveva segnato un record sportivo, correndo in totale per 237 iarde. Sicuramente è un caso, ma forse anche no…
Lo sceneggiatore decide di mantenere intatta la noia del romanzo ma di ribaltare completamente l’equilibrio della trama: gli eventi ci sono tutti, la storia è perfettamente rispettata, ma l’equilibrio narrativo è tutto sballato.
Parker… pardon, McClain (Jim Brown) ascolta il piano di Ellie Kennedy (Diahann Carroll) per il colpo allo stadio di football, gli piace e comincia a cercare i complici, usando un grande classico del genere: metterli alla prova uno per uno, come il recente Quella sporca dozzina (1967) insegna.
Solo che qui in pratica quasi mezzo film se ne parte in inutili scenette immotivate e senza senso in cui McClain segretamente mette alla prova i quattro complici che vorrà ingaggiare, una roba inutile che uccide il ritmo della vicenda. Alla fine, ecco i sei della grande rapina in ordine di apparizione:
- McClain (Jim Brown)
- Kennedy (Diahann Carroll)
- Clinger (Ernest Borgnine)
- Kifka (Jack Klugman)
- Gough (Warren Oates)
- Negli (Donald Sutherland)
Nessuno dei grandi nomi coinvolti ha tempo per fare altro se non il caratterista, ma nella Dirty Dozen Era si era abituati a grandi nomi in piccoli ruoli.
Un’altra enorme fetta di film se ne va nell’esecuzione del colpo, che onestamente serviva anche solo metà del tempo: il romanzo non usa che poche pagine nel descriverlo, perché non ha alcuna importanza nella vicenda. Il colpo va a segno, fine della descrizione.
In fondo c’era bisogno che i grandi nomi coinvolti facessero qualche boccaccia, quindi via con lunghe scene con Borgnine che sbraita e Sutherland che fa il matto.
Come vuole il piano, McClain torna a casa con il malloppo che verrà diviso di lì a poco, giusto il tempo di far fare una doccia di soldi alla sua bella: chissà, magari imitando la scena di Mario Bava in Diabolik uscito in America cinque mesi prima.
Il Parker filmico si comporta in maniera decisamente immotivata, se non stupida: lascia mezzo milione di dollari in banconote nel cassetto dei calzini e se ne va a giocare a biliardo, così che il padrone di casa abbia tutto il tempo di entrargli in casa per violentargli la donna e, scoperti mitra e soldi, diventi Al Capone sotto metamfetamina. Ma cos’è ’sta cazzata? Credevo fosse un film, non una comica d’altri tempi!
Soprassedendo sulla demenzialità della sceneggiatura, aggiungo il fatto che mostrare subito il ladro dei soldi si fotte una bella fetta di romanzo, in cui parte della trama è il sospetto che Parker fa ricadere sugli altri suoi complici: chi sarà l’infame che ha rubato i soldi agli altri? Qui scompare tutto, anche perché dopo le infinite lungaggini siamo a venti minuti dalla fine quindi si dovrà correre a perdifiato.
Correndo a velocità supersonica, McClain fa amicizia e si conquista la fiducia del poliziotto Brill (Gene Hackman), che nel giro di sette decimi di secondo gli è amico fedele come se si conoscessero da una vita. In dodici fotogrammi il tenente risolve il caso, scagiona McClain e trova i soldi: mezzo libro risolto in meno di un secondo di film!
Venti minuti di film erano serviti a presentare gli inutili membri della banda che escono dalla vicenda in venti secondi: si vede che gli autori qui sono dei professionisti, ma forse è la maledizione di Parker: è maledettamente difficile portare su schermo un personaggio che sembra funzionare esclusivamente su carta.
Certo che se poi raccogli dei barboni alla stazione e fai scrivere a loro la sceneggiatura, le speranze di riuscita sono decisamente sotto lo zero.
Nei saggi di cinema il film è ricordato esclusivamente per un piccolo particolare (in realtà errato) che è stato persino citato dalle autorevoli recensioni dell’epoca: una donna nera stuprata da un bianco. (In realtà non viene stuprata, solo minacciata e poi uccisa senza alcun motivo logico, in una scena imbarazzante per quanto stupida.) Solo questa scena di due secondi lascia il segno, visto che nella “narrativa” razzista è sempre il nero che vuole stuprare donne bianche, mai il contrario, malgrado la realtà sia di tutt’altro parere.
Intervistato per Exits and Entrances (2013), libro dedicato alle personalità che hanno più influenzato l’immagine della cultura afro-americana, Jim Brown non ha nulla da dire sul film, e in effetti non c’è nulla da dire: a parte avere un protagonista nero che comanda cinque bianchi, alcuni persino famosi, non c’è altro da segnalare.
Ah no, forse una cosa importante c’è, che ovviamente non cita nessuno: in uno scontro fisico l’eroe (ovviamente la sua controfigura) tira un calcio volante a due gambe. Sembra poca roba, ma all’epoca gli eroi bianchi raramente usavano tecniche volanti di gamba, la mossa marziale principale era il colpo del taglio della mano: giusto per ricordare come la cultura nera adorasse le arti marziali asiatiche, come verrà testimoniato dalla successiva blaxploitation.
Un altro Parker filmico morde la polvere, inutile come pochi, ma un altro attore va ad aggiungersi al personaggio più variopinto del cinema.
L.
P.S.
Se volete seguire le mie letture parkeriane, seguite questo tag.
– Ultime manifestazioni di Parker:
- Payback (1999) La rivincita di Porter
- Point Blank (1967) Parker senza un attimo di tregua
- The Split (1968) I 6 della grande rapina di Parker
- The Outfit (1973) Organizzazione crimini con Parker
- Bandiera gialla (1950) Il vero volto di Parker
- Parker (2013) 10 anni per rivalutarlo!
- Quel cane di Parker. Dialogo socratico con Vasquez
- Quando Parker divenne donna per Godard (1966)
- Tutti i nomi di Parker (guest post)
L’ultimo sabato di maggio un post ad ampio raggio, tra film e romanzi non c’è nulla che avanzi! 🙂
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ahhaah la primavera ti rende poetico ^_^
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E come lo porto Parker in scena?
Si dà al rugby oppur mena?
Boh, io vado un po’ a naso
Sai mai che poi, per caso,
Venga fuori un film ganzo
piluccando il romanzo
Regista ti voglio parlare
prima che inizi a girare
Fra i bianchi Io chiedo davvero
che tu metta un Parker nero
Bene giocherai le tue carte
Scegliendo Jim Brown per la parte
Se ci saran scene noiose
incolpa le star bianche e famose
E adesso iniziamo a pregare
che il film tanto riesca a incassare
Perché quando deludi le attese
manco puoi più rientrar nelle spese 😃
Mi avete lanciato un’esca poetica, ben sapendo che non avrei potuto resistere, eh? 😛
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sapevo che la singolar tenzone non ti avrebbe trovato indifeso ^_^
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Agahah, anche io immaginavo che Giuseppe avrebbe raccolto il guanto di sfida! E alla grande! 🙂👏
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O niente mica ci riescono a farlo un film decente con Parker, pare una maledizione tipo Tutankamen. Anche qui gli attori ci sono ma che spreco.
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A questo punto la tesi della maledizione acquista valore 😛
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Aaaah ecco spiegato tutto! Mi piace tantissimo la tesi della maledizione sui film di Parker (a meno che non siano tratti da “Anonima carogne” o il protagonista non abbia il nome che l’autore ha scelto per lui). Quindi sono sempre più curiosa di curiosa di seguirti in questo percorso alla ricerca dei Parker perduti.
Apprezzabilissimo il doppiaggio, che fa quello che dovrebbe fare sempre, ma spesso se ne scorda. Mi piace pure che il film s’intitoli “I sei della rapina” e il romanzo invece “Il settimo”, come Dumas e il suo “I tre moschettieri” che in realtà è la storia del quarto 😀
Insomma mi piace tutto quanto c’è di contorno al film, compresi attore protagonista e attori comprimari, ma temo che il film non mi piacerebbe altrettanto. Lo lascio lì dov’è e mi limito a leggere la tua recensione, ringraziandoti infinitamente per questa tua panoramica, che io non sarei mai stata in grado di affrontare (me lo chiedesti all’epoca e per fortuna risposi di no, limitandomi a inseguire Westlake nel suo rifiuto di concedere il nome “Parker” alle major hollywoodiane).
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Sulla carta è tutto giusto, tutti gli elementi di contorno ci sono, il problema è il piatto principale, davvero cucinato male
Non mi sento di consigliartelo, è un film che basta sapere che esista, non serve vederlo 😛
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Parker più avanti di tutti, anche dell’inclusività e di Die Hard! Sulla base del cast dovrebbe essere il mio film preferito, veramente mi chiedo come mai non ne avessi mai sentito parlare, rubrica sempre più sfiziosa! 😉 Cheers
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Grazie ai distributori italiani questo, come centinaia di altri film, sono semi-inediti in Italia, salvati da Sinister Film solo per finire nel Purgatorio dei fuori-catalogo. Non sono certo film da rivalutare chissà quanto, ma almeno una volta ogni cento anni potrebbero passare in TV 😛
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“Sicuramente è un caso, ma forse anche no…” sento aria di M.A.C.C
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Il MACC è sempre con noi e muove ogni nostro passo ^_^
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