Fumetti & Videogiochi: conversazione con Redbavon (6)

Data la mia storica ed atavica incapacità nei videogiochi, sono rimasto indietro su molti titoli ed altri li ho scoperti solo quando ho visto il fumetto annunciato in uscita. Per prepararmi a questi universi, che mi attraggono fortemente ma di cui mi mancano le basi, mi sono rivolto a un esperto video-ludico o, come preferisce definirsi, “una vecchia cariatide dei videogiochi”: RedBavon, del blog Picture of You.

L.


6) Rimango ancora alla Dark Horse perché si è comprata il marchio “Anthem” e a febbraio presenterà il fumetto mentre il gioco arriva sugli scaffali: sai qualcosa in anteprima di Anthem?

Anthem è stato pubblicato nel febbraio scorso, dopo una presentazione all’E3 2018 che ha fatto ben sperare. L’attesa per Anthem è legata ai suoi sviluppatori, Bioware, noti per essere creatori di giochi di ruolo e trame profonde. Nel corso degli anni, acquisita dall’editore Electronic Arts, Bioware non è più la stessa azienda responsabile di capolavori come i due Baldur’s Gate, il primo Star Wars: Knights of the Old Republic, Neverwinter Nights e il primo Mass Effect, tuttavia è ancora tra gli sviluppatori da cui ci si può attendere una storia intricata e personaggi sfaccettati.

Anthem entra nell’affollata offerta di universi persistenti on-line con una forte componente spara-tutto, che promette però di non dimenticare l’elemento narrativo, anzi – secondo le dichiarazioni dell’editore – vi punta decisamente per distinguersi dagli altri concorrenti. Electronic Arts definisce Anthem come “un gioco di ruolo d’azione in cooperativa”, praticamente il sogno bagnato degli appassionati di videogiochi e di RPG da tavolo, orfani di una compagnia di amici di avventure a suon di rotolamento di dadi, accese discussioni per prendere una decisione comune e rutti a causa dei fiumi di birra ingurgitati.

Resta sempre da dimostrare come un “open-world” on-line e una massa di avatar a differenti stadi evolutivi del personaggio siano compatibili con una trama che non sia un coacervo di missioni del tipo “vai dal punto A al punto B e annichilisci tutto quello che trovi nel mezzo”.

Per questo motivo, sebbene parecchio freddo nei confronti dei multi-player, ero entusiasta che Bioware si cimentasse in questo genere video-ludico, che attira tutti gli editori sia per il lungo ciclo di vita del prodotto sia per le potenzialità di profitto esponenziali.

Sarebbe davvero favoloso calarsi in un universo persistente, potenzialmente sempre differente grazie all’introduzione periodica di nuovi contenuti.

Ho avuto già modo di commentare quanto mostrato di Anthem all’E3 2018 e, al netto della videoclip che spacca di brutto con un accompagnamento musicale di “Uprising” dei Muse, il risultato non mi convince e rimane persistente il dubbio che si risolva nella solita vuota fiera di ripetitive uccisioni e saccheggio dei resti al solo scopo di ottenere esperienza e salire di livello (in gergo, “grinding” e “looting”).

Tuttavia, lascio ad Anthem una porta aperta e la possibilità di dimostrare al lancio di lì a qualche mese che i miei sono pregiudizi di un vecchio bacucco che dovrebbe dedicarsi alle parole crociate e non ai trastulli della modernità e dei giovani. Anthem infatti, si basa su un avatar di gioco, che si sviluppa intorno a un esoscheletro con spiccate capacità di volo, necessarie per spostarsi nelle vaste ambientazioni e i combattimenti utilizzano la dimensione verticale come in pochi altri giochi del genere. Come pilota da caccia con esperienza (simulata) ultra-trentennale (da cui il mio “nick”), dalle guerre storiche e a quelle del futuro immaginato, non perdo la speranza di potere scatenare l’inferno dall’alto. RedBavon Five standing by.

Il lancio di Anthem è stato funestato da immancabili bug, che nel caso di un prodotto esclusivamente orientato al multi-player sono ormai una prassi consolidata. Perché rilasciare un prodotto funzionante in ogni sua parte o addirittura mancante di alcune caratteristiche annunciate, se il test lo possono fare gli acquirenti del “Day 1”?

Allo stato attuale, Anthem non rispetta quanto promesso, specialmente nell’implementazione di una componente narrativa di qualità: al massimo si tratta di un blando “collante” per tenere insieme il bailamme di missioni, sotto-missioni e numero degli aspiranti partecipanti alla storia.

Avevo già creduto a una “promessa” analoga di un’altra società di sviluppo, Bungie Studios, poiché è la responsabile di una delle mie serie preferite, Halo, in cui ha dato prova di sapere miscelare una trama coinvolgente anche in uno dei generi meno cervellotici di sempre ovvero lo spara-tutto in prima persona.

Con la consapevolezza che il primo Destiny manca di una qualsiasi trama nella modalità per giocatore singolo, l’elemento più coinvolgente è la cooperazione di squadra. Tutto vero se: 1) hai dei compagni di squadra con i tuoi stessi impegni e conseguente tempo libero; 2) investi il tuo monte ore-gioco disponibile prevalentemente, se non esclusivamente, in questo gioco e per un periodo di tempo significativo. Decisamente incompatibile con i miei scampoli di tempo sottratte al sonno e in ore della notte tutt’al più frequentate da vampiri e ubriachi cacciati dalle discoteche. Decisamente incompatibile, soprattutto, con le mie preferenze “onnivore” in fatto di generi video-ludici e titoli da provare.

Ammonisce un vecchio adagio: “errare è umano, ma perseverare è diabolico”.

Nel più recente Destiny 2 (è concepita come una trilogia), Bungie Studios ritorna sui propri passi e annuncia il ritorno di una modalità per singolo giocatore, supportata da una degna trama. Vengo fregato la seconda volta: la trama è trascurabile, per giunta monca perché devono vendere anche le successive espansioni aggiuntive ed è chiaro che il loro prevalente impegno è nella componente on-line.

Dicono da più parti che questo sia “il futuro” dei videogiochi: universi persistenti con contenuti via via arricchiti e popolati da milioni di utenti sempre connessi alla Rete. Non è soltanto la voce dei professionisti della stampa specializzata e di molti addetti nel settore, le ampie e fidelizzate comunità di utenti sono la prova che questi giochi hanno “sostituito” i giochi di cortile, gli improvvisati campetti di calcio tutt’al più adatti alla coltivazione di cavolfiori, e altri centri di aggregazione nella generazione del senso di appartenenza a un gruppo, nel soddisfare quell’esigenza di inclusione e percezione del proprio valore personale in uno specifico contesto, ampio o ristretto che sia.

Tuttavia, la mia esperienza con i videogiochi multi-player è a dire poco piatta come il sesso di una bambola.

Mille volte meglio The Last of Us oil più recenti God of War e Red Dead Revolver. Sono esperienze che lasciano il segno come la lettura di bel libro e l’ascolto di un buon album.

Anthem perciò non rientra nelle mie priorità né aspirazioni. Attendo invece impaziente il secondo capitolo di The Last of Us.

(continua)


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12 risposte a Fumetti & Videogiochi: conversazione con Redbavon (6)

  1. Conte Gracula ha detto:

    Gli MMO avrei voluto poterli giocare vent’anni e più fa, quando avevo più tempo da dedicare e più pazienza per le routine ripetitive oltre l’indecenza.
    Ogni tanto fantastico sull’idea di giocare The Secret World, col suo mischione di magie, Cthulhu, leggende e cospirazioni, ma non vado matto per l’interfaccia, un po’ complessa…

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    • redbavon ha detto:

      Perdona il ritardo Conte. Avrei voluto commentare prima questa tua osservazione sugli MMO che apre un filone di discussione molto ampio e interessante. Quando scrivi che “Gli MMO avrei voluto poterli giocare vent’anni e più fa, quando avevo più tempo” c’è un evidente scollamento di generazioni se si guardano i numeri vertigionosi delle comunità degli MMO più diffusi. Quoto in toto la tua affermazione, mi ci ritrovo pienamente, ma allora mi chiedo se la questione poss essere “generazionale” e legata a fattori demografici.
      I più giovani (e intendo dagli 8 ai 25 anni, per mia personale esperienza) hanno un percepito differente, oltre che tempo a disposizione. Sarebbe interessante un confronto perchè il nostro punto di vista potrebbe essere influenzato appunto dalla scarsità della risorsa tempo e non già dall’effettiva qualità dell’esperienza.

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      • Conte Gracula ha detto:

        No problem, red, è la vita 😉

        È comunque un genere che risente della ripetitività delle situazioni, che per me è una qualità negativa – odio rifare un continuazione le stesse cose 😛

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      • redbavon ha detto:

        Anche io, ma come giocatori di ruolo da tavolo, anche il tiro dei dadi, le caratteristiche dei personaggi e altre statistiche, procedure varie sono elementi ripetitivi che però non minano il complesso dell’esperienza. Forse ci sfugge, al netto del grinding e del looting, l’esperienza percepita, proprio a causa dello scarso tempo dedicabile.

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      • Conte Gracula ha detto:

        Quelle però sono meccaniche, non “vai lì, picchia X, portami Y e ti do Z”.
        Dadi e roba simile, in un gioco di ruolo, sono l’equivalente in videogame dell’usare il pad, non del vivere la storia.
        Azioni indispensabili per (ri)produrre i contenuti, ma non sono i contenuti stessi.

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      • redbavon ha detto:

        Non ne sono certo. Mi spiego: looting e grinding, per dire due elementi assai ripetitivi, non sono o – meglio – non dovrebbero essere il contenuto, ma appunto degli strumenti per migliorare il personaggio e personalizzarlo. Mi sembra simile all’accumulazione di punti esperienza e oggetti magici negli RPG. La transumanza da punto X a Y è la traduzione più schematica dell’avventura del party in un RPG. Ciò che fa la differenza è che in un RPG ci si ritrova intorno a un tavolo, le relazioni che intervengono e una narrazione che è il risultato in fieri tra master e party. Negli MMO, per quanto ne ho fatto esperienza, manca sopratutto quest’ultimo aspetto. Il party è disperso in vari punti della Rete e si riuscisse virtualmente prima nella lobby e poi nel gioco. World of Warcraft potrebbe essere un esempio più prossimo all’esperienza “fisica”.
        Insomma, per quanto la mia esperienza non sia stata gratificante, mi pongo il dubbio se il mio approccio sia mancante di un quid che invece i tanti giocatori di MMO conoscono.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        La narrativa è piena di strumenti del genere. Come racconto per un genere filmico che ormai odio dal profondo, il “Meteo Apocalypse”; parliamo di decine e decine e decine di film tutti UGUALI, che hanno la stessa identica struttura e dove i personaggi agiscono esattamente nello stesso modo, titolo dopo titolo. Eppure nessuno si sogna di dire che quei film non sono narrazione. Brutta, sì, ma narrazione.
        Ogni storia horror con un tizio che entra in una casa ha schemi che si ripetono identici da sempre, così come i romanzi rosa, i western e via dicendo: ogni genere crea storie riconoscibili proprio dagli elementi ripetitivi.
        Sta poi al gusto di ognuno considerarli azzeccati o meno, ma state sicuro che in un romanzo rosa la protagonista sarà sedotta dal ricco figone e in un romanzo spionistico l’agente segreto si porterà a letto la donna di turno 😛

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      • Conte Gracula ha detto:

        Quello è l’approccio EUMATE (entra, uccidi mostro, arraffa tesoro, esci) che è tipico dei giochi in cui vai a svuotar cantine (dungeon) per ottenere cose che ti aiuteranno a svuotare cantine più pericolose. Alcuni, da tavolo e in videogiochi, apprezzano il senso di crescita di potere del personaggio, ma nei gdr da tavolo non esiste solo quell’approccio – gioca così Il Richiamo di Cthulhu e ti tocca rifare due personaggi a partita, nemmeno a storia XD

        Dal mio tentativo in DC Universe Online, probabilmente è più divertente e anche più funzionale giocarlo con chi conosci, anche se ciascuno è a casa propria: lì, per mettere su un party per eventi, istanze o quel che era, finivi per aspettare anche mezz’ora prima di un abbinamento 😦

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      • redbavon ha detto:

        Vedi che ci stiamo arrivando. Non esiste ancora un gioo on-line come Il Richiamo di Cthulu, gli MMO sono allo stadio EUMATE. Roba già vista da noi “veci” e giocatori di RPG da tavolo, quindi per questo motivo poco interessanti. Potrebbe essere?

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      • Conte Gracula ha detto:

        Potrebbe essere. Gli mmo sono automatizzati, non hanno un “master” che dia quel tipo di variabilità.
        Però penso ci sia un problema di scrittura: gli rpg per giocatore singolo dovrebbero avere lo stesso problema, ma non sempre emerge – evidentemente c’è anche scarsa propensione a variare la minestra.

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      • redbavon ha detto:

        C’è un problema sicuramente di “scrittura”. Ne accennavo nel post quando Anthem è stato presentato da EA come un MMO con una forte componente narrativa, coinvolgendo Bioware e a oggi deludendo le aspettative.
        Credo sia imputabile alla “giovane età” del concetto di universo persistente. Ha fallito Bungie, ora Bioware, non proprio dei novellini. Integrare una storia coinvolgente preservando gli equilibri del gioco (frequenza e tipologia di loot) e il differente livellamento dei personaggi è cosa ardua. Senza contare che dovrebbero in qualche modo stravolgere l’approccio ormai consolidato e le aspettative dei giocatori “duri e puri” degli MMO. Probabilmente il genere “universo persistente” è ancora acerbo e sarà cosa diversa da un MMO.

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      • Conte Gracula ha detto:

        Se uno degli obiettivi di design è quello di non sconvolgere chi è abituato a un certo modello, si potrà star certi di aver strozzato il bambino nella culla, diciamo.

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