Non vi abbastaveno tre film della serie “Never Back Down“, eredi spirituali della serie “No Retreat, No Surrender” a cavallo tra Ottanta e Novanta: qualcuno sentiva il bisogno di un quarto episodio. Qualcuno chi? Alzi la mano se ha il coraggio!
Per fortuna ogni seppur vago collegamento con la precedente trilogia “spuria” è inesistente, così come la qualità riesce a battere ogni più mefitica aspettativa: negli anni Dieci del Duemila credevamo di aver raggiunto il fondo della spazzatura filmica che riempiva le nostre videoteche: che ingenui che eravamo…
Eagle Pictures presenterà il DVD in vendita dal 12 gennaio 2022, e potete scommetterci che ho già fatto spazio sui miei scaffali per ospitarlo.
Non so da dove arrivi intanto la copia italiana che gira per la Rete.
Ben venga un po’ di “sguardo femminile” sul cinema marziale, ma certo la regista Kellie Madison e la sceneggiatrice Audrey Arkins sono troppo esordienti per riuscire a compiere il miracolo: cioè prendere il nulla che hanno in mano e tirar fuori qualcosa che anche solo da lontano possa assomigliare all’ombra di un film.
Per andare sul sicuro rimangono nel sotto-genere del pit fight, che all’epoca il primo Never Back Down (2008) aveva saputo rinfrescare – pur essendo un semplice scopiazzo di Karate Kid (1984) in salsa mma – e già che ci sono si affidano al sotto-sotto-genere pink fight, così da rinfrescare lo stereotipo per cui le donne parlino solo di donne…
Abbiamo così il perfido organizzatore di combattimenti clandestini Julian (James Faulkner) che sembra il cattivo invece è il male minore, perché la vera iena è Mariah (Brooke Johnston), che non ho capito se è la sorella, la moglie, l’amante o che altro, ma tanto non importa.
La vicenda prende il via quando un tizio cialtrone vince un incontro che invece doveva perdere, e ora deve un sacco di soldi a Julian: a salvargli la cotenna ci pensa sua sorella Ania (Olivia Popica) che accetta di lottare al posto suo.
I combattimenti tra donne infatti alzano molti più soldi, quindi Ania accetta la proposta di Mariah: si parte tutti per un posto sperduto nel nulla: cosa mai potrà andare storto?
In un lampo Ania si ritrova in mano ai mercanti di donne e costretta a combattere con altre prigioniere, tutte accomunate dalla sottile arte nota come “incapacità a combattere”, così da dare vita a scene di lotta tristissime su cui è meglio tacere.
Ogni singola scena del film è scritta male, e la totale assenza di mezzi – sia tecnici che artistici – non aiuta di certo, quindi abbiamo il nulla che lotta contro il niente in uno scontro in cui perdono tutti.
Ad un certo punto sul ring salgono due tizie che addirittura potrebbero avere una vaga infarinatura di qualcosa che potrebbe sembrare una vaga lotta, ma è giusto un attimo fugace.
Perché affrontare una saga nota per l’alta qualità marziale avendo solo dei passanti come attori e lottatori? Volevano denunciare i mercanti di donne? Bene, l’ha già fatto in modo identico I Spit on Your Grave 2 (2013), quindi perché non vi riallacciate a quella saga, che è fatta così male che può solo migliorare?
L’enorme buco di sceneggiatura che questo film rappresenta fa soffrire chiunque ami le storie marziali e la visione andrebbe vietata a chiunque, ma dato che immagino costi poco penso che lo vedremo presto apparire sulle migliori piattaforme differenziate.
L.
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Una tristezza mista ad una poverata, qualcuno ha avuto la non tanto brillante idea di spremere ancora un po’ il limone di una saga dal titolo abbastanza noto, tirando fuori questa cosetta triste e davvero dimenticabile. Cheers!
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Dovrebbero etichettarlo come “film sentimentale”, visto che si piange parecchio durante la visione 😛
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Mi sa che hai scelto accuratamente gli unici fotogrammi in cui sembra ci siano delle pro a combattere!
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ahahah ti assicuro che è stata dura 😀
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Bada lì che sguardo intelligente che c’ha il protagonista nella locandina
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In effetti è una bella gara, fra tutti gli attori 😀
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Ero partito ringalluzzito in presenza di un film da menare (non che sia tra chi alza la mano per un quarto episodio della saga ma du’ bottarelle si guardano sempre volentieri) e ispirato da un nome strampalato come Olivia Popica: ebbene, hai spazzato come napalm ogni mia aspettativa, hai fatto bene ad aprirmi gli occhi prima dell’errore. Che comunque, masochisticamente, commetterò!!! Ahahahah! 🙂
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Cosa potrei mai dirti che ti fermi dal vedere questa inutile nullità? 😛
Spero che non sia questo l’evolvere della saga Never Back Down, che comunque aveva sfoggiato due seguiti marzialimente ghiottissimi.
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Sicuramente rimpiangerò “Michelino” Jai White ma, come ormai ben sai, quando decido di farmi del male non c’è nulla che mi può dissuadere, anzi, vado proprio incontro alla disgraZia! 🙂
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Tipo i lemmings, che vanno volutamente incontro al loro destino, così tu sei attirato dalla Z malgrado io cerchi di tenertene lontano e preservarti ^_^
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Ma “Pinky Violence” è un nome che hai inventato tu o davvero si usa per catalogare i film?
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Tecnicamente è un vecchio nome con cui si identificavano i film giapponesi anni Settanta con le donne toste, a volte motocicliste teppiste, a volte spietate spadaccine (in film in costume) e via dicendo. Non so come chiamassero i giapponesi quei film, ma nei libri americani usavano questo “pinky violence” che ho subito adorato e fatto mio 😛
Invece ho inventato “pink fight”, cioè la versione femminile del “pit fight”, o almeno finora non l’ho trovato usato da nessuno. Quando un giorno qualcuno scoprirà il sotto-genere, magari nascerà un nome più autorevole 😉
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Beh, dai, facendo due conti sei ancora in tempo a destinare quello spazio sui tuoi scaffali a qualcos’altro 😛
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