Ma ve lo ricordate Tony Jaa? Sedici anni fa lo salutai come il mio nuovo idolo, e Luc Besson – che ha sempre avuto l’occhio lungo – l’ha portato in Occidente rendendolo una star internazionale.
Domanda facile: cosa succede alle persone che diventano famose menando? Risposta facile: non menano più. Con una velocità da Guinness dei Primati, Tony è crollato come un sacco di patate: sarebbe da calcolare con il cronometro se più o meno velocemente di Scott Adkins, ma questo è un altro discorso.
Con la morte nel cuore abbiamo visto la caduta fisica di Tony nell’orripilante Skin Trade: l’attore che ha incantato il mondo per le sue tecniche SENZA uso di cavi… che combatte con i cavi. Un’umiliazione più grande non si poteva concepire.
Però nel 2015 in Fast & Furious 7 dà spettacolo di sé: perché combatte bene nei film non marziali e male nei marziali? Non lo so, ma essendo questo un film marziale… il risultato è altamente deludente.
Anni fa lo scrittore Stefano Di Marino, notoriamente un titanico appassionato di arti marziali in ogni forma comunicativa, mi ha fatto conoscere Saat po long (2005, che risulta ancora inedito in Italia) con due mostri sacri del genere: Donnie Yen e Sammo Hung. Vedere due colonne di Hong Kong combattersi l’un l’altro è goduria marziale allo stato puro.
Dieci anni dopo Cheang Pou-soi dirige un seguito apocrifo che condivide solo il grande Simon Yam nel ruolo del detective… Ma chi segue il cinema di Hong Kong sa che Simon Yam fa SEMPRE il detective!
Saat po long 2 esce in Cina ed Hong Kong il 18 giugno 2015, ed arriva in DVD italiano targato Eagle Pictures il 13 gennaio 2016 a noleggio, e il 9 marzo 2016 in vendita, con il titolo Kill Zone. Ai confini della giustizia.
Ad Hong Kong ogni anno 620 persone scompaiono nel nulla: alcune di loro vengono ritrovate in mare… con parti mancanti. Le organizzazioni criminali che commerciano organi umani sono una piaga che non conosce limite.
Così inizia una vicenda molto complessa e ingarbugliata, una “hongkongata” da mal di testa dove i flashback non sono separati dalla narrazione lineare quindi ci sono intere scene dove non si capisce una mazza. Poi diventa chiaro… cioè diventa chiaro che è una trama inutilmente arzigogolata.
Il succo è che un poliziotto infiltrato, e per questo iniziato al mondo delle droghe, finisce in una prigionie thailandese dove lavora il secondino Chatchai (Tony Jaa). Ovviamente quest’ultimo ha una figlia malata e bla bla bla, potete immaginare tutto il resto.
Il poliziotto incastrato che si ritrova in Thailandia è Chan Chi-kit, interpretato dal mitico Jing Wu, avvistato l’ultima volta in Italia nella commedia marziale Badges of Fury (2013). Jing Wu nel Saat po long del 2005 si misurava con Donnie Yen in un combattimento coltello-bastone telescopico che da solo ha scritto una pagina del cinema marziale.
Infinitamente complicate vicende riversano decine di personaggi in una trama indigesta che ti vien voglia di menare lo sceneggiatore, ma per fortuna è tutto totalmente inutile. L’unico motivo di vita di questo film sono le scene di combattimento.
Intendiamoci bene, è un film di Hong Kong quindi gli attori usano i cavi anche solo per parlare: sono delle marionette mosse di qua e di là senza neanche far finta di eseguire movimenti quanto meno eleganti. È uno spettacolo di marionette a cui sottostà il più pupazzone di tutti: Tony Jaa.
Tra una faccetta incazzata e una mossetta marziale, Tony ha una parte grandemente inutile nella trama, però alla fine due colpetti glieli fanno tirare… con tanti di quei cavi da sembrare Pulcinella!
Tutta la scena è solamente per il bravo Jing Wu… cioè, bravo ipoteticamente, perché anche ogni suo singolo gesto è mosso da cavi: forse facevano prima a digitalizzare gli attori e farli volare di qua e di là, invece di usare un milione di cavi in ogni singola scena.
Anche la lodevole quantità di piani sequenza va a benedirsi: la titanica bellezza di un piano sequenza – cioè una lunga scena complessa girata con un solo ciak, senza stacchi – è che è tra le cose più difficili del cinema. Fare piani sequenza coi cavi ed effetti digitali è una barzelletta. Peggio, è una barzelletta che non fa ridere.
Film deludentissimo anche perché offende il Cielo vedere che porta la sigla SPL, quella di Donnie e Sammo che creano la storia del cinema marziale da soli. La domanda è: perché il primo, capolavoro assoluto, non mi risulta uscito in Italia invece questa fetenzìa fetente è arrivata da noi?
Evitate ‘sto filmaccio, a meno che non vi piacciano i fintissimi combattimenti di Hong Kong, dove ogni personaggio può prendere un miliardo e mezzo di bastonate in testa con un tubo d’acciaio senza neanche accorgersi di niente…
L.
- One More Shot (2021) VR Fighter
- The Falkland Man (2001) Final Assault
- Extreme Force (2001) Quando Qissi incontra Echavarria
- To the Death (1992) Fino alla morte
- Bloodmatch (1991) Cinema marziale d’autore
- The Bodyguard 2 (2007) E noi a John Woo lo parodiamo!
- Kickboxer 2 (1991) Quando Qissi mollò Van Damme
- The Heroic Ones (1970) I 13 figli del Drago Verde
- The Fifth Commandment (2008) Rick Yune ci crede, ma solo lui!
- Super Bodyguard (2016) La leggenda del calcio d’acciaio
Aggiungo solo Amen, veramente una porcheria, meglio dieci volte la particina di Tony Jaa in in Fast7 (dover sembrava già una scimmietta ammaestrata… Ma almeno menava!) che tutto questo film, tristissimo vedere uno come Jaa che ha rilanciato (per un pò) i film di arti marziali anche al grande pubblico, perdersi così… Cheers!
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Uno spettacolo davvero triste. Una volta mi facevano impazzire, le Hongkongate coi cavi, ora invece mi irritano…
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Qualche volta, magari, basterebbe che ricordassero quanto l’uso altrimenti “spettacolare” dei cavi sia ridondante -meglio, inutile- per chi già se la cava egregiamente di suo (non lo rendi di certo più iperbolico, anzi, gli tarpi soltanto le ali). Sempre che, di questo passo, qualcuno non stia già pensando di attaccare ai cavi pure Sammo Hung e Donnie Yen…
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Sammo e Donnie hanno usato cavi, ma sanno dosare così bene che non disturbano affatto. Tony è un cascatore, è uno che sa usare la gravità a proprio vantaggio, per cui vederlo rimanere in aria è imbarazzante. Hong Kong ha rivoluzionato il mondo con il suo “wire work” ma ormai il mondo è cambiato e invece continuando a fare gli stessi identici film degli anni 70.
Lo dimostra l’indonesiano “Merantau”, splendido ma strapienissimo di cavi: lo stesso identico cast tecnico-artistico gira poi “The Raid” quasi senza cavi ed è successo internazionale.
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Dove si dimostra che con un uso limitato o assente dei cavi si può lo stesso far funzionare il tutto egregiamente (anche in presenza di artisti -come nei casi di Donnie e Sammo, appunto- che sappiano comunque equilibrare apporto tecnologico e marzialità)…
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Purtroppo la concorrenza interna è tanta, HK ne sforna a vagonate di questi film e le coreografie devono essere sempre più spettacolari, sfidando ogni legge fisica. Ma paradossalmente più la coreografia è arzigogolata più sembra uguale a tanti altri filn simili…
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