High Kicks: intervista a Loren Avedon

Nel novembre del 2009 riuscii a contattare tramite facebook l’attore Loren Avedon, nome ben noto agli amanti del cinema di arti marziali degli anni Novanta: l’intervista che organizzai è stata pubblicata su ThrillerMagazine il 19 novembre 2009, quindi mi sembra il momento di ripresentarla.


Il californiano Loren Avedon (classe 1962) è un attore marziale che dal finire degli anni ’80 ha partecipato all’ondata di gongfupian che Hong Kong ed USA hanno prodotto per sfruttare il rinnovato interesse del pubblico. I suoi film arrivano in Italia nei primissimi anni ’90, quando cioè la Van Damme-mania sta esplodendo in tutta la sua forza (sulla locandina del suo primo film distribuito nelle videoteche campeggia la falsa scritta «Dai produttori dei film di Van Damme»!) e il pubblico chiede sempre più titoli.

Praticante di tae kwon do di lunga data (fra i cui insegnanti campeggiano i fratelli Simon e Phillip Rhee), viene comunque associato alla kickboxing per seguire la moda. Deve il suo successo principalmente alla produzione di Hong Kong, ma ha girato film anche negli States, lottando sullo schermo con molti suoi illustri colleghi, come Cynthia Rothrock, Billy Blanks, Keith Vitali, Jalal Merhi e tanti altri.
La rivista “Variety” l’ha definito «l’alto Bruce Lee dagli occhi azzurri».

Nel 1997 dirige il suo primo film Riscatto mortale, e partecipa a diversi telefilm come Baywatch e Più forte ragazzi (Martial Law). Ecco infine la sua pagina Wikipedia, creata da me il 13 settembre 2004.

Ho chiesto a Loren di parlarci di sé e del suo lavoro.
Il testo fra parentesi quadre sono mie precisazioni.

Quando hai cominciato a praticare (ed amare) le arti marziali?

Mi sono innamorato per la prima volta delle arti marziali nel 1973, quando vivevo in Inghilterra. Durante una vacanza nella città di Bath ebbi la fortuna di vedere al cinema un film di Bruce Lee [Dalla Cina con furore]: quel film e Bruce stesso mi hanno cambiato la vita. Sette anni dopo cominciai ad allenarmi al Jun Chong Tae Kwon Do di Los Angeles: all’epoca non c’erano molte scuole di kung fu e karate in L.A. Conoscevo dei ragazzi che già frequentavano quella palestra, così mi iscrissi al corso e tutto ebbe inizio: avevo trovato la mia passione.

Con Cynthia Rothrock in Artigli di Tigre: il ritorno

Quando hai deciso di diventare un attore? E come ci sei riuscito?

Avevo un amico attore a scuola. Mi invitò alla sua classe di recitazione dove incontrai Alan Landers, il mio primo e più importante insegnate di recitazione. Partecipai ad una lezione e lui mi diede una scena da interpretare: ero così nervoso di leggere anche solo poche righe scritte su un foglio che capii che se avessi deciso di fare l’attore avrei dovuto studiare molto duramente. Sono stato contento di aver preso questa decisione quando, circa un anno e mezzo dopo, ho avuto la mia prima occasione.

C’è un regista o un attore con cui hai amato lavorare?

Ho amato lavorare con tutti. Ma il maggior divertimento l’ho provato lavorando combattendo con Hwang Jang Lee [in Artigli di Tigre: il ritorno], così come recitare con Richard Jaeckel, Max Thayer e James Hong. Richard era un vero professionista, ci siamo divertiti a recitare insieme [ne Il re dei Kickboxers]: oltre che un grande attore era una grande persona. James è molto umile malgrado sia un grandissimo attore: ci siamo divertiti a riscrivere le scene di Operazione Golden Phoenix per renderle più interessanti. Max l’ho incontrato nel mio primo film da protagonista [in Artigli di Tigre: il ritorno]: un mentore eccezionale.

Hai interpretato film da Hong Kong agli USA: ci sono differenze fra queste cinematografie?

Certamente. I cinesi lavorano molto più sodo ed hanno uno standard d’azione molto alto: negli Stati Uniti usano infatti team tecnici di Hong Kong, oppure creiamo noi stessi le nostre coreografie. Quando lavori con grandi artisti marziali puoi creare grandi cose.
Negli Stati Uniti eravamo sul filo del rasoio e nel 1995 io produssi The Silent Force, che doveva essere il primo di molti film d’azione. Purtroppo il film e i suoi incassi furono rubati da una donna che si appropriò anche della nostra idea: lei fece altri otto film prima di essere bandita dal mercato cinematografico. Ci eravamo andati vicino, ma come in ogni business quando inizi devi fare concessioni e sperare che la gente sia onesta: a noi andò male. [Avedon interpreterà poi The Silent Force nel 2001 per la regia di David H. May.]

Cosa ne pensi della differenza fra le arti marziali al cinema e quelle “vere”?

Penso sia importante comprendere che le arti marziali sono una disciplina o un’arte che può trasformare il praticante in una versione migliore di sé. Le arti marziali nei film lo fanno sembrare facile, con inquadrature e trucchetti, ma si sa che per creare un qualsiasi combattimento complesso è meglio essere dei professionisti. Non puoi mettere lì qualcuno che conosce le arti marziali solo per averle viste al cinema e poi pretendere che gestisca un combattimento contro cinque avversari. Voglio dire, non metteresti una pistola carica in mano ad un bambino: qualcuno si farà male!

Con i cinesi, per esempio, devi essere un vero artista marziale. Abbiamo eseguito la maggior parte delle coreografie sul posto: non c’erano settimane di allenamento prima di girare, quindi facevi meglio ad avere parecchie frecce al tuo arco altrimenti venivi sostituito dallo stuntman, e per un qualsiasi attore marziale… be’, non è bello! Ho sempre voluto eseguire da me i miei stunt. A volte me l’hanno impedito, perché se  mi fossi fatto male avrei bloccato la lavorazione del film.

Contro Billy Blanks ne Il re dei Kickboxers

Se non ti alleni per diventare esperto nel tuo lavoro, gli altri esperti se ne accorgono e alla fine anche il tuo pubblico. Pensa a Matt Damon che ha ammesso d’essere stato aiutato da 154 stuntman… ed ha avuto anche settimane e settimane per provare ed allenarsi! Ovviamente ci si fa male a combattere, e lui era così dolorante che ha dovuto far finire le scene al suo team: comunque lo ammiro perché ha fatto funzionare le sue scene.

In questi tempi puoi fare di tutto, con gli stunt-double o gli effetti speciali più disparati: io preferisco il combattimento vero, saldo a terra, che mostra senza veli che è proprio l’attore ad eseguire le tecniche… anche se salvo un uso minimo dei cavi. È tutta questione di quali siano i propri standard d’eccellenza.

Ci sono sequenze marziali da uno dei tuoi film a cui sei particolarmente legato? E se sì, perché?

Ce ne sono un po’. Il combattimento finale con me e Keith Vitali in American Kickboxing, perché è stato così divertente e spaventoso eseguire parte del combattimento ad un’altezza di 10 metri, sospesi in aria su una impalcatura da pittori.

Il combattimento finale contro Matthias Hues in Artigli di Tigre: il ritorno, perché è stato grandioso lavorare con Corey Yuen.

E ovviamente quello con Billy Blanks ne Il re dei Kickboxers, perché eravamo un duo molto affiatato, e i cinesi erano stupefatti della nostra velocità e precisione.

Tutti combattimenti ottimi, finiti nella Top Ten delle migliori coreografie cinematografiche stilata dalla rivista “Black Belt Magazine”, superati solo da Bruce Lee stesso!

C’è qualche aneddoto (divertente o inquietante) riguardante la lavorazione di uno dei tuoi film?

Uno in particolare. Una domenica, a Bangkok, giravamo la scena iniziale di Artigli di Tigre: il ritorno, dove il tuk tuk [taxi a tre ruote tipico della Thailandia] attraversa la città. I cinesi volevano mettere una telecamera Arriflex da 35mm (e da 300 mila dollari!) sul cruscotto per riprendere il punto di vista del veicolo attraverso il traffico, ma il guidatore thailandese si oppose, facendo loro presente che tutti quei veicoli erano stati benedetti da monaci per la loro sicurezza, e che quindi a noi era stato ben specificato di non toccare mai il cruscotto, ad eccezione della radio.

I cinesi fecero a meno del guidatore e montarono lo stesso l’apparecchiatura sul tuk tuk, guidandolo in mezzo al traffico: il veicolo si ribaltò dopo neanche trenta secondi dalla partenza. La camera schizzò via e finì, in pezzi, ad almeno 10 metri di distanza… e questo dopo mesi di lavorazione in cui non c’era stato un solo incidente sul set! Tutta la troupe corse a comprarsi catenine d’oro del Buddha, che si tenne addosso fino alla fine delle riprese, ed io fui testimone del karma in azione!

Poi ci fu quella volta in cui la milizia libanese [durante le riprese di Operazione Golden Phoenix] giocò alla roulette russa davanti ai miei occhi, a Beirut. Quella cosa mi fece rizzare i capelli in testa. La vita è un’avventura, ed io mi sento fortunato per le opportunità che ho avuto: e sono sicuro che tanto altro è da venire!

Ringrazio Loren Avedon per la sua simpatia e cortesia.

L.

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16 risposte a High Kicks: intervista a Loren Avedon

  1. Conte Gracula ha detto:

    L’ultimo aneddoto è agghiacciante!

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    Bellissima intervista! Aneddoto “agghiacciante”, concordo. E delle tre sequenze di combattimento preferite ne ho viste due! Mi manca quella con Vitali!

    Piace a 2 people

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