Ouija House (2018) Non giocate in quella casa

Quando su Prime Video scopro l’esistenza in italiano di un film dal titolo acchiappone, Ouija House, non posso che far scattare lo specialone zinefilo!

Per l’occasione ripesco una “indagine marlowiana”, apparsa sul mio blog “Non quel Marlowe” il 29 settembre 2020, per spiegare la scottante questione del termine “ouija”, che in Italia ha creato parecchi problemi a traduttori e doppiatori.

Se volete saltare tutto lo spiegone, eccovi un utile Indice per andare alla sezione che vi interessa di più.


Indice:


Ouija:
come si traduce in libri e film

Questa “indagine” giaceva dimenticata da cinque mesi quando una notte il demone Evit mi è apparso, dal suo blog, affrontando lo stesso argomento – anche se limitato alla trilogia filmica di Spiritika – quindi ora devo esorcizzarlo ripescando il frutto di ricerche condotte durante la serrata pandemica che ha inaugurato il 2020.

Come si traduce in italiano una parola che non esiste in questa lingua? Secondo il notaio Marco Marzocca (del Pippo Chennedy Show) i casi sono tre: è possibbole, non è possibbole, è impossibbole. I traduttori italiani volta per volta hanno adottato tutti e tre i casi: è possibbole (traducendo bene), non è possibile (traducendo male), è impossibbole (cancellando la parola).

Ecco la curiosa vita italiana della tavola evocatrice.


Ouija board: mi aiuterai?

Curiosamente ricordo ancora la prima volta che ho conosciuto il termine ouija board, avevo quindici anni ed ero un grande patito di videoclip: VideoMusic era il mio canale televisivo d’elezione e grazie al videoregistratore di casa potevo riempire videocassette intere di videoclip. (Per fortuna piacevano anche a mia madre, quindi le costosissime cassette dell’epoca le pagava lei!)

Ouija board, quale sarà il nome di questo cantante?

Alla fine del 1989 esce il singolo Ouija Board, Ouija Board con relativo videoclip, un brano “strano” come “strana” è la voce del cantante. Steven Patrick Morrissey, noto semplicemente come Morrissey, ha da poco lasciato il gruppo The Smiths ed inizia la sua carriera solista, ma io all’epoca non ne sapevo niente… né lo sapevano i curatori di VideoMusic, che nei videoclip scrivevano “Paul Morrisex”: è stata dura ritrovare il cantante partendo dal nome sbagliato con cui per decenni l’ho conosciuto, ma per fortuna ho ancora un suo vecchio videoclip e sono risalito a lui dal testo di quella canzone.

Userò le parole di Morrissey per guidarmi in questo viaggio nel gioco da tavola che ha fatto impazzire i traduttori italiani.


Ouija nell’editoria italiana

«Ouija board, ouija board, Ouija board
Funzionerai per me?
Devo dire addio
ad una vecchia amica»


Stando al saggio Ouija (The Most Dangerous Game, 1985) di Stoker Hunt (Edizioni Mediterranee 2016) risale al 1891 il brevetto depositato dall’avvocato Elijah J. Bond riguardante la Ouija board, un’invenzione per sfruttare l’esplosione dell’occulto nel mondo anglofono: stando però alla rivista “American Heritag” (aprile 1983, citata da Hunt) l’anno successivo i diritti sono stati comprati da William Fuld, e lui sì che ha fatto i soldi veri commercializzando la tavola.

Secondo il “New York Tribune” (24 dicembre 1919) all’alba degli anni Venti nell’Università del Michigan c’erano più Ouija board che Bibbie, fra le comunità studentesche. Nel 1966 la Parker Brothers, regina dei giochi per ragazzi, comprò i diritti della tavola e ne trasferì la produzione a Salem: quale posto migliore se non la storica città delle streghe? Da allora la Ouija board ha scalzato lo storico Monopoli nei record di vendita.

Probabilmente la prima apparizione in Italia della ouija board risale al 1971, insieme a quell’esplosione dell’occultismo che avrebbe infiammato l’editoria nostrana per il decennio a venire, rendendo addirittura un autore ignorato come Lovecraft un nome di culto (come ho raccontato). In questa data infatti la Mondadori presenta il romanzo L’esorcista (1971) di William Peter Blatty (oggi in eBook Fazi Editore 2012).

«Notò la scatola della tabella Ouija

A parte la “tavola” diventata “tabella”, il termine viene usato tranquillamente senza timore che il pubblico possa non capire.

«L’occulto è qualcosa di diverso. Io me ne sono sempre tenuta lontana. Ritengo che metterci le mani possa essere pericoloso. E questo include anche lo scherzare con una tabella Ouija

Malgrado l’autore metta in guardia dall’affrontare l’occulto senza criterio, la passione (e la creduloneria) non si può fermare. Ce lo racconta addirittura Groucho Marx nella sua biografia Memorie di un irresistibile libertino (Memoirs Of A Mangy Lover, 1962).

«Le ho viste [le donne] sedute per ore, febbrili e con gli occhi spiritati, intorno a un pezzo di legno irregolare chiamato Tavola Ouija. Se osavi dire che erano loro stesse a farlo muovere, ti mostravano i denti perlacei ingiungendoti di chiudere il becco e di levarti dai piedi.»

La Rizzoli porta il libro in Italia nel 1975, senza problemi nel citare la tavola.


Nel 1979 la milanese SIAD, esperta in fanta-horror, presenta ai lettori italiani con quarant’anni di ritardo La casa degli invasati (The Haunting of Hill House, 1959, in eBook per Adelphi 2012): sarebbe bello mettere le mani su quella prima traduzione italiana di Franco Giambalvo, invece è più facile reperire quella di Antonio Ghirardelli per “Urania” (Mondadori) n. 1333 (aprile 1998).

«Penso che forse, dopo cena, terremo una sessioncina con la planchette.» La risposta a questa affermazione è: «Ma Planchette chi è?», al che il dottor Montague parte con la sua spiegazione, rivolta ovviamente molto più ai lettori che ai personaggi:

«La planchette è un aggeggio simile alla ouija, ma forse posso spiegare meglio dicendole che è una forma di scrittura automatica, un metodo per comunicare con… ehm… esseri intangibili.»

Dunque Montague dà per scontato che tutti sappiano cosa sia una ouija, e più avanti spiega:

«La ouija, come ho detto, è molto simile alla planchette, solo che l’oggetto si muove su una tavoletta indicando le diverse lettere separate. Un comune bicchiere da vino potrebbe fare la stessa cosa.»

L’ultimo esempio fa capire che la oujia è un po’ “popolana”, volgarotta, mentre la planchette è più di classe, roba per veri signori, infatti è questo lo strumento che viene usato nel romanzo.

Solo nel 1992 arriva nelle librerie italiane, con vent’anni di ritardo, Visioni di morte (The Vision, 1977) di Dean R. Koontz, autore che all’epoca riempiva gli scaffali perché la Sperling & Kupfer cercava di spacciarlo agli amanti di Stephen King.

Il traduttore Vittorio Curtoni, una delle grandi colonne portanti della fantascienza in Italia, non ha problemi a lasciare intradotta l’espressione ouija board:

«A volte, se nient’altro funziona, l’ouija board riesce a metterla in comunicazione col suo inconscio».

Visto che il romanzo ha per protagonista una veggente, l’uso dell’espressione è ampiamente utilizzata durante la narrazione.


Gli autori del “mistero” a cavallo fra Settanta e Ottanta spesso e volentieri citano la ouija board senza che i traduttori italiani intervengano né che i lettori nostrani dimostrino di avere problemi nel capire.

«Scrissi una lettera al presidente Kennedy, ammonendolo di stare lontano da Dallas, perché mentre teneva un discorso per tivù vidi un teschio al posto della sua faccia; consultai i tarocchi e la tavoletta ouija e scoprii che Kennedy aveva un potente nemico a Dallas»
(da Tenebre, 1987, di Robert McCammon)

Anche Stephen King non è rimasto immune al fascino della tavoletta:

«Aveva letto che la scrittura automatica, che si può praticare con l’aiuto di una tavoletta Ouija, spesso veniva esumata come gioco di società, giusto per scherzare, e che per questo poteva trasformarsi in un esercizio molto pericoloso, per il rischio di rendere chi vi si disponeva estremamente vulnerabile a qualche forma di possessione.»
(da La metà oscura, 1989)

Curiosamente il termine che può creare traduzioni alternative è board, come Anna Montanari che nel 1992 per Euroclub traduce Fury (1989) di John Coyne: «Non ho mai giocato con la lavagna Ouija».

Che i lettori conoscano la tavola o meno, ouija è un termine usato tranquillamente nell’editoria. Quando però si parla di film… il discorso cambia parecchio.


Ouija nel doppiaggio italiano

«Ouija board, ouija board, Ouija board
Mi aiuterai?
Perché continuo a sentirmi
così terribilmente solo»


Per capire l’argomento di cui stiamo parlando, ci rivolgiamo ad una delle più celebri presentazioni della ouija board, all’interno de I 13 fantasmi (13 Ghosts, 1960), uno dei filmetti fantasmosi del celebre William Castle che poi decenni dopo sono diventati titoli di culto fra gli appassionati.

Ogni casa stregata ha la sua ouija board

Mentre la famigliola protagonista sta parlando con l’avvocato dell’eredità ricevuta (una casa piena di fantasmi!), il figlio più piccolo chiede al padre: «Cosa significa uì-ia?» In mano ha una ouija board impolverata trovata in un cassetto segreto. La risposta del padre è illuminante:

«È una tavola da gioco. Guarda: oui in francese significa “sì”, ja significa “sì” in tedesco.»

Oui per “sì” e ja per… be’, di nuovo “sì”

Per rispettare questa spiegazione il doppiaggio italiano fa appunto dire uì-ià al bambino, come se appunto unisse le pronunce delle due parole straniere, ma in lingua originale è diverso: il bambino la chiama ùgia, mentre il padre lo corregge con uìgia, che è la pronuncia “ufficiale” ancora oggi.

Purtroppo la prima apparizione italiana di questo film risale alla messa in onda di Rai3 del 10 settembre 1996 e non si sa se è lo stesso doppiaggio conservato oggi dal DVD Sinister 2012. Questo film dunque non ha contribuito molto al mito della tavoletta fra gli spettatori.


Sicuramente il film più seminale è stato L’esorcista (The Exorcist, 1973) di William Friedkin (in DVD Warner più volte ristampato).

Malgrado molte fonti affermino che è da questo film che la ouija board è “esplosa” nell’immaginario collettivo, in realtà la tavola si vede in una scena di meno di due minuti in cui la giovane Linda Blair afferma di usarla per parlare con Capitan Gario (Captain Howdy). Fine. Dubito fortemente che un oggetto ampiamente noto da decenni abbia avuto bisogno di pochi secondi buttati nel calderone di un film per “esplodere”.

La giovanissima Linda Blair che chiede alla ouija che carriera avrà da grande

Curiosamente nel film la tavola non viene mai nominata, eppure il “pittoresco” doppiaggio italiano mette in bocca alla madre, doppiata da schifo, un bisbiglio che solamente i pipistrelli possono sentire: interrogati, i pochi pipistrelli che hanno potuto avvertire la ridicolmente bassa voce italiana dicono che il personaggio chiami la tavola «Chiama-spiriti», assente nell’audio originale.


Iniziano i rutilanti anni Ottanta e la cultura popolare esplode in ogni genere. Esce Amityville 3D (1983) di Richard Fleischer (in DVD Medusa 2003) e in originale viene pronunciata questa frase:

«The ouija board only works if everybody cooperates and believes

Finora non esistono prove che la tavoletta sia mai stata chiamata per nome in un film in lingua italiana, magari il pubblico non è ancora pronto: meglio doppiare la frase cambiandola completamente:

«Mettiamo il bicchiere al centro.»

La frase è più corta, ma la scena ha molti stacchi sui primi piani dei personaggi, quindi spesso chi parla non è inquadrato e così è risolto il problema del labiale. Ad onor del vero va specificato che non esistono prove di distribuzione italiana di questo film prima del 1989 su Italia1, ma sempre negli anni Ottanta rimaniamo.

Nel febbraio 1984 la RAI lancia l’iniziativa di presentare una serie di film inediti anni Trenta con protagonista il detective cinese Charlie Chan, doppiandoli per l’occasione. Domenica 30 marzo 1984 va in onda su Rai2 Charlie Chan. L’ora che uccide (Charlie Chan’s Secret, 1936) di Gordon Wiles.

Per questa occasione lo storico Charlie Chan interpretato da Warner Oland interroga la padrona di casa e scopre che la donna dopo cena passa di solito del tempo con «l’alfabeto medianico», splendida e sorprendente traduzione di ouija board. Peccato che l’antica usanza di tradurre in italiano si perderà ben presto: in fondo siamo in Italia, perché mai dobbiamo parlare italiano?

Charlie Chan e l’alfabeto medianico

Finora il doppiaggio italiano ha fatto il vago, ma quando arriva in Italia Spiritika  (Witchboard, 1986) di Kevin Tenney (in DVD Stormovie 2010) il problema si fa dannatamente serio.

Durante la solita festicciola fra amici qualcuno propone di fare una seduta con la «tavola uìgli», una storpiatura che rende bene il concetto: il personaggio pronuncia male il nome («wee-gee board») e viene corretto, «Si chiama uìglia, è l’unione del vocabolo “sì”, in francese e in tedesco: uì-glià».

Torna l’accezione del film I 13 fantasmi (1960), che ha molto più senso in italiano visto che in originale il “sì” tedesco viene pronunciato glià rendendo incomprensibile perché poi la tavola la pronuncino uìgia.

Quale serata tra amici non finisce con una tavola ui-glià?

Il doppiaggio di Settembre (September, 1987) scritto e diretto da Woody Allen (in DVD MGM 2008) non ne vuol sapere di pronunce strane e si affida alla stessa scelta posticcia dell’Esorcista: «my old ouija board» in italiano diventa «La mia vecchia chiama-spiriti».

Non voglio sentire né ouija, questa è una chiama-spiriti

Arrivano gli anni Novanta e portano seguiti con sé, quindi non stupisce l’apparizione di Spiritika 2. Il gioco del Diavolo (Witchboard 2: The Devil’s Doorway, 1993), sempre scritto e diretto da Kevin Tenney, ma stavolta i doppiatori italiani sono diversi e quindi la uìglia del primo film diventa ùgia.

Tie’, pure la Grande Storia della Ouija!

Il terzo seguito – Spiritika 3. A letto con il demonio (Witchboard III: The Possession, 1995), stavolta con Peter Svatek alla regia – si apre con un doppiaggio italiano sempre più confuso: «Quando ho scoperto l’o-uìgia…» Perché i doppiatori delle saghe filmiche se ne fregano sempre degli episodi precedenti?

Ma in quanti colori le fanno, ’ste tavole?

All’alba dei Duemila troviamo Le verità nascoste (What Lies Beneath, 2000) di Robert Zemeckis (in DVD Koch Media 2002).

È il momento di iniziare gli anni Duemila

La protagonista vede una donna fantasma nella propria casa e chiede consiglio ad uno psichiatra, che la spinge a prendere contatto con lei.

«Vuole che vada a comprare una di quelle tavole uìgia

Dunque ci siamo? Il doppiaggio italiano ha capito come si pronuncia ouija? Non credo, perché poi arriva Le insolite sospette (Sugar & Spice, 2001) di Francine McDougall (in DVD Eagle Pictures 2003). All’inizio del film le ragazze protagoniste usano la ouija board per scoprire se il capitano della squadra si metterà con una di loro, ma la board diventa «tabellone», neanche stessero giocando a tombola.

La situazione però diventa tragica con Long Time Dead. Morti da tempo (Long Time Dead, 2002) di Marcus Adams.

Il doppiaggio italiano si sforza e ci va vicino, anche se la ouija board diventa «la tavoletta uià», una pronuncia stentata che nel corso del film si cerca di evitare, sostituendola con un più generico «seduta spiritica». In un altro punto per evitare di pronunciare ouija board viene usata una sineddoche, cioè si cita una parte per indicare l’oggetto completo: «il bicchierino ha composto la parola», così indicare una parte della ouija board permette di evitare di nominarla. Più avanti diventa «una seduta col bicchierino».

A metà film i doppiatori devono essersi visti I 13 fantasmi e cambiano pronuncia, passando al uì-glià del vecchio film.

Il bilancio è che su un totale di otto volte che nel film viene nominata la tavoletta, solamente tre corrispondono ad una effettiva citazione nel doppiaggio italiano: perché a questo punto non cancellare definitivamente l’espressione?

Non tutti i doppiatori hanno voglia di impelagarsi in pronunce stentate, come ci spiega White Noise. Non ascoltate (2005) di Geoffrey Sax (in DVD Universal 2005).

Il protagonista si rivolge ad una medium “vera” la quale lo mette in guardia dal giocare con gli spiriti senza gli strumenti adatti: «It’s like homemade Ouija boards and teenage séances at Halloween». Fa dunque due esempi di situazioni molto pericolose: ouija board fatte in casa e adolescenti che giocano a fare i medium ad Halloween. Per evitare di tradurre ouija, il doppiaggio italiano fonde i due esempi in uno solo:

«È come le sedute spiritiche col bicchierino che i ragazzi fanno in casa ad Halloween.»

Il risultato alla fin fine è lo stesso, lo sfogo della medium rende molto bene e si evita che qualche spettatore nostrano si chieda cosa sia una ouija board.


Ogni doppiatore pare scegliere per conto suo, così per esempio abbiamo Paranormal Activity (2007) di Oren Peli che usa la pronuncia giusta: «Perché non prendiamo una tavola uìgia?» Ma poi abbiamo Ghost Team One. Operazione Fantasma (2013) di Ben Peyser e Scott Rutherford (in DVD Universal 2014), che torna di decenni indietro e pronuncia uìglia.

È la Casa delle Libertà: pronunciamo un po’ tutti come cacchio ce pare

Arriviamo finalmente a Ouija (2014) di Stiles White (in DVD Universal 2015), film con la tavoletta nel titolo. Torna la pronuncia esatta, uìgia, ma il termine viene pronunciato solamente due volte: curioso, per un film con quel titolo.

Perché in un film dal titolo “Ouija” si cerca di non pronunciare mai quel nome?

L’espressione ha ancora oggi problemi con il doppiaggio italiano, visto che si cerca sempre di non tradurla, come in Armed Response (2017) di John Stockwell:

«Somebody see if we got a ouija board?».

«Vogliamo fare una seduta spiritica?»

Il senso è lo stesso, ma è un segno di sfiducia da parte dei doppiatori nell’effettiva conoscenza della tavola da parte del pubblico generico. Sempre che i doppiatori stessi sappiano quale sia la pronuncia giusta.


Conclusione

L’abbiamo visto con gli zombi di Star Trek, i lettori sono sempre più informati degli spettatori, e la resa italiana di ouija board dimostra che un termine ampiamente usato in narrativa non ha mai trovato una versione sicura e condivisa al cinema. Eppure è un gioco da tavola (ma che gioco è, poi?) destinato a luminoso futuro, come ci testimonia Peter David:

«Quando era un giovane Klingon e si trovava sulla Terra, una ragazza che viveva nella casa accanto alla sua aveva una specie di gioco antico che chiamava “la tavoletta ouija”.»
da Star Trek: The Next Generation – Imzadi II  (1996) di Peter David (Fanucci 1999)


Ouija House (2018)

Mi piace pensare che minuscole casupole si siano sforzate di tirare fuori questo piccolo prodotto nel 2018 come ideale proseguimento di titoli di maggior richiamo: Ouija (2014), Ouija: l’origine del male (2016) ed ora Ouija House.

Sentivate il bisogno di un altro film sull’argomento?

L’apparizione in scena di Tara Reid per un attimo ci fa sperare che qualche volto noto allieterà la nostra visione, ma appunto è solo un attimo, giusto il tempo di fare un prologo nel passato.

Tranquilli, non recito nel film: sono giusto venuta a fare un saluto

Il personaggio in seguito, per quel poco che apparirà, sarà interpretato da Dee Wallace, la storica protagonista de L’ululato (1981).

Ti giuro, mi sono trasformata in lupo in diretta nazionale!

L’avvio è di quelli freschi e innovativi: un gruppo di giovani vuole fare una vacanza fuori dal normale e si infila in una situazione pericolosa per motivi idioti. Ammazza, roba nuova, mai vista! Per fortuna i due sceneggiatori – che non meritano di essere menzionati – lavorano poco, perché il cinema di serie Z non ha davvero bisogno della loro visione innovativa.
Comunque i soliti giovani dementi degli horror si imbucano di nascosto in una villa disabitata malgrado il custode, stanati gli inquilini abusivi, li metta in guardia: cose brutte sono successe a chi ha abitato quella casa, come per esempio finire protagonista di un filmaccio horror.

C’è la scalinata ma non è una Psycho House, bensì una Ouija House

Si sa che i giovani dei film horror non hanno nulla da fare: almeno negli anni Ottanta si poteva far spogliare le donne, che il tempo passava più veloce, ma ora non si può quindi… che si fa nella villa disabitata? Facciamoci una bella partitona a ouija, che è un gioco che proprio ridi di gusto dall’inizio alla fine…
È davvero immotivato l’entusiasmo dei personaggi al pensiero di “giocare” a ouija, visto che non è un gioco sebbene sia venduto come tale, ma in fondo è inutile questionare su un genere – l’horror – che non ha mai basato sulla logica e il buon senso la sua forza.

Vai con la tavola, ci si diverte a bestia!

Non ci crederete, tanto è innovativa l’invenzione, ma “giocando” a ouija i nostri scoprono che c’è un demone che fa la sua cosa nella casa, ma a questo punto va svelata un’idea stavolta davvero originale: invece di usare la solita tavola… perché non scriviamo le lettere sul corpo di una ragazza svestita e giochiamo a ouija su di lei?
Questa scelta avrà un motivo, cioè punire la svergognata che si è mostrata in biancheria e disinibita, azioni che per la morale degli horror equivalgono a morte sicura, comunque la trovata è fresca e stupisce trovarla in un film fatto solo di luoghi comuni.

Ah, demone curioso…

L’altra trovata sorprendentemente intrigante è quella che dà il titolo al film: i nostro beoti, nei loro disperati tentativi di sopravvivere al demone della villa, scoprono che è l’intera casa un’enorme tavola oujia, con le lettere nascoste sotto la carta da parati. La trovata non corrisponde poi ad uno svolgimento soddisfacente, ma già è una bella sorpresa trovare idee simpatiche in spazzatura come questa.

Faccio la mia ouija nella casa, della casa faccio la mia ouija

Com’è facile immaginare, Psycho House è una stupidata di serie Z al cubo piena di luoghi comuni ammuffiti, eppure un paio di idee carine è riuscita a tirarle fuori, quindi ha già due punti i più rispetto allo zero che di solito totalizzano questi prodotti.

C’è pure il librone misterioso scritto in alfabeto farfallino

Da qui a consigliarne la visione ce ne passa, ma se vi piace l’horror di grana grossa, pressoché senza trama e senza logica, oltre che senza mezzi, allora è una visione da mettere in conto.


L.

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48 risposte a Ouija House (2018) Non giocate in quella casa

  1. Zio Portillo ha detto:

    Pensa te… Io ero rimasto alle ragazze nude da usare come tavolino per mangiare il sushi, mica ci avevo pensato a scarabocchiarci sopra e a usarle come una tavoletta Oui-Ja… No, Ouigia… No, scusa Oigia… Gegia… Vabbè, hai capito.

    Comunque ricordo che da ragazzino a scuola, avevo una compagna di classe appassionata di ‘ste cose (tarocchi, spiritismo, magia bianca,…) e durante le ore buche o nelle immancabili autogestioni, scarabocchiava su un foglio protocollo le lettere, i numeri il “si” e il “no” e con un tappo di plastica facevamo le seduta spiritiche. Tutto alla buona, pensa che i tarocchi non li faceva con le carte giuste ma con le carte da briscola. Invece una mia ex collega usava le carte dei tarocchi. Però le usava come “metodo di rimorchio”…

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  2. wwayne ha detto:

    E’ vero, per un bel pezzo Dean Koontz ci è stato spacciato come il nuovo Stephen King. Un’etichetta che lo ha ammazzato, un po’ come Christian Slater fu stroncato sul nascere da coloro che in gioventù lo definivano il nuovo Jack Nicholson: effettivamente si somigliano nei tratti somatici e hanno entrambi una faccia da stronzo, ma come talento non c’è paragone, e quindi i critici avrebbero dovuto andarci cauti prima di buttare addosso un simile fardello ad un attore alle prime armi.
    Tornando al paragone tra Dean Koontz e Stephen King, un dato più di tutti fa capire quanto fosse blasfemo: Stephen King ha creato delle storie e dei personaggi che sono entrati nella cultura pop e nell’immaginario collettivo, facendo breccia anche su persone che detestano l’horror e/o che non hanno mai letto un libro in vita loro. Dean Koontz ha scritto tanti romanzi, ma non conosco il titolo di nessuno di essi – e di libri ne leggo tanti, quindi non sono io ignorante, ma è lui che nell’immaginario collettivo non è riuscito a mettere neanche un piedino.

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    • Il Moro ha detto:

      Beh Dean Koontz comunque è un autore famoso e tradotto un po’ ovunque, non proprio l’ultimo arrivato. Si sa che all’inizio della sua carriera non se lo cagava nessuno, e allora fece un patto con la moglie: per un anno l’avrebbe mantenuto lei, e se entro quell’anno non fosse riuscito a sfondare avrebbe smesso con questa cazzata dei romanzi e si sarebbe cercato un lavoro vero. Alla fine, è stata la moglie a mollare il lavoro per dedicarsi a gestire i guadagni del marito!
      Ho letto alcuni romanzi di Koontz, ma ho preferito i primi, quando scriveva fantascienza. I suoi horror non li ho trovati niente di eccezionale. Certo che le copertine italiane lo accostavano tantissimo a King.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Koontz è un autore molto famosissimo e uno dei pochi che è stato trattato molto bene in Italia, dove sono arrivate caterve di suoi romanzi mentre autori molto più quotati hanno visto le loro opere pubblicate con il contagocce e in case che poi non hanno mai più ristampato le loro opere.
        Autori che decenni dopo sono considerati maestri dell’horror se lo sognano il trattamento italiano ricevuto da Koontz!
        Avendo scritto un mare di roba non può azzeccarle tutte, così come dubito che ci siano italiani che abbiano letto tutto di lui, ma di sicuro con tanti libri prima o poi qualcosa di suo capita sotto mano.
        Anch’io lo preferisco in campo fantascientifico, ma poi ho letto il suo Funhouse – novelization del pessimo film di Tobe Hopper – e l’ho molto apprezzato: in pratica la parte migliore del libro è quella creata da Koontz, perché quando passa a novellizzare quel filmaccio assurdo crolla tutto.
        Se oggi quelle poche librerie rimaste in Italia avessero davvero un reparto “fanta-horror”, invee di esporre sempre e solo la Fondazione di Asimov e roba di William Gibson, Koontz sarebbe sicuramente ancora lì sugli scaffali, visto che credo costi molto meno di King anche se è prolifico allo stesso modo 😛

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      • wwayne ha detto:

        Capisco che il paragone venisse spontaneo, che un simile accostamento fosse funzionale ad attirare i fan di King e quindi che portasse a vendere molte più copie; tuttavia, come ho scritto nel mio commento precedente, certi parallelismi possono seriamente nuocere alla carriera di un artista.
        Se ti piace la fantascienza, allora ti consiglio caldamente questo splendido romanzo: https://wwayne.wordpress.com/2021/05/01/scopriro-la-verita/

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  3. Evit ha detto:

    Sei andato lì dove io non ho osato. Bravo. Io ormai dopo l’analisi dei doppiaggi della serie Spiritika, se ci giochi non sai mika, non voglio più sentir parlare di maledetti tabelloni medianici stampati in massa nel Massachusetts 😄😄

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  4. Cassidy ha detto:

    Quindi è un film su una tavola Oiuja senza una tavola Oiuja 😉 Ormai la chiamo tavola Gigia perché la pronuncia nei film è sempre stata casuale, il post definitivo sull’argomento è molto meglio del film che lo ha ispirato. Cheers!

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  5. Madame Verdurin ha detto:

    Hai giustamente sottolineato che la ragazza che si spoglia (o peggio ancora, che fa sesso) è sempre la prima a morire; in Future Animals invece la prima a morire è quella che rifiuta di fare sesso col marito… ma insomma, che deve fare una donna per sopravvivere in un film horror??
    Userò una tavola Gegia per scoprirlo…
    Non so se dico una stupidaggine, ma può essere che si sia capito come le scene con l’Ouija siano impossibili da tradurre in un’altra lingua (salvo avere il terribile effetto “luci di Natale di Stranger Things”, se hai presente) e quindi cinematograficamente poco spendibili?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non so quanto gli americani si preoccupino della resa in altre lingue, di sicuro i doppiatori italiani non si fidano degli spettatori e partono dal presupposto che non sappiano nulla, mentre i traduttori sanno che i lettori sono molto ben informati. Che poi questo sia vero è tutt’altro discorso, ma a quanto pare è questo ciò che pensano.
      Malgrado l’esterofilia endemica, solo in tempi recentissimi la ouija pare essere entrata nell’immaginario collettivo, se ci pensi un tempo Halloween era tradotta in altri modi perché si riteneva ignota al pubblico.
      Sul comportamento delle donne nei film horror ci sarebbe da scrivere saggi a iosa! Strano che malgrado i profondi cambiamenti culturali degli ultimi anni, nel ritrarre donne nel mondo dell’intrattenimento, nessuno riesca a cambiare il modo di scrivere gli horror…

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  6. Willy l'Orbo ha detto:

    Mi pare di averlo visto ma ho scarsa memoria dei pochi pregi (tra l’altro condivisibili) che hai sottolineato, insomma doveva essere uno di quei film a cui ho dato così tanta fiducia da vederlo con un occhio chiuso e l’altro…orbo! Ahahaha! 🙂

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  7. Gioacchino ha detto:

    Anche gli spagnoli si sono fatti coinvolgere dalla tavola nel film Veronica (2017 su Netflix) che pare ispirato a una storia vera, il nome della tavoletta almeno nel doppiaggio cercano di evitarlo. I 13 fantasmi del ’60 è da recuperare.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      L’ho visto in tempi recenti, “Veronica”, e come tutte le storie vere l’ho trovato mortalmente inconsistente, nel suo supino ricopiare tutti i film simili americani. Speravo in un sapore un po’ più… spagnolo 😛

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  8. Giuseppe ha detto:

    La Tavola Gegia
    è pure un po’ bigia
    ma forse anche mogia
    e il medium si pregia
    di avere ‘sta uigia
    trovata per caso
    sulla battigia
    l’usura subisce
    poi diventa grigia
    e un poco si sfregia
    allor si pulisce
    con l’acqua ragia
    spariscon le strisce
    lo sporco si adagia
    e lei torna egregia 😀
    Quante storpiature, riscritture, ridoppiaggi e correzioni attorno al nome di un oggetto talmente comune nei film “spiritici” da non farci neanche più caso… “Ouija House” non l’ho visto ma, francamente, guizzi isolati di buone idee in mezzo alla Z più pura mi attirano molto meno rispetto a un tempo (se dev’essere Z allora sia, e lasci perdere ambizioni che poi non può sostenere).

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