Sayen (2023) E Rambo… muto!


Se vuoi far capire qualcosa agli occidentali, devi parlare la loro lingua. Vuoi far capire cosa si provi a tornare a casa e trovarci la guerra? Allora devi trasformarti in Rambo.

Il regista cileno Alexander Witt ha tante colpe da farsi perdonare, da Resident Evil: Apocalypse (2004) a Terminator Genisys (2015), e ci riesce dirigendo un piccolo ma potente film di genere, o meglio: un film che usa la narrativa di genere per raggiungere uno scopo preciso. Informare lo spettatore su ciò che ignorava.

Io per esempio ignoravo lo scottante problema dei Mapuche del Cile, che al contrario dei loro cugini pellerossa in Nord America non possono contare sui diritti delle minoranze che noi adoriamo, solo però quando vanno di moda: i Mapuche non se li fila nessuno, ammazzateli pure a casa loro. Chissà, magari ora che Witt ha raccontato la piccola storia di biechi tutori dell’ordine che hanno fatto incazzare l’indiana sbagliata, magari i Mapuche potrebbero addirittura godere di quello sdegno selettivo per cui noi occidentali siamo famosi nel mondo.

Gli adoratori del cinema italiano di genere ben conoscono Thunder (1983) di Fabrizio De Angelis, il Rambo Navajo: un nativo americano torna a casa, è aggredito dall’autorità bianca e scatena una guerra che non se la sogna neppure. Per lo stesso motivo tutti conoscono Indio (1989) di Antonio Margheriti, che peraltro può contare sullo stesso Brian Dennehy del vero Rambo (1982): un sudamericano non ci sta che i costruttori bianchi gli deturpino la terra natia e scatena una guerra che non se la sognano neppure.

Fondete questi due “ramboidi” ed avrete Sayen, che dallo scorso 3 marzo 2023 trovate in italiano su Prime Video.

Un po’ Rambo, un po’ Thunder, un po’ Indio…

È dal Cinquecento che i coloni europei e i loro eredi scassano le balle ai nativi Mapuche, che proprio a metà Ottocento hanno vissuto lo stesso massacro dei pellerossa. Quei pochi rimasti però non hanno potuto contare sul politicamente corretto, e visto che il Cile non vincerà il Nobel per il rispetto delle tante minoranze etniche che lo compongono, tranquilli che fra un po’ parleremo dei Mapuche al passato. Problema risolto.

Siamo nel Wallmapu, nel cuore del territorio natio dei Mapuche, e Sayen (Rallen Montenegro) torna a casa, viaggiando sul retro di un furgoncino esattamente come l’inizio di Thunder: manca solo la musica di Francesco De Masi e poi sarebbe una citazione perfetta. La ragazza è stata sei anni a studiare dagli winka (o huinca), cioè i bianchi, i cileni non nativi, ed ora è tornata a casa. Solo per scoprire, come John Rambo, che la guerra l’ha seguita.

Come aveva già anticipato Margheriti, la guerra non la fanno solo le Nazioni, la fanno anche gli spietati affaristi che sfruttano l’indifferenza dell’opinione pubblica per distruggere interi Paesi e spazzare via culture millenarie, per sfruttarne il ricco territorio.

Il Wallmapu è una vasta zona di natura incontaminata, un paradiso terrestre quasi alla punta più a sud del continente sudamericano, una zona che va da oceano a oceano: troppo bello per lasciarlo a quegli straccioni Mapuche. È tempo che gli eredi degli europei mostrino i loro geni dominanti.

Appena ho visto la cascata ho capito che la storia sarebbe finita male

La terra dove da sempre abita la famiglia di Sayen fa gola alla famiglia di grandi costruttori Torres, bianchi che più bianchi non si può, e qui scatta l’idea nuova, così innovativa che fa girar la testa: papà Torres è uno squalo ma sa muoversi con diplomazia, invece suo figlio Antonio (Arón Piper) è una testa calda in eterno sforzo per farsi accettare dal padre, provocando così sempre casini. Ammazza quanta freschezza di soggetto!

Dite la verità, nella vostra vita vi è mai capitato di vedere un film in cui il figlio di un potente non fosse un decerebrato totale, che combina i casini che portano al dramma della vicenda? Non si può neanche chiamare “schema”, semplicemente È il cinema: se vuoi raccontare una storia drammatica, il figlio di un potente (mafioso, politico, affarista, e che altro) dev’essere un coglione assoluto, non esiste alcuna alternativa. Va be’, l’ho detto subito che questo film non è innovativo per la vicenda.

Antonio cerca di convincere la nonna di Sayen a vendere la casa ma le trattative vanno male, nel senso che finiscono con la nonna ammazzata. Ed è qui che Sayen comincia ad incazzarsi.

Quello che i Torres non sanno è che alla ragazza hanno dato il soprannome weychafe, “guerriera”, che la sua famiglia combatte da sempre contro i cileni oppressori, che è stata addestrata sin da bambina… e che è in grado di scatenare una guerra che non te la sogni neppure.

È il momento di far partire la modalità Predator!

Metà Rambo, metà Thunder, metà Indio (e quante metà c’ha?), Sayen inizia la più antica pratica umana quando si affronta un nemico soverchiante: la guerriglia. Non a caso il termine italiano viene dallo spagnolo, visto che i coloni spagnoli devono averne conosciuta di guerrilla mentre sterminavano i Mapuche.

«La bastarda indiana gioca a darci la caccia.»

Antonio e le sue guardie del corpo sono un nemico impossibile da affrontare per una ragazza sola nei boschi, ma una ragazza sola nei boschi può trovare tanti modi di colpire e fuggire, di ferire un nemico così da rallentarlo, di nascondersi e, all’occorrenza… di rambare giù da un burrone!

A Rambooooooooooooo…..

Chi ha avuto la fortuna e il piacere di leggere lo splendido romanzo Primo sangue (1971), da cui Stallone ha tratto una libera e pallida reinterpretazione filmica, riconoscerà qui la vicenda quasi interamente ambientata nei boschi, anche se non c’è alcuna ambivalenza dei personaggi: qui lo sappiamo chi sono i cattivi e chi l’eroe positivo. (Nel romanzo sia Rambo che lo sceriffo sono cattivi, ma con ragione d’esserlo.)

— Cerchiamo Sayen, è in pericolo!
— No: con Sayen sono loro ad essere in pericolo.

Cos’altro vi serve per accettare che questo film è Rambo in salsa Mapuche?

«Lasciami stare o scateno una guerra che non te la sogni neppure» (cit.)

Anche se non sembra aver messo mano alla sceneggiatura, ci sono troppe “americanate” per non ipotizzare che Witt abbia condito la vicenda con ciò che ha imparato ad Hollywood, dove la regola è “prendi qualcosa di buono e massacralo finché diventi uguale a tutta la spazzatura che è già in giro”. Molte dinamiche dei personaggi sono scontatissime, sembrano uscire da un qualunque filmetto d’azione americano, compreso il cattivo gusto di avere una grintosa cilena – Miranda (Loreto Aravena) – che avrebbe potuto creare il momento in cui due donne di etnia e cultura diversa si affrontano… e invece tutto è sprecato. Perché la lezione americana è che le donne devono azzuffarsi (l’infausto catfight), mai combattere davvero fra di loro.

Si è persa una buona occasione per smentire le buffonate insegnate ad Hollywood.

La grintosa Miranda è un’ottima occasione purtroppo sprecata

Sayen non è un filmone, né prova minimamente ad esserlo. Io l’ho visto come il tentativo di parlare e raccontare un popolo pressoché ignoto agli occidentali indifferenti usando i dettami di genere di un grande classico amato dagli occidentali, cioè quello stesso Rambo che i citati autori italiani hanno usato nello stesso modo, introducendo realtà ben diverse da quelle del film con Stallone.

Chissà, magari essere finito su una piattaforma internazionale potrebbe essere il momento per cui la questione dei Mapuche non sia considerata “cronaca locale”, e quindi ignorata da tutti. Magari la nuova “ramboide” potrà aspirare a quel politicamente corretto che noi occidentali diamo e togliamo a seconda delle mode: a noi non frega niente del massacro dei Mapuche, ma Sayen ha due elementi di gran moda, cioè è donna ed appartiene ad una minoranza etnica oppressa, che dite… potrà averlo un minimo di rispetto occidentale, prima dell’estinzione del suo popolo?

L.

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21 risposte a Sayen (2023) E Rambo… muto!

  1. Cassidy ha detto:

    Come si risolve un problema? Si smette di parlarne, se invece non se ne parla proprio ancora meglio, così è più facile farlo sparire. Ottima segnalazione, lo vedrò più per il tema che per il risultato, anche se rispetta i canoni giusti. Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      E’ un film minuscolo, di ben poche ambizioni e possibilità, ma ha la carica giusta e soprattutto rubacchia dal Rambo giusto ^_^

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      • Giuseppe ha detto:

        E allora gli posso concedere almeno l’onore di un’occhiata NON distratta 😉
        Certo, magari non era esattamente Alexander Witt il regista più adatto per attirare l’attenzione sulle “invisibili” (agli occhi del selettivo Occidente con tutta la sua ben nota ipocrisia) problematiche dei Mapuche ma tant’è, essendo questo tutt’altro che un film di denuncia…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Né di denuncia né “educativo”, giusto una variazione su tema rambesco ma, finendo su una piattaforma internazionale, è più di denuncia ed educativo di qualsiasi ponsoso prodotto “d’autore” che non si sarebbe visto nessuno.

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      • Giuseppe ha detto:

        Tenendo conto che, in generale, sono proprio i prodotti nati con dichiarato intento “educativo” i primi a fallire clamorosamente il bersaglio (si trattasse di cinema, fumetto, tv e quant’altro)…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Infatti di solito è la narrativa di genere a veicolare concetti che entrano nell’immaginario collettivo, non certo la documentaristica.

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  2. Lorenzo ha detto:

    Quando ho letto Thunder e Indio pensavo di aver trovato qualcosa di interessante da vedere, ma poi mi pare di capire ci siano le solite menate inclusive e quindi passo.
    E, in fondo, i Ramboidi funzionano solo calati nel loro tempo.
    Comunque riuscii a vedere Indio al cinema (o era Indio 2, non ricordo). Lo tennero in programmazione per ben DUE giorni, in centro a Milano: altro che lo conoscono tutti… oltre a me ci saranno state dieci persone 😛

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      E’ invece uno dei rarissimi film contemporanei in cui non sembra aver prevalso l’inclusività: mi piace pensare che la scelta di una donna come protagonista sia perché così i cattivi la sottostimano. Ma la di là di questo, il punto focale è tutto su come vengono trattati a casa loro questi nativi che l’opinione pubblica ignora.
      Io “indio” non l’ho visto al cinema ma all’epoca dei trailer in TV lo considerai subito un film che avrei amato, anche se poi quando l’ho visto non mi ha preso molto. Però è firmato Margheriti e lui di fan sfegatati ne ha a secchiate: magari sono spettatori che non avrebbero mai visto “Indio” di per sé, ma essendo firmato dallo storico Antonio lo conoscono eccome. Tutti gli appassionati di cinema italiano di genere che ho incontrato lo conoscevano, al di là se poi è piaciuto o meno.
      Ovvio che qui in “Sayen” non c’è quella ruvidezza tipica dell’italian action, è un prodotto totalmente diverso ma la struttura è identica: anzi, vista la trama è molto più “Indio” che “Thunder”.

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      • Lorenzo ha detto:

        Certo, tutti gli appassionati di film italiani di genere lo conoscono, è che questi appassionati sono pochi e sono sempre di meno per ragioni anagrafiche.
        Quella ruvidezza che dici mancare è il fattore che mi fa amare l’italian action, la trama per me è secondaria (anche perché di solito è sempre la stessa).
        Infatti non credo che il cinema (specialmente quello moderno, e in particolare questo tipo di cinema) possa sensibilizzare più di tanto sulle discriminazioni: magari sbaglio, ma quando vedrò qualcuno cambiare idea o fare qualcosa di concreto dopo aver visto un film (o letto un libro, o ascoltato una canzone) allora mi ricrederò.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Nessuno fa niente su temi a noi vicini e noti da sempre, figurarsi su qualcosa che interessa altri in posti lontani! Questo non è certo un film di denuncia, ma di solito è proprio dalla narrativa di genere che si sdoganano temi scottanti, che nessuno vuole affrontare in maniera seria, perché parla al pubblico generico e vasto. Sono sicuro che gli specialisti e gli informati sapessero bene la condizione in cui vivono i nativi cileni, ma io è la prima volta che ne sento parlare: essendo io pubblico generico mi piace essere informato tramite la narrativa di genere 😛
        Erano divertenti i pellerossa cattivi, assetati di sangue e bianchi dei western che vedevo da ragazzino, ma poi da film dello stesso genere (ma più ambiziosi) ho scoperto che le cose non erano proprio così, anche se gli studiosi di quei popoli già lo sapevano.

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    • Lorenzo ha detto:

      Sull’onda di questo post mi ho fatto la doppietta Indio/Indio2 (non Sayen 😛 ). Non ricordavo assolutamente niente di entrambi, nemmeno quale dei due avessi visto al cinema (credo il primo, ma non ci giurerei). Comunque, Indio non è male: peccato che lo abbia visto su YouTube con qualità bassina, altrimenti il mio giudizio sarebbe ancora migliore. Perché Indio 2, che ho trovato su Prime Video, ha una bella fotografia e i paesaggi aggiungono effettivamente qualcosa ad un film che non è altro che uno spompo remake del primo. Tra l’altro il nome dell’indio è Daniel Morrell… Morrell non è mica il nome dell’autore del romanzo First blood?

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  3. loscalzo1979 ha detto:

    sembra abbastanza godibile come film, una occhiata gliela concedo.
    Per il contesto “storico”, per fortuna oggi la situazione dei Mapuche è abbastanza migliorata, il principale nemico della cultura Mapuche oggì è la modernizzazione e la “secolarizzazione” dei loro usi e costumi.

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Mi pare proprio un filmettino che, pur non facendo gridare al miracolo, rientra in dei canoni che lo rendono gradevole, ergo meritevole di visione! 🙂
    La questione Mapuche la conosco a grandi (ma grandi eh!) linee e segnalo che sono i protagonisti di un film falso documentario “Il Mundial dimenticato”, che ho visto e che ho trovato assai carino (da amante del calcio, quindi nettamente di parte) 🙂

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  5. Il Moro ha detto:

    Non credo che lo guarderò, ma il tema del post è interessante. Chissà quante di queste minoranze stanno scomparendo o sono già scomparse senza che nessuno (tranne loro e chi li ha fatti scomparire) se ne sia accorto. Il Sd America e l’Africa sono pieni di questi esempi. Ce ne vorrebbero di più di film su questi argomenti, ma finché si limitano a essere filmetti d’azione arriveranno solo agli appassionati. Ci vuole un registone che ci faccia un drammone pippone!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non saprei, Leonardo DiCaprio lo amano tutti, ma ha fatto un film che denuncia le mostruosità fatte nel mondo dei diamanti eppure mi pare che tutte le donne – anche le indignate – continuino a considerare i diamanti oggetti del desiderio, malgrado siano tutti ricoperti del sangue di innocenti.
      Io ho scoperto la questione cecena grazie a un normalissimo poliziesco (“Red Square” di Martin Cruz Smith), mi piace pensare che è a questo che serva la narrativa di genere: tenere aggiornati i lettori generici come me 😛

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