The Guardian (1990) L’albero del male

Dopo il successo de L’Esorcista (1973), William Friedkin probabilmente ha paura di fossilizzarsi nel genere horror e comincia a dirigere film di tutt’altro genere, roba dimenticabile e dimenticata alla cui uscita tutti gridano: «Friedkin, facce un altro horror!»
Il regista ce la mette tutta nello sbagliare tutto lo sbagliabile, riesce addirittura a fare un buco nell’acqua con L’affare del secolo (1983), malgrado avesse un tris d’assi che altri registi si sognavano: Chevy Chase, Sigourney Weaver e Gregory Hines erano pezzi grossi dell’epoca, e ho sempre desiderato vedere questo film. Quando ci sono riuscito, da ragazzo, sono rimasto di un male… ma di un male…
Friedkin si impegna e scende la china per dimostrare di saper far male altri generi, ma niente, sotto casa di notte la gente gli grida: «Friedkin, facce un altro horror!»

Arrivato alla forma di vita cinematografica più bassa, il film televisivo d’azione, Friedkin ha capito di aver toccato il fondo. E scopre quello che hanno scoperto anche Christopher Lee e Scott Adkins, anche se in altri campi: quando smetti di fare l’unica cosa che il pubblico ti chiede e poi dopo anni torni a farla, puoi solo deludere. E il pubblico che dice di amarti in realtà se ne frega dei tuoi film e ti ricorderà solo per l’unica cosa che hai azzeccato in carriera.
Nel 1990, a diciassette anni dall’unico film per cui è noto, Friedkin finalmente torna all’horror, e dopo quel giorno la gente di notte sotto casa gli urla: «Friedkin, lascia sta’ l’horror, che non fa per te!»


«Phil aprì gli occhi e gli apparve non Julie, ma il cadavere bruciato della Tata sdraiata accanto a lui nel letto.»
Dan Greenburg,
Nanny (1987)


Malgrado negli anni Duemila fiocchino come funghi i film sulle “babysitter cattive”, in realtà è proprio all’inizio degli anni Novanta che il fenomeno sembra essere esploso.
Racconta Friedkin all’intervistatore Steve Biodrowski, di “Fear” (settembre 1990):

«Ai miei tempi, il padre lavorava e la madre stava a casa. Il mondo è cambiato, specialmente in America. Oggi le donne lavorano, e questo molto spesso significa che una persona totalmente sconosciuta entra in casa per stare con i bambini. È una situazione che ha molti sbocchi per storie da incubo.»

Sentire oggi queste affermazioni ci fa stupire, ma ci parlano di un periodo in cui una donna che lavora non è affatto scontata e soprattutto “fa notizia”. Non a caso qualche anno prima ha fatto incetta di premi Una donna in carriera (Working Girl, 1988), non certo per il film in sé ma per ciò che rappresenta: l’incredibile storia di una donna che vorrebbe avere le stesse possibilità lavorative di un uomo.
Dunque appena il progetto è stato sottoposto a Friedkin, agli inizi del 1989, questi ha accettato perché lo sentiva un tema scottante ed attuale, e giù a riscrivere tutta la sceneggiatura.

«Ho lavorato su tutti i copioni dei film che ho girato, in un modo o nell’altro. Su questo ho fatto così tanti interventi che sembrava ridicolo non prendermi il credito da co-sceneggiatore. Ad un certo punto chi ci lavorava si è ammalato ed è dovuto tornare in Gran Bretagna: è un peccato, aveva fatto un ottimo lavoro.»

Si riferisce al gallese Stephen Volk, che aveva esordito con Gothic (1988) di Ken Russell, il quale – su richiesta del produttore Joe Wizan – scrive la sceneggiatura per il film che sarà proposta a Friedkin e che quest’ultimo farà rimaneggiare più volte.
Il tutto poi nasce dal romanzo The Nanny (1987; ribattezzato poi The Guardian nel 1990 per il film) di Dan Greenburg, autore attivo dal 1968 e dalla bibliografia sterminata, in gran parte dedicata all’infanzia.
L’autore non è molto tradotto in Italia, eppure fra i suoi rarissimi titoli giunti da noi c’è proprio Nanny, tradotto da Grazia Gatti per Sperling & Kupfer nel 1989, quindi prima del film.

«[Greenburg] ha scritto una sceneggiatura che ho trovato terribile, ma ho amato il suo romanzo. Così gli ho dato una copia del suo libro dove avevo sottolineato tutti i passaggi che sentivo avremmo dovuto usare nel film, inclusi i dialoghi. E lui ha detto: “Vuoi davvero fare un film dal libro? Non avrei mai pensato sarebbe accaduto!”. In quel periodo credo ci fosse l’usanza per cui i libri controversi venivano comprati per il cinema ma poi ne erano tratti film diversi: si usava il titolo per una storia molto lontana dal libro.»

Nel recensire l’uscita in Blu-ray del film, Dave Alexander sulla rivista “Rue Morgue” (aprile 2016) ci informa che in un’intervista come contenuto speciale Friekdin aggiunge particolari. Che per esempio ha fatto il film solo come favore ad un produttore e che la storia l’ha riscritta perché aveva appena vissuto una brutta esperienza con una babysitter. Capita che gli autori a decenni di distanza possano dire cose che all’epoca dei fatti non potevano, ma capita anche che il tempo crei aneddoti immaginari. Chissà questa storia a quale caso appartiene.

Una volta completata la sceneggiatura, inizia il casting.

«Non penso alle star, penso agli attori che mi sembrano giusti per la parte. Ho già lavorato con Dwier Brown in Vivere e morire a Los Angeles [1985] e ho pensato che fosse destinato a grandi cose. Ho visto Jenny Seagrove in un paio di cose e ho pensato che sarebbe stata assolutamente perfetta per questo film. Carrie Lowell era una delle cento donne che abbiamo provinato per la parte: è stata di gran lunga la migliore. Non ho mai lavorato con lei, prima d’ora, ma sono rimasto davvero impressionato della sua audizione.»

Nel giugno 1989 si va tutti a girare intorno a Los Angeles il film che si prefigge di essere una pellicola controcorrente. Al giornalista Matthew Costello di “Fear” (gennaio 1990) Friedkin specifica:

«Il genere [horror] oggi è ormai un’auto-parodia. I film di Nightmare on Elm Street sono buoni ma sono intesi quasi come commedie. Qui stiamo cercando di fare qualcosa di differente.»

Qualcosa di differente l’ha fatto di sicuro: differente da un film horror…

L’avete chiesto un altro horror di Friedkin? E mo’ beccàtevelo…

Uscito in patria il 27 aprile 1990, The Guardian arriva il 20 luglio successivo sul tavolo della censura italiana, che subito subito gli ammolla un bel divieto ai minori di 14 anni, «in conseguenza di alcune scene di terrore che potrebbero turbare la sensibilità dei predetti minori.»
Il 31 luglio 1990, a tempo di record, il film ha il nulla osta alla proiezione ma quel divieto è evidentemente un problema: il 20 febbraio 2001 si riunisce la commissione e un certo signor Pintus – probabilmente il distributore – si dichiara disposto a dei tagli pur di togliere il divieto ai minori. Tagli per un paio di metri di pellicola che mostrano volti scolpiti dell’albero da cui esce sangue. E questo nel 2001. Mi sembra davvero esagerata, ’sta censura!

Pubblicità del 30 agosto 1990

Presentato in anteprima italiana l’11 luglio 1990 al Festival di Spoleto, L’albero del male esce nelle sale italiane il 31 agosto successivo.
Arriva in TV prima sul canale a pagamento Tele+1, quel 19 dicembre 1994 in cui l’ho visto per la prima volta. Su Italia1 arriva martedì 13 giugno 1995 in seconda serata, all’interno di Notte Horror.
Uscito in VHS CIC Video in data ignota, la Pulp Video lo recupera e lo porta in DVD dal settembre 2013.

Titolo italiano dalla VHS CIC Video

I coniugi Phil (Dwier Brown) e Kate Sterling (Cary Lowell) si trasferiscono da Chicago a Los Angeles perché lui ha ottenuto un buon lavoro da fotografo, o illustratore o non se’è capito che accidenti di mestiere faccia: la sceneggiatura è così imbarazzante che il mestiere di Phil è vago come la visione del cinema di Friedkin.
Visto che i due hanno appena avuto un bambino, nasce l’esigenza di una bambinaia… e arriva la bionda Rebecca De Mornay ad imbastire un ghiottissimo thriller. Eh no, magari, quello sarà La mano sulla culla (1992), qui siamo nel regno del più amato regista horror che sta dimostrando quanto sia lontano il suo glorioso 1973…

Tranquilli, tra due anni Rebecca De Mornay rifarà questo film molto meglio

Sempre bionda, arriva Camilla (Jenny Seagrove) a sostituire la corpulenta Luci Redman del romanzo originale, dai neri capelli corvini, babysitter che ha sbaragliato la concorrenza… nel vero senso della parola. Sappiamo subito che la donna è una “guardiana” (da cui il titolo originale), cioè una vestale druida che si veste da ninja per portare neonati ad un grande albero demoniaco nel boschetto lì vicino. Che nessuno a Los Angeles si è accorto che c’è un enorme albero che mangia bambini.

E pensare che per un secondo ho avuto la voglia di leggere il romanzo per capire se la demenza del soggetto fosse dovuta allo scrittore o al crollo di gusto di Friedkin, ma non ho avuto il coraggio di perdere ulteriore tempo con questa roba indigesta.
Però una veloce spulciata del testo di Greenburg ha reso subito evidente che quanto visto nel film è tutta folle e scriteriata farina avariata del sacco di Friedkin: il romanzo parla semplicemente di una coppia alle prese con una “babysitter cattiva” (tema che in anni recenti è diventato soggetto di un’infinità di film) che solo alla fine si scopre essere un’entità malvagia, così da avere lo scontro di papà Phil contro questa Terminatrix di natura non meglio identificata che vuole rapirgli il bambino.
Niente riti druidici, niente alberi, niente buffonate.

La moglie Kate non esiste, è un personaggio che il valente sceneggiatore Esorcista Bill si è dimenticato per strada: appena sfornato l’infante, la donna sparisce dalla trama, che ora può focalizzarsi interamente su papà Phil e tata Camilla: per fortuna sono due attori che non ho più incontrato, perché raramente ho visto un abisso di vuoto in occhi così morti.
Quel ciocco di legno della Seagrove è perfetta per interpretare la Vestale dell’Albero, uno spirito demoniaco così potente… che basta una spinta per morire. E purtroppo non sto scherzando: il grande ritorno all’horror di Friedkin finisce con una spintarella…


«La sua parte umana doveva essere morta ormai. Ma quello che c’era in lei di non umano, pensò Phil, poteva ancora tornare. La lampada a gas era stata un’arma eccezionale contro una Tata viva. Non riusciva però a immaginarsi che cosa avrebbe potuto usare contro una Tata morta.»
Dan Greenburg,
Nanny, 1987


Esorcista Bill ci regala una storia demenziale, molto più umoristica di Freddy e Jason messi assieme, interpretata da passanti inabili a qualsiasi recitazione e scritta da chi sembra non avere mai visto un film in vita sua: di sicuro il film fa capire come non si debba mai far tornare qualcuno ad un genere in cui è finito per caso. E se l’ha abbandonato, un motivo ci sarà. Friedkin è molto più bravo nel genere poliziesco e thriller: l’horror non fa per lui.

A parte un paio di fotogrammi splatter, queste scene sono demenziali

Ovviamente questo lo dice il Zinefilo che è un infedele e un bestemmiatore del Sacro Cinema, perché nessun vero giornalista potrà mai dire qualcosa del genere: piuttosto… non recensisce il film. Incredibilmente, nessuna rivista dell’epoca spende una parola sul film finito: molti giornalisti sono stati invitati sul set e hanno raccontato le riprese, ma una volta uscito in sala il film non hanno pronunciato una sola parola.
Semplicemente perché Friedkin non si può toccare, ed ogni recensione ancora oggi recita questo stupido mantra: “È il grande ritorno del regista dell’Esorcista”. Ma che recensione è? Ovvio, è un modo per dire “Questo film è una cagata ma il regista è famoso e non si può dire”.

Un’attrice lignea che non fa una mazza per tutto il film

È ovviamente ingiusto giudicare nel 2019 un film del 1990, ma il problema è che la profonda delusione l’ho provata già nel 1994, quando il film è stato trasmesso per la prima volta in TV. Dal trailer cinematografico ero parecchio fomentato e mi sembrava qualcosa di davvero speciale. Ignoravo chi fosse Friedkin – quindi ero privo di preconcetti – e il film si apriva sull’inquadratura del romanzo IT di Stephen King: cosa mai poteva andare storto? Tutto…

Un ottimo modo di iniziare un film

La spaventosa semplicità della trama, per cui in pratica non succede una mazza di niente se non ciò che si può immaginare già solo guardando la locandina, è una doccia gelata a cui si uniscono le bastonate ricevute da scene che sembrano girate da un giovane esordiente. Se Friedkin avesse usato uno pseudonimo, tutti avrebbero considerato questo film solo un gioco di ragazzini con la telecamera di famiglia. A voler essere buoni, ma buoni davvero, ma proprio esageratamente buoni, mi piace pensare che lo stile particolare della pellicola – con tanto di motosega alla fine – sia un omaggio a La Casa 2 (1987) di Sam Raimi, un ragazzo che ci capisce qualcosina in più di cinema, resa visiva e potenza delle immagini.

Alla faccia tua, Ash, e di tutto Evil Dead!

Alla potenza mitologica di Evil Dead Friedkin risponde con una tizia dipinta di verde che sale le scale e muore con una spinta. E questa sarebbe la roba seria che fa concorrenza alle parodie di Freddy e Jason?

E questa roba sarebbe il grande ritorno di Friedkin?

L’unico pregio de L’albero del male è che da allora tutti hanno smesso di disintegrarci gli zebedei con William Friedkin maestro del cinema horror, perché è chiaro a tutti che L’Esorcista è stato un caso fortuito, il cui successo peraltro esula totalmente dal contributo del regista. (Ciò che è esploso è la tematica satanica, non il film in sé.) Ora finalmente si è smesso di chiedere al regista altri film horror, così che Bill si è potuto dedicare a prodotti decisamente meno strillati ma più apprezzabili, tipo Basta vincere (1994), Jade (1995) o Regole d’onore (2000). Addirittura Killer Joe (2011), che mi ha profondamente deluso, è comunque un film su cui si può discutere: su L’albero del male non c’è assolutamente niente da discutere. Va dimenticato e anche in fretta.

Ora scusate, c’è un albero che mi chiama dal boschetto dietro casa e devo andare a sfamarlo…

Albero ha famona!

Chiudo con il doppiaggio, riportato dall’edizione VHS CIC Video, lasciandone traccia:

Personaggio Attore Doppiatore
Camilla Jenny Seagrove Simona Izzo
Phil Sterling Dwier Brown Mauro Gravina
Kate Sterling Carey Lowell Roberta Paladini

Dialoghi italiani: Ruggero Busetti.
Direttore del doppiaggio: Renato Izzo.
Assistente del doppiaggio: Simona Romeo.
Doppiaggio eseguito presso la International Recording.
Mixage: Romano Pampaloni.

L.


Bibliografia

  • Dave Alexander, The Guardian in Blu-ray, da “Rue Morgue” n. 165 (aprile 2016)
  • Steve Biodrowski, Arboreal Nightmare, da “Fear” n. 21 (settembre 1990)
  • Matthew Costello, Roots, da “Fear” n. 13 (gennaio 1990)
  • Richard Finney, Nanny and the Possessor: “The Guardian”, da “Fangoria” n. 91 (aprile 1990)

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31 risposte a The Guardian (1990) L’albero del male

  1. Willy l'Orbo ha detto:

    Sono in uscita e leggerò domani ma esprimo già forti emozioni per un film del cuore: babysitter cattive e ricordi di averlo visto dopo noleggio con gruppone di amici. Nostalgia canaglia 🙂😅❤❤❤

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  2. Sam Simon ha detto:

    L’albero del male, che ricordi! Non escludo di averlo visto nel 1995 in una vhs registrata da italia uno… Non ne ho memoria, ma mi fido di quanto hai scritto!
    Povero Friedkin, però, come l’hai trattato male! X–D

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non gliel’ho chiesto io di tornare ad un genere che palesemente non era più adatto a gestire, sia per gusto della storia sia per gusto dell’immagine. Decisamente migliori i film non-horror che ha girato subito dopo, sembrano di un’altra persona! 😛

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  3. Pingback: Le notti mai viste di Zio Tibia: Hyenas | Malastrana VHS

  4. Giuseppe ha detto:

    E qui mi tocca andare controcorrente perché, nonostante tutto, a me The Guardian non è mai dispiaciuto (e quella druidica e malefica tata-driade mi ha sempre dato i brividi) 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Sulla carta è un’idea intrigante, ma l’esecuzione e quel ciocco di legno usato come protagonista le ho trovate drammaticamente raggelanti. Essendo poi un’idea balzana di Friedkin, la storia del druidismo è buttata via senza spiegazioni: quindi dobbiamo credere che a un passo da Los Angeles vengono sacrificati bambini a frotte senza che nessuno si sia mai accorto di niente? E se questo è un rito millenario, mentre la città sta lì da ieri, è stato importato? E si sono portati dietro l’Albero dall’Europa? No, una sceneggiatura così superficiale proprio non riesco a salvarla in nessun modo…

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      • Giuseppe ha detto:

        Il problema, secondo me, ê. che molti si aspettavano un classico horror mentre questa ê più che altro una favola nera (dove in genere tendo a essere meno “logico” nella sospensione d’incredulitâ, e quindi al netto di quasi tutte quelle domande che solitamente mi farei anch’io), senza per questo volerne negare i difetti, chiaro…

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  5. babol81 ha detto:

    Ricordo molto bene i vari trailer, da ragazzina (avevo 9 anni) mi colpirono molto ma penso di non averlo mai visto. Credo di non essermi persa molto in ogni caso… XD

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  6. Cassidy ha detto:

    Sono sicuro di averlo visto, ma sono ancora più sicuro di averlo dimenticato. Così d’istinto mi viene da pensare a Miguel Ferrer, cioè mi pare di ricordare che ci fosse anche lui in questo film, ma quasi sicuramente mi confondo con qualche altro titolo del filone “cattiva babysitter”. Se penso che roba davvero “da paura” di Bill Friedkin tipo “Sorcerer” è stata accolta a pernacchie, al grido di: «ma tu non sei l’esorcista!» viene la depressione, mai fidarsi dei fan! 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ascoltare i fan è la cosa più sbagliata per qualsiasi artista, perché i fan non sanno quello che vogliono! 😛
      Comunque fai paura, Cas: c’è davvero Miguel Ferrer, nel piccolo ruolo del poliziotto che non crede alle affermazioni dei protagonisti di alberi assassini e tate volanti. E’ una parte di po due minuti: come fai a ricordartelo?????? 😛

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      • Cassidy ha detto:

        Ma allora era questo il film! 😀 Vai a capire che cacchio si ricorda la mia testa, è uno di quegli attori che mi esaltava sempre vedere nei film (colpa di mille mila visioni di “Robocop”) quindi quando lo vedevo comparire era sempre una piccola gioia, non ho altre spiegazioni in merito 😉 Cheers

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        In effetti dopo quella parte sostanziosa in Robocop è strano vederlo qui, tre anni dopo, a fare giusto una comparsata. Ma credo in effetti che all’epoca Ferrer lavorasse già a tamburo battente ovunque 😛

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  7. Conte Gracula ha detto:

    Credo di averlo visto: idea simpatica, per questo “SOS Tata Malvagia”, ma ricordi non pervenuti.
    Mi pare che un mio amico del periodo dell’adolescenza avesse parlato di una scena con la tata nuda che, nonostante la penombra, mostrava più di quanto volesse, ma non escludo di stare confondendo film, perché come ho detto… zero ricordi!

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  9. Zio Portillo ha detto:

    Classico titolo visto e dimenticato. Ogni tanto riemerge quando si parla di pre e post-Esorcista ma se molti lo hanno visto e non se lo ricordano (basta vedere i commenti precedenti…) credo sia sintomatico.
    Concordo però sul post-Esorcista: “Vivere e Morire a L.A.” è un fott@to capolavoro!

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  10. theobsidianmirror ha detto:

    Preferisco di gran lunga le baby sitter che vengono fatte a pezzi dal maniaco di turno che, prima cazzeggia intorno alla casa, poi irrompe dopo un’ora e venti mentre i genitori, del neonato rientrano dalla serata spesa al cinema….

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  11. Pietro Sabatelli ha detto:

    E Vivere e morire a Los Angeles dove lo metti? Era quello il grande ritorno, questo è venuto dopo, questo è un mezzo flop, perché in effetti il risultato lascia un po’ a desiderare.

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  12. Marco Contin ha detto:

    Visto l’ultima volta parecchi anni fa…Forse non un film entusiasmante, ma mi era piaciucchiato…Mi hai fatto tornare la voglia di vederlo, vediamo se riesco a recuperarlo

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