Lance Henriksen ricorda Pumpkinhead

Traduco questo articolo apparso sulla rivista specialsitica “Rue Morgue” numero 81 (agosto 2008). Il 15 luglio 2008 ci ha lasciati – sempre troppo presto – il mago degli effetti speciali Stan Winston, così la rivista ha pensato di omaggiarlo parlando del suo primo ed unico film horror da regista, quel Pumpkinhead che nel 2008 festeggiava i venti anni di età. Ovviamente la rivista neanche ha citato il fatto che meno di un anno prima era uscito il pessimo quarto film della saga.

Oltre ad intervistare i talentuosi allievi di Stan, Alec Gillis e Tom Woodruff, la rivista ha pensato bene di fare una lunga chiacchierata con Lance Henriksen, protagonista di quell’esordio registico di Winston.



L’anima torturata di Ed Harley

di John W. Bowen

da “Rue Morgue” numero 81 (agosto 2008)

Subito dopo la dipartita questa estate di Stan Winston,
la prolifica star cine-televisiva Lance Henriksen
ricorda il film che ancora fra i suoi preferiti
così come l’affetto nei confronti del suo leggendario inventore

Rue Morgue: Ho sentito che c’è stata una specifica scena che all’epoca ti ha venduto il ruolo di Ed Harley.

Lance Henriksen: Be’, sì. Quando ho letto il copione per la prima volta, il titolo mi ha un po’ fatto storcere la bocca. Ho pensato che trattasse di un tizio che se ne andasse in giro con una zucca sulla testa, tipo Sleepy Hollow. Poi arrivato a metà della lettura c’era questa scena dove ho caricato sul furgone mio figlio morente e insieme guidiamo per una strada buia, al che il bambino si siede e dice: «Papà, perché fai questo?» E i peli sul collo mi si sono rizzati.

C’è una combinazione particolarmente efficace in quella scena: uno spavento seguito dal tuo personaggio che piomba in scena e si mette a piangere..

Già. L’intera cosa era creativa, mi è piaciuta. La storia parla della distruzione di una famiglia. La madre è morta e poi [i tizi di città] mi uccidono il figlio, così rimango solo.

C’è una domanda che si fa spesso agli attori: come fai a mostrarti spaventato in modo convincente quando sai che davanti a te c’è solo un tizio con un costume di gomma?

Be’, quando racconti una storia ad un certo punto ci entri dentro. Non è come se accadesse in un attimo: ti stai preparando la strada seguendo ciò che il copione ti chiede di fare, così lentamente ma inevitabilmente riesci a trovare qualcosa di personale. che ti piaccia o meno, tiri fuori una parte di te.

La verità è che non sono mai stato spaventato da Pumpkinhead così tanto quanto sono stato spaventato dal trasformarmi in lui. Sai che intendo? È una cosa differente. È una storia morale, quindi ciò che accade è che questo tizio deve pagare con la vita, perché gente innocente è rimasta ferita.

Una cosa su Stan Winston – ho fatto tre film con lui e tutti erano privi di effetti speciali computerizzati – tutto era reale, o al massimo con modelli e miniature, hai presente? È stata una grande èra, molto eccitante, e tutti avevamo bisogno l’uno dell’altro: era una sorta di cameratismo, ed è stata la cosa più grandiosa. Oggi fai una scena e ci sono tipo trenta tizi in una stanza con monitor che muovono roba in giro: è un tipo del tutto diverso di cameratismo, più simile all’esercito.

In che momento hai intravisto la forma della creatura?

Oh, molto presto. Stan mi invitò a vederla ed era impressionante, anche se proprio non capivo a cosa dovesse assomigliare finché non ho visto il costume indossato da Tom Woodruff. Era davvero impressionante. Ho pensato che se potevamo tirare in ballo il sud, la sua natura rurale, allora avrebbe funzionato. Perché è davvero un film “notturno”, non vedi questa cosa muoversi di giorno. Mi piace girare di notte proprio per questa ragione, perché quando stai facendo un film di fantascienza e giri di notte puoi fare un sacco di cose impossibili durante il giorno.

Sembra che tu abbia un buon rapporto con Matthew Hurley.

Certo, era un ragazzino in gamba. C’è stata una scena che abbiamo improvvisato. Mia nonna, credo che all’epoca fosse ultrasettantenne, usava lavarmi le mani quando avevo all’incirca l’età di Matthew all’epoca. E ricordo la sua pelle sottile come carta, tanto che sentivi le ossa sotto. Era una donna dolcissima, e quando abbiamo girato quella scena ho detto: «Stan, fammi provare una cosa». L’ho fatta ed è rimasta nel film.

Quella scena mi strazia sempre il cuore, perché ho l’esatto ricordo con mia nonna, che all’epoca era ottantenne. È sorprendente scoprire che questa cosa non era nel copione.

Wow, grande! Questo è il bello di fare film quando ti danno la possibilità di personalizzare il ruolo: puoi metterci molto della tua vita, prendere alcuni dei momenti più significativi e questi rimangono impressi nella pellicola. Così come un sacco di altre emozioni, tipo rabbia, tradimento ed altre cose che proviamo ogni giorno, che le esprimiamo o meno. Ho sempre pensato che se dài dieci idee ad un regista e lui ne sceglie una, hai vinto.

Ho sempre pensato che il personaggio di Ed Harley fosse una variante del solito stereotipo del bravo vecchio ragazzo del sud che vediamo nei film.

Già. (ride) Amo il sud, c’è una sorta di levità che è splendida, quando vivi in quella realtà: tutta la roba razzista no, non è splendida. L’aria è così leggera e profumata e c’è il muschio sugli alberi: è davvero un mondo che ho adorato, quando ci sono stato.

Stando sotto la De Laurentiis Entertainment Group, “Pumpkinhead” è stato proiettato in pochi cinema, e per poco tempo. Avresti immaginato il successo che invece lentamente è cresciuto negli anni con l’home video e la TV via cavo?

No. (ride) Non sono molto bravo nel predire il futuro. Il buio si avvicina era un altro film di De Laurentiis ed è successa la stessa cosa. È stato distribuito male all’incirca nello stesso periodo di Lost Boys, che invece ha avuto una distribuzione migliore.

Ricordo bene “Il buio si avvicina” ucciso in sala dal successo di “Lost Boys”.

Già, perché non c’è stata alcuna campagna pubblicitaria: zero.

Guardando indietro, dopo un paio di decadi, quanto pensi che “Pumpkinhead” abbia influenzato la tua carriera, se l’ha fatto?

Oh, certo che l’ha fatto! Non puoi fare goal se non calci il pallone, e quel film è di certo un “calcio”. [In realtà l’attore fa una metafora sul baseball, che ho preferito cambiare. Nota etrusca] Anni dopo è arrivata gente che voleva sfruttarlo e fare altri seguiti. Ero a Milano ad un festival cinematografico [il Dylan Dog Horror Fest, dove si è fatto una foto con Michele Tetro! Nota etrusca] e questo produttore è venuto da me dicendo: «Ho un copione per Pumpkinhead 2 da farti leggere». Dovevo partire e volare fino in Australia ma mi sono portato il copione nella camera d’albergo e l’ho letto: l’ho odiato. Così ho risposto al tizio: «Hai davvero bisogno di una riscrittura, amico: questo non funzionerà». Lui si è seccato, ma era ciò che sentivo.

Poi anni dopo qualche casa ha voluto fare altri Pumpkinhead e li ho presi in considerazione semplicemente come “film per pagare gli alimenti”. Cioè, c’erano giovani registi e cercavano di mantenere l’atmosfera e tutto il resto, ma quello che non avevano era l’attenzione che Stan ha messo nell’originale, così come non avevano Tom Woodruff e gli altri. È un perfetto esempio della differenza che passa fra qualcuno che crea qualcosa con passione, talento e capacità, e qualcuno che semplicemente fa un prodotto.

Quei film erano particolarmente fastidiosi perché non sembrava essere così difficile fare un seguito decente di “Pumpkinhead” – gli ingredienti erano tutti lì e lo spunto si poteva benissimo ripetere – eppure sono riusciti a fallire.

Già, e principalmente perché chiunque fosse alla produzione non ha prestato la dovuta attenzione.

Hai idea del perché “Pumpkinhead” continui a risuonare così forte tra i fan?

Ho la sensazione che sia perché ci sia una certa sincerità nel film, un’onestà poetica che l’aiuta a sopravvivere.

“Pumpkinhead” è sicuramente un film di mostri ma c’è anche la moralità fiabesca sui pericoli della vendetta.

Oh, sì, assolutamente.

Ci leggi altro, oltre a quello?

Be’, la verità nuda e cruda è che tutti dovremo morire. Quanto vuoi resistere alla morte prima che diventi insostenibile? Un’ora, una settimana, un mese? Molte storie drammatiche affrontano l’argomento. Credo che il problema ora sia che siamo tornati ad un’epoca di violenza “sanificata”, dove nessuno sente più dolore, e credo che in quel piccolo film non ci fosse nulla di “sanificato”. Come in un videogioco, in cui puoi far fuori centinaia di mostri o investire la gente con l’auto, è morte senza dolore, questo intendo per morti “sanificate”.

Credo che una delle cose più importanti è che non si può banalizzare la morte. Be’, si può fare nelle commedie, ma è meglio non farlo nella realtà. E con la nostra politica attuale stiamo vedendo la miseria causata dall’indifferenza e l’avidità, e i film riflettono questo stato di cose. Quando Pumpkinhead è stato fatto non avremmo mai immaginato un suicida che si fa esplodere: una cosa è mettere le bombe, un’altra è mettersele addosso. È un modo diverso, quello di oggi.

Anche se tutti diciamo “Ah, non riguarda me”, la verità è che c’è molto nervosismo. Quand’ero ragazzino si diceva sempre che avrebbero sganciato bombe nucleari su di noi, e vivevi con una paura di base per tutta l’infanzia. La vita non vale niente, e se la vita di tutti non vale niente allora non vale neanche la tua. E noi viviamo in un’èra di questo genere, che ci fornisce una dose extra di infelicità.

Come ricordi Stan Winston?

Oh, amico, era probabilmente la più simpatica e vitale persona con cui potevi lavorare. Il suo entusiasmo era senza limiti ed era anche molto capace. Non vedeva l’ora di girare una scena e di risolvere tutti i vari problemi.

Mi disse che Dino De Laurentiis era in prima fila alla proiezione di prova e per i primi quindici minuti non faceva che guardare l’orologio. E poi disse [a Winston]: «Dove è mostro? Dove è mostro?» [Ho cercato di rendere in italiano l’inglese stentato di Dino, con il suo «Where’s da monster?». Nota etrusca.] De Laurentiis voleva che il mostro apparisse già nei primi quindici minuti! (ride) Se ne andò e non guardò neanche il resto del film. Così Stan risolse il problema e fece iniziare il film con quel flashback, qualcosa che Ed Harley aveva visto quand’era giovane. Funzionava nel film, così tutti erano soddisfatti.

Quindi quella sequenza iniziale non era prevista sin dall’inizio?

No.

“Pumpkinhead” è stato fatto poco dopo che tu e Winston avete lavorato insieme ad “Aliens”. Durante quella produzione avete instaurato una collaborazione lavorativa?

Oh, certo, certo. Abbiamo passato insieme molte ore per quell’ultima scena, dove della roba schizza via dal mio petto e vengo diviso a metà. Ero eccitatissimo.

Stan era un tipo molto impegnato, potevi andare nel suo studio e ammirare l’intero mondo che lui stava creando. La mia storia preferita su Stan è quella di quando era su un aereo per andare a sostituire il tizio che aveva fatto Predator, e disegnò il nuovo Predator su un tovagliolo. Quando arrivò, è quello il modello di creatura che costruirono. [In realtà in tempi recenti si racconta che su quell’aereo c’era anche James Cameron, che concepì e disegnò le mascelle “apribili” del Predator. Nota estrusca.] Sai a cosa mi ha fatto pensare questa storia?…

A cosa?

A Lincoln che sul treno per Gettysburg scriveva l’indirizzo su una busta. Essendo un attore ed avendo avuto una meravigliosa carriera – amo quel che faccio – non vorrei sembrare Pollyanna ma quando entri in un gruppo di persone come Stan, questo ti cambia per sempre. Quando penso al meglio, penso a Stan.

Non ha mai diretto un altro film horror dopo “Pumpkinhead”. Sai se è stata una scelta personale o una scelta politica? O entrambe?

Non so davvero cosa pensasse della faccenda. Non credo che fosse rimasto deluso da Pumpkinhead, non aveva ragione per essere men che orgoglioso di quel film.

Come pensi che andrebbe ricordato?

Come un artista. Come uno scultore del livello di Rodin. Ha creato così tante immagini e le ha tutte tirate fuori dal suo cappello. Per esempio, ho appena comprato a mia figlia un po’ di pupazzetti di galline e tacchini. Li guardavo, sapendo che poi avrei fatto questa intervista, e pensavo che quegli uccelli sono i diretti discendenti dei dinosauri. E mi immagino Stan che se ne sta lì a guardare un piccolo tacchino, dicendo: «Wow, cominciamo da qui!»


L.

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11 risposte a Lance Henriksen ricorda Pumpkinhead

  1. Cassidy ha detto:

    Un bellissimo omaggio al grande Stan Winston, con l’ultima risposta Lance ha veramente azzeccato il modo di vedere il mondo di Winston. Inoltre intervista che chiude davvero alla perfezione la tua rubrica di Zuccotto, grazie per averla tradotta! Cheers

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  2. Conte Gracula ha detto:

    Sì, ma dove è mostro? XD
    Santo cielo, questo mi sembra il tipo di ingerenza che rovina tutti i film rovinati…

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  3. Zio Portillo ha detto:

    Bellissima intervista. E’ molto interessante anche capire cosa (quali parti di sceneggiatura in questo caso) spinge un attore a scegliere i copioni. Cosa “vede” l’attore, come “sente” la parte,… Molto molto interessante.
    E poi volevo ricordare a tutti che quando Lance dice “…giri di notte puoi fare un sacco di cose impossibili durante il giorno”, sta parlando lo stesso tizio che provò a fregarsi un alieno in “Incontri ravvicinati del terzo tipo”!
    Bellissimo anche il ricordo personale che Lance ci regala su Stan Winston.

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  4. Giuseppe ha detto:

    Bella e interessante (con la testimonianza del personale “metodo” attoriale di Henriksen) intervista e doveroso nonché sentito ricordo da parte di Lance su Stan Winston (un vero artista, sì) 😉

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  5. Pingback: 80 anni per Lance Henriksen (2020) | Il Zinefilo

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