Heroes Two (1974) Quando Fong incontra Hong


Ne I giganti del karatè (1976) abbiamo assistito agli ultimi giorni e relativa caduta del tempio di Shaolin, con alcuni eroici difensori che, sopravvissuti allo spregevole attacco dei generali Manciù, abbandonano le macerie del tempio per portare fra i cinesi i semi della rivolta ma soprattutto la conoscenza delle arti marziali segrete di Shaolin.

È il momento di scoprire l’immediato destino di almeno due di quegli eroici sopravvissuti.


Il DVD

Stando al consueto HKMDb, 方世玉與洪熙官 (“Fang Shiyu e Hong Xiguan”) esce nei cinema di Hong Kong il 19 gennaio 1974, targato Shaw Bros: viene distribuito a livello internazionale come Heroes Two.

Non esistono prove che sia mai uscito in Italia, prima che la AVO Film nel 2007 (cioè negli ultimi suoi aneliti di vita) doppi e distribuisca in DVD la splendida rimasterizzazione della Celestial Pictures, con il titolo anglofono.

Come sempre per le rimasterizzazioni Celestial Pictures, il formato video è 2,35:1 widescreen e l’audio è italiano (2.0 e 5.1 DTS) e cinese mandarino (mono).

Da uno scontrino lasciato nella custodia posso dire di aver comprato questo disco il 19 maggio 2007, al prezzo di 7,74 euro.


I due eroi dello Shaolin

Il film si apre nel momento esatto in cui si chiude I giganti del karatè, anche se è un gioco temporale: il regista Chang Cheh infatti ha presentato i due titoli in senso inverso, ma per questo viaggio ho preferito andare per ordine di eventi.

Ciò che resta del tempio di Shaolin, distrutto dai cattivi Manciù

Dunque assistiamo alla riduzione in cenere del tempio di Shaolin – evento che, lo ricordo, è molto più mitologico che storico – per mano di alcuni generali Manciù della dinastia Qing, cattivi per eccellenza della narrativa popolare cinese sin dal Seicento, epoca dell’inizio del loro regno. Dagli stessi romanzi arrivano i due eroi popolari protagonisti di questo film: sappiamo che diversi combattenti si sono salvati dalla distruzione del tempio, ma qui ci si focalizza solo su due.

Di Fang Shih-yu, più facile da ricordare nell’accezione Fong Sai-yuk, abbiamo già parlato: addestrato nelle arti marziali dalla grintosa mamma e messosi nei guai con i Manciù (come visto in Chen, la furia scatenata), è entrato nel tempio di Shaolin sia per nascondersi sia per migliorare il proprio kung fu, così poi da uscire e vendicare il proprio nome e la propria scuola (come visto ne I discepoli della 36ª camera). Invece Cheh sceglie una variante della storia e ne I giganti del karatè (1976) mostra Fong Sai-yuk rimanere al tempio per difenderlo dall’attacco Manciù, insieme ad altri valorosi eroi.

Se nel film del 1976 Fong è affiancato da Hu Hui Gan (del cui destino parlerò più sotto), qui facciamo invece che uno dei lottatori superstiti è Hung Hei-gun, o Hung Hsi Kuan, o più facile da ricordare Hong Xi Guan, interpretato dagli zigomi che uccidono di Chen Kuan-Tai.

Originariamente Hong era un mercante di tè ma poi per colpa di alcuni attriti con i Manciù ha dovuto anche lui trovare rifugio al tempio di Shaolin, dove diventerà un maestro marziale e ancora oggi a lui si fa discendere lo stile Hung Ga Kuen, o Hung Gar.

Di nuovo, come sempre quando si parla di storia cinese, sono tutte leggende che si ripetono da secoli, da non confondere con il senso che noi occidentali diamo al termine “storia”.

Un eroe molto più leggendario che storico

Il personaggio non è certo nuovo al cinema di Hong Kong, visto che fa parte della mitologia del tempio di Shaolin, così come non è nuova la sua collaborazione con Fong Sai-yuk: già nel 1952 c’è un film dal titolo più che eloquente, Duel between Fang Shiyu and Hong Xiguan. Quindi di nuovo parliamo di personaggi molto ben noti al pubblico locale, da qui la carenza di informazioni date nella sceneggiatura.

Malgrado entrambi i nostri eroi siano fuggiti dal tempio di Shaolin a petto nudo, strada facendo hanno trovato dei vestiti, e Fong Sai-yuk pure un ventaglio: peccato che non lo usi mai per combattere, altrimenti saremmo davanti ad un precursore de Il ventaglio bianco (1980) di Jackie Chan.

Fu Sheng qui rischiava di essere un predecessore di Jackie Chan

La tradizione vorrebbe che i superstiti di Shaolin siano stati cinque, come i cinque stili marziali da allora insegnati al popolo, ma le leggende sono malleabili, così se mettiamo insieme tutti i maestri che affermano di essersi salvati dal crollo del tempio alla fine mi sa che i superstiti erano una bella folla. Per questo alla fin fine è plausibile l’assunto di questo film, cioè che subito dopo fuggiti dal tempio caduto Fong Sai-yuk e Hong Xi Guan non si conoscano, e anzi il primo sia convinto (non si sa perché) che il secondo sia un pericoloso criminale che vada fermato.

Di questo equivoco si approfitta Mai Hsin (Fung Ngai, il celebre maestro occhialuto di Dalla Cina con furore), Manciù che però finge di simpatizzare con i ribelli: lui e i suoi uomini cercano di acciuffare Fong ma allo stesso tempo lo aizzano contro Hong, sperando che i due si ammazzino a vicenda risolvendo il problema alla radice.

Quando Hong nero incontra Fong bianco…

Non è più il Fong Sai-yuk a cui siamo abituati, il Pierino che fa marachelle marziali, è diventato un guappo di periferia che cammina spavaldo e mena chiunque gli si ponga davanti, senza stare a cercare un motivo valido. E quando finalmente gli spiegano che Hong non è cattivo, anzi era suo compagno al monastero (come ha fatto a non incontrarlo?), il nostro eroe si trasforma in Mario Merola e le lacrime scorrono copiose, condite di rimpianto per la guapperia.

Visto che è colpa di Fong se il suo ex compagno di Shaolin è finito in catene nelle mani dei Manciù, che l’hanno condannato a morte, il nostro eroe si fa aiutare di suoi nuovi amici – tutti ribelli contro la dinastia Qing – e lo fa evadere con un trucco semplicissimo: scavano un enorme tunnel in due minuti e fanno evadere Hong. Va be’ che i cinesi lavorano veloci, ma questa proprio non se la beve nessuno.

Tipico “italian job”: uno lavora e cinque guardano

Lacrime a profusione in questa sceneggiata sino-napoletana, con i due maestri marziali che finalmente capiscono di essere alleati e si commuovono a vicenda nel chiamarsi “fratelli”, termine che in Cina smuove anima e cuore.

I fratelli so’ pezz’ ‘e core!

Ora che finalmente i due eroi hanno unito le forze, andiamo tutti a menarci nel solito prato di Hong Kong per l’interminabile combattimento finale di mezz’ora, che mette a dura prova anche il fan marziale più sfegatato.

Fermo lì, che te faccio Karate Kid!

Dopo averci mostrato una carrellata sulle secchiate di morti Manciù lasciati sul terreno, dopo la carneficina è il momento per i nostri eroi di cambiare aria e prepararsi ad altre ribellioni… che purtroppo sono molto difficili da recensire.

Fong Sai-yuk e Hong Xi Guan insieme ai loro fratelli ribelli torneranno nel film Men from the Monastery (1974), che credo Chang Cheh abbia girato in contemporanea con questo: malgrado i film siano gemelli la distribuzione non sembra essere stata la stessa per entrambi, perciò non ho potuto trovare il secondo. Stesso discorso per Executioners from Shaolin (1977), dove il solo Chen Kuan-Tai torna a vestire i panni di Hong Xi Guan. Sono film di difficile reperimento che quindi mi vedo costretto a saltare, in attesa magari di future integrazioni.

Per ora, lasciamo un attimo in pausa i due eroi e vediamo cosa sta facendo il terzo superstite di Shaolin fra quelli che abbiamo conosciuto.


La leggenda di Hu Hui Gan

Come abbiamo visto, ne I giganti del karatè (1976) Fong Sai-yuk combatteva al fianco di Hu Hui Gan con il quale scampa alla distruzione del tempio di Shaolin: Fong poi va a scontrarsi con Hong, ma che fine fa Hu? Del suo destino si fa carico il regista Wu Ma, che prende una sceneggiatura dello stesso Chang Cheh e la va a dirigere per la minuscola casa Cheung Nin, morta subito. Forse per questo il film ha avuto una pessima distribuzione.

Vuole la leggenda che Hu Hui Gan, scampato alla caduta di Shaolin, abbia portato nel Guangdong lo stile marziale che aveva studiato e in cui eccelleva: il Fujian wing chun kuen, uno stile di quel wing chun sviluppato, come abbiamo visto, dalla monaca Wu Mei, anche lei sfuggita alla caduta del tempio come mille altri maestri.

Richiamato l’attore eterno musone Chi Kuan-Chun, che l’aveva interpretato ne I giganti del karatè, il maestro Hu Hui Gan torna dunque su schermo con il film Showdown at the Cotton Mill (胡惠乾怒打機房, 1978), che io sappia inedito in Italia.

L’eterno musone nel ruolo di uno dei mille sfuggiti a Shaolin

Hu entra in scena ammazzando un tizio, guarda caso interpretato dallo stesso Shan Mao che nel precedente titolo faceva il traditore che condanna il tempio di Shaolin, attore peraltro già defunto all’epoca dell’uscita in sala di questo film. Hu sta menando tutti gli appartenenti alla scuola di Wutang per vendicare l’uccisione del padre. (Ammazza che spunto nuovo e fresco!)

Essendo il Wutang Clan ammanicato con i Manciù, la giustizia se la prende con il povero Hu: ora non si può neanche massacrare la gente per vendetta? Dove andremo a finire di questo passo? Il monaco San-Te (quello della 36ª camera, ma stavolta interpretato da Tai Ping-Kang) consiglia al nostro eroe di nascondersi, e già che c’è Hu ne approfitta per addestrare suo figlio piccolo.

Si comincia a tramandare lo stile marziale di famiglia

Malgrado porti la firma di Cheh, la storia non sembra legato allo Shaolinverse della Shaw, che in effetti è fumoso come le leggende da cui questi personaggi nascono, perciò la vicenda si svolge quando il tempio è ancora in piedi – infatti c’è San-Te a consigliare Hu – ma l’eroe non sembra esserci entrato, come abbiamo visto nel precedente film, visto che qui per l’intera vicenda si limita a nascondersi di qua e di là, sempre tradito da amici trasformati in nemici.

Tante pose da duro, ma ben poca sostanza

Il prodotto è rozzo ed è chiaramente stato cucito addosso al corpo muscoloso Chi Kuan-Chun, che infatti è sempre inquadrato a petto nudo con tanto di primissimo piano dei muscoli oliati: temo che la fedeltà al personaggio storico sia davvero esigua.

Cominciano a farsi introvabili e mal distribuiti i titoli con protagonisti i nostri eroi sopravvissuti a Shaolin, ma il viaggio prosegue.

L.

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13 risposte a Heroes Two (1974) Quando Fong incontra Hong

  1. Cassidy ha detto:

    Chang Cheng dirige Fong e Hong. Un film che mette fondo a tutti i nomi cinesi che conosco e riesco a scrivere senza dover controllare l’ortografia 😉 Scherzi a parte, non l’ho mai visto ma servito insieme ad una porzione di storia è un ottimo post oltre che un ottimo inizio di settimana. Cheers!

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    “Interminabile combattimento finale di mezz’ora, che mette a dura prova anche il fan marziale più sfegatato”, che abbia messo a dura prova anche l’inossidabile etrusco marziale? Non ci posso credere…attendo conferme! 🙂

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  3. Giuseppe ha detto:

    Devono aver pensato più a oliare i muscoli di Chi Kuan-Chun che non a tutto il resto… Parlando di olio, poi, in “Heroes Two” si sono dimenticati che oltre al condimento ci
    sarebbe voluta la pietanza (mentre qui sembra “tutto olio e niente arrosto”) 😉

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