Agents of SHIELDS: Aida, la ginoide androide (2016)

Aida (Mallory Jansen)
(Photo by Eric McCandless/ABC © 2016)

Continua il mio viaggio nella serie televisiva “Agents of S.H.I.E.L.D.” (Marvel), la cui quarta stagione – replicata recentemente su Rai4 – offre molti spunti che Jed Whedon e la moglie-collega Maurissa Tancharoen hanno studiato apposta per stuzzicare diverse mie passioni.

Dell’All-New Ghost Rider di Gabriel Luna ho già parlato su questo blog, mentre su “Non quel Marlowe” ho raccontato la breve citazione libraria di Stephen King, messa (ne sono sicuro) da Whedon solo per farmi fare una nuova puntata della mia rubrica “Books in Movies“.

È il momento di parlare del “bersaglio grosso”, di una delle mie passioni più cocenti da quell’8 marzo 2015 in cui ho festeggiato la donna… artificiale, pubblicando il mio saggio Gynoid. A forma di donna. In questi anni ulteriori ricerche hanno portato a molto altro materiale, prima o poi aggiornerò il saggio, ma il succo rimane sempre lo stesso, al di là dei media, delle epoche e degli autori: la donna artificiale incarna sempre le paure degli autori maschi che la creano.


Aida,
la ginoide androide

«Non ha mai visto i film degli anni Ottanta?
I robot attaccano sempre!»
“Yo-Yo” Rodriguez,
Agents of S.H.I.E.L.D.

Sin dal primo episodio della quarta stagione (12 ottobre 2016) scopriamo che il personaggio di Holden Radcliffe (il bravo attore britannico John Hannah, che nelle produzioni americane fa sempre ruoli “strani”) ha trasferito un’intelligenza artificiale in un corpo umano, ovviamente quello di una donna giovane, magra e bella: non si può certo andare contro una tradizione secolare che vede donne artificiali affascinanti. Nasce così Aida (pronunciato Èida), magistralmente interpretata dall’australiana Mallory Jansen.

Tipica forma umana di un’intelligenza artificiale (Photo by Eric McCandless/ABC © 2016)

«Ho pensato che sarebbe figo essere ingaggiata come robot», commenta l’attrice nel saggio Season Four Declassified (2017) di Troy Benjamin:

«Tutto è molto fluido, molto preciso. Quando lei guarda qualcuno mette a fuoco intensamente. Quando si muove lo fa in modo efficiente. Non si gratta, non si aggiusta i capelli, non compie cioè quel tipo di movimenti umani. Ho dovuto imparare a rimanere estremamente ferma, ma ci sono anche parecchie scene d’azione: mi sono ritrovata delle sbucciature inaspettate».

Quello che subito mi preme sottolineare è come il personaggio viene chiamato: androide.

Non è questa la sede per dilungarmi, il succo è che le donne artificiali in pratica non esistono prima dell’Ottocento e saranno sempre in nettissima minoranza; nello stesso periodo è diventato di pubblico dominio il termine “androide” (andr-, “uomo”, oid, “a forma di”) per indicare qualsiasi oggetto che assomigliasse ad un uomo: le donne artificiale erano così rare che a nessuno venne in mente di creare un nome per loro. Il neutro robot funzionò bene nei primi del Novecento, quando si spolverò una vecchia parola che significava “servo della gleba” per indicare un “lavoratore artificiale”, e solamente sul finire degli anni Settanta Isaac Asimov propose gynoid, perfetta versione femminile di android: da gyn-, “donna”, oid, “a forma di”. Nessuno sembrò ascoltarlo e solamente al 1984 si fa risalire il primo uso di gynoid in un romanzo.
Nel corso di due secoli sono state tante le proposte per definire quelle poche donne artificiali che hanno arricchito la narrativa occidentale, ma nessuna di queste ha attecchito. La narrativa anglofona ignora qualsiasi processo logico e storico, così quando il capitano Kirk seduce e bacia una donna artificiale, negli anni Sessanta, non si sente sminuito nella propria sessualità a chiamarla androide, cioè “uomo artificiale”.

Quarant’anni di errori e sfondoni lessicali non hanno fatto che convincere gli americani: gli unici modi per chiamare le donne artificiali sono quelli sbagliati. Così se valanghe di autori auto-pubblicati raccontano storie di fembot (termine nato negli anni Settanta de “La donna bionica” e reso celebre vent’anni dopo da Austin Powers), per il cinema una donna artificiale (gynoid) rimarrà sempre un uomo artificiale (android).

Lo scienziato che creò una ginoide chiamandola androide (Photo by Eric McCandless/ABC © 2016)

«Tecnicamente parlando, non è un robot: è un’androide». Semmai qualcuno potesse avere dubbi e pensare ad un errore, negli episodi di “Agents of S.H.I.E.L.D.” Jed Whedon attraverso lo scienziato Radcliffe specifica subito: non stiamo usando a casaccio un termine che palesemente non abbiamo neanche controllato sul dizionario, stiamo coscientemente sparando cazzate puntando sul fatto che farlo in modo deciso convincerà il pubblico che abbiamo ragione.
Se già la sua affermazione («she’s an android») non bastasse da sola, l’assurdità arriva quando Radcliffe si pente d’aver creato un essere artificiale troppo potente e quindi incontrollabile, ed esclama sconvolto: «È colpa mia: non è altro che la hubris che mi ha spinto a crearla». Quindi ha un linguaggio così ricercato da citare un termine greco che sta per “tracotanza”, ma ignora che nella stessa lingua greca la desinenza  andr- si riferisce esclusivamente a tutto cioè che è maschile? Radcliffe è uno che ha la hubris di andare dall’andrologo e pensare sia un dottore per androidi…

Non è cattiva… l’hanno costruita così! (Photo by Jennifer Clasen/ABC © 2017)

Aida sarà vittima del destino di quasi tutte le donne artificiali che l’hanno preceduta: incarnare le paure dei maschi che le hanno create. Perciò per vari motivi acquisisce un’autocoscienza che la spinge a liberarsi del controllo di Radcliffe (forse) e in generale a perseguire il male, diventando in seguito Madame Hydra.
La donna libera è un problema profondo, per l’uomo, l’abbiamo visto nel ciclo sulle Jungle Girl: è assolutamente inconcepibile un film in cui una donna sia libera di scegliere se rimanersene per conto suo nella giungla, deve per forza tornare alla “civiltà” sotto la protezione di un uomo. Lo stesso rapporto è quello che spinge le donne robotiche ad essere indipendenti attraverso il male… così che nessuna eventuale lettrice o spettatrice si metta in testa idee strane!


Citazioni robotiche

Un fenomeno che è solo vagamente accennato durante le prime puntate della quarta stagione raggiunge l’apice apicale ed apicoso nell’episodio 4×09: una dose letale di citazionismo robotico da nerdgasm (orgasmo nerd!) che trascende da qualsiasi buon gusto. È come se Whedon avesse starnutito anni Ottanta sul copione…
Forse un miglior dosaggio sarebbe stato più gradevole, visto poi che “Agents of S.H.I.E.L.D.” sta parlando ad una generazione che ignora siano mai esistiti gli anni Ottanta, al di fuori del falso storico inventato da serie e film del Duemila.

Mack (Henry Simmons) e “Yo-Yo” (Natalia Cordova-Buckley): citatori ad oltranza
(Photo by Jennifer Clasen/ABC © 2016)

«Quello non è una “lei”: è un maledetto robot!» A parlare con tono sferzante è l’agente Mack (Henry Simmons), personaggio incaricato di umorismo metanarrativo e di vomitare anni Ottanta per tutta la puntata.

«Che diavolo vi prende, teste di legno [chuckleheads]? Da quanto tempo è che non vi guardate un film? I robot attaccano sempre!»

La previsione di Mack («The robots always attack») si rivela ovviamente vera, Aida si ribella e appena scatta la situazione d’emergenza… Mack ha licenza di citare.

«Non stiamo mica parlando di Numero 5, ma di un robot assassino e sanguinario.»

Il riferimento a Numero 5 (Johnny 5) è un richiamo a Corto Circuito (1986), cioè ad un robot simpatico e amichevole, che fa da contraltare alla pericolosità di Aida: «murder-bot on the loose», tanto per creare un’altra parola (come se ne mancassero).

«Se la prendiamo, ci darà qualche assurda spiegazione alla Roy Batty».

E vai con Blade Runner (1982), il cui lirismo del citato replicante viene definito da Mack «crazy-ass explanation».

«Non ci sarà difficile trovare la sua bella amante robotica.»

Stavolta il doppiaggio italiano manca il segno, perché in effetti era davvero un azzardo tradurre la frase con «trovare la sua donna esplosiva». Siamo sicuri che ci siano abbastanza italiani ferrati negli anni Ottanta come sembrano esserlo gli americani? Mack infatti dice «your beautiful “Weird Science” sex-bot», un gioco di parole (fra sex-bot, “robot sessuale”, e sexpot, cioè “donna molto disponibile”) che cita il film La donna esplosiva (Weird Science, 1985) con la celebre modella Kelly LeBrock creata al computer da due brufolosi collegiali.

«Ecco, lo sapete? È proprio così che finisce Il tagliaerbe

Grave passo falso di Mack, non solo perché cita un film degli anni Novanta, ma perché il Jobe de Il tagliaerbe (The Lawnmower Man, 1992) non c’entra niente con la robotica, essendo legato al software della realtà virtuale (all’epoca appena diventato noto al pubblico).
Per fortuna Mack ha una spalla perfetta in “Yo-Yo” Rodriguez (Natalia Cordova-Buckley), per ineguagliabili duetti cinefili:

Yo-Yo: «Bisogna far vedere a Radcliffe tutti i film di Terminator
Mack: «Anche Salvation
Yo-Yo: «Se l’è voluto lui!»

Povero Termnator: Salvation (2009), usato come tortura per scienziati tracotanti: e pensare che è decisamente migliore rispetto agli inguardabili Terminator successivi…

«Vuole farci vivere delle scene alla Brivido, a quanto pare.»

Il nostro Mack torna agli anni Ottanta, mettendo in crisi il doppiaggio italiano. «She did not just go all “Maximum Overdrive” on us» in effetti non saprei come tradurla senza perdere il titolo italiano del film Brivido (Maximum Overdrive, 1986): visto però che si vedono macchine che attaccano i protagonisti, la citazione è comunque chiara.

Come il cinema anni Ottanta ci ha insegnato, quando il buono ferma il cattivo deve sempre dire una frase ad effetto, così Mack non può esimersi dal compito: appena tagliata la testa ad Aida, se ne esce con «Titoli di coda» (Roll Credits). Visto quanti film ha citato, è una frase che ci sta tutta.

«Quando Tarzan non sa più che dire… Cita!» (cit. non “quel” Marlowe)

Non so se davvero i giovani spettatori di questa serie conoscano così bene i film citati, ma è chiaro che la cultura robotica percepita come di grande richiamo sia quella cinematografica, quando invece è quella letteraria ad aver costruito il mito dei robot.

Sicuramente in “Agents of S.H.I.E.L.D.” ci saranno altre tematiche robotiche ed altre citazioni, visto però che è stata una sofferenza seguire già solo le poche puntate del ciclo di Ghost Rider non ho alcuna voglia di proseguire. Nel caso, fatemi sapere.


Fonti

L.

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16 risposte a Agents of SHIELDS: Aida, la ginoide androide (2016)

  1. Conte Gracula ha detto:

    Agents of SHIELD mi ha annoiato a sufficienza per… credo tre stagioni (volevo smettere alla seconda, ho sbagliato andando avanti. Molto più divertente la serie prequel su Peggy Carter, pur senza essere chissà cosa): mi piacciono i supereroi, ma qui si parla di una CIA mista a FBI in salsa fantatecnologica con tendenze fascistoidi marcate, una Mary Sue antipatica che è/era tutto (non so se ci sia ancora: era una bella ragazza hacker che in due puntate diventa una lottatrice col turbo e poi salta fuori che era pure uno degli Inumani e ciccia fuori superpoteri) e gente che fa sempre, sempre, sempre le scelte peggiori solo perché mandano avanti la storia. Quindi la donna artificiale era perfettamente in linea con la storia. 😛
    In più, incoerenze sparse.

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  2. Cassidy ha detto:

    Vedo che questa serie è rimasta identica a come l’ho abbandonata, citazioni come se non ci fosse un domani (scritte da 30/40enni per 30/40enni), un cast femminile strapieno di donne bellissime e poco altro. Avevano l’occasione di usare almeno a dovere la parola Ginoide e niente. Assurdo perché prima del tuo saggio, l’avevo incontrata proprio in un fumetto della Marvel, gli X-Men scritti da Joss Whedon, che evidentemente non ha aggiornato il fratellino 😉 Cheers

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  3. Pietro Sabatelli ha detto:

    Robot o androide una cosa era certa quando la vidi, era gnocca 😀

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Non sono appassionato né di serie in generale né della serie suddetta, eppure il tuo post è riuscito ugualmente ad appassionarmi, segnatamente nella parte “etimologica” (branca del sapere che suscita il mio interesse anche per i miei trascorsi di liceo classico!)…potere di Lucius! 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Proprio per questa tua formazione, che condivido, dovresti provare una certa pelle d’oca nel sentire chiamare una donna “androide” 😛
      Purtroppo è un vizio atavico della lingua inglese che neanche il caro vecchio zio Isaac Asimov è riuscito ad estirpare.

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      • Willy l'Orbo ha detto:

        Condivido assolutamente, collega di studi classici e di Z! 🙂 🙂 🙂

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      • Giuseppe ha detto:

        E infatti, rivedendo gli episodi, correggevo a mezza voce (“ginoide!”) i personaggi ogni qual volta -cioè sempre- si riferivano ad Aìda/Mallory Jansen come androide 😉
        Riguardo al suo futuro, sappi che costruirà a sua volta altri androidi (termine qui non a sproposito, visto che si tratta solo di maschi) e aspirerà a diventare umana in tutto e per tutto, corpo/sensazioni/sofferenze compresi, riuscendoci grazie al a lei già noto grimorio chiamato Darkhold -lo stesso capace di fornire a una copia robotica di Radcliffe un cervello di energia pura- e acquisendo poteri che però, alla fine, non la salveranno da… un personaggio che hai già visto in azione nella serie (chissà chi mai sarà) 😉

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  5. MisterZoro ha detto:

    Onestamente ho trovato la quarta stagione (con i suoi tre archi narrativi) l’ultima veramente divertente e fruibile di tutto il pacchetto (e la seconda, dopo la terza, valida per tutta la sua durata, visto che la 1 e la 2 sono decisamente schizofreniche con i loro pochi alti e moltissimi bassi).
    Se questa stagione non ha trovato il tuo gusto, ti intimo di non proseguire oltre: la quinta è cloaca pura, non farti del male, c’è di meglio in giro.

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