Continua il viaggio agli albori della carriera di Jackie Chan, mediante la sua corposa autobiografia I am Jackie Chan. My Life in Action (1998), eventualmente integrata con l’altra autobiografia Never Grow Up (2015). Sono entrambe inedite in Italia, quindi ogni estratto del testo riportato va intendersi tradotto da me.
Jackie ha superato i sessant’anni di età quando esce la sua ultima autobiografia, quindi è inevitabile che questa si chiuda con una nota amara. «Non voglio che il pubblico mi guardi sullo schermo e pensi: “È troppo vecchio per continuare a combattere”. Me li immagino sulle loro poltrone a gridare: “Piantala, sei patetico da guardare”». Devo confessare che ho pensato queste cose molti anni prima che uscisse questa biografia.
Fa bene Jackie a sottolineare come non ci siano ancora in giro molte action star della sua classe (1954). «Molti di loro hanno iniziato a fare film con le pistole, più facili da gestire per l’età», e quindi scatta la domanda fatale: «È il momento per me di fermarmi?» Jackie confessa che è dagli anni Novanta che pensa ad un ritiro, o comunque a passare a film meno impegnativi fisicamente, perché il suo corpo reagisce sempre peggio allo stress imposto dal cinema, però poi quando l’attore è in sala e sente il pubblico sorprendersi ed applaudire per le sue grandi scene d’azione… tutto è dimenticato.
In quel 2015 in cui scrive, Jackie si dà ancora un paio d’anni di attività, ma quando nel 2018 il libro arriva in America questi propositi sembrano ormai tutti disattesi. Di sicuro, però, con il passare del tempo Jackie ha bisogno di ritagliarsi una “via d’uscita”, vuole fare esperienza anche in un genere diverso da quello scavezzacollo: vuole provare a fare l’attore “normale”, una volta tanto. «Ogni tanto scelgo ruoli che mostrino alla gente che sono anche un vero attore, oltre che un atleta: da lottatore che ogni tanto recita, sono diventato un attore che sa anche lottare». Ognuno può decidere se sia d’accordo con questa supposta trasformazione professionale.
Il 19 aprile 2008 esce nei cinema di Hong Kong e americani The Forbidden Kingdom di Rob Minkoff, produzione cinese sulla quale non vorrei esprimermi per non diventare volgare. Dopo dieci anni in cui sognavo un film dove Jackie Chan e Jet Li lavorassero insieme, ecco un’altra dimostrazione che certi sogni non dovrebbero mai concretizzarsi. Invece vale la pena parlare di un film che è uscito ad Hong Kong il 2 aprile precedente: uno di quei casi in cui Jackie vuole dimostrare di essere principalmente un attore.
Indice:
Shinjuku Incident
Non ho capito perché abbiano usato il nome di un noto fatto di “cronaca sessantottina” giapponese, comunque Shinjuku Incident sembra in effetti un buon titolo per raccontare una vicenda drammatica di criminalità degli anni Novanta.
Esce in DVD italiano per Minerva Video nel febbraio 2010 con l’assurdo titolo La vendetta del Dragone. Arriva su SkyCinema (a pagamento) nella prima serata di domenica 26 settembre 2010.
Il film è disponibile per il noleggio a pagamento su “Full Moon TV” (Prime Video).
Una scritta ci informa che durante gli anni Novanta (prima cioè dell’esplosione economica del Duemila che fermerà questo processo) è cresciuto a livelli incontrollabili il fenomeno dell’emigrazione cinese in Giappone, con ondate di contadini e poveri vari che sfidavano la sorte per mare e, se sopravvivevano, entravano illegalmente in Giappone alla ricerca di un futuro migliore, che ovviamente non trovavano: trovavano solo sfruttamento, semi-schiavitù e disprezzo. Come ci viene spiegato da alcuni personaggi giapponesi positivi (ben pochi), gli immigrati clandestini cinesi svolgono per metà della paga quei lavori umilianti che nessun giapponese farebbe mai, neanche per il doppio della paga, eppure – come sempre – passa l’idea che gli immigrati rubino il lavoro ai locali.
Jack (Jackie) è un umile contadino che sbarca sulle coste giapponesi alla ricerca della sua fidanzata, di cui non ha più notizie da quando è emigrata. Come sempre, il protagonista è buono, fa cose buone, rifiuta la violenza e via dicendo, ma grazie agli immigrati più “stagionati” ci regala uno sguardo sulla vita di un cinese illegale in terra giapponese, non molto diverso da qualsiasi altra realtà migratoria. Anche se certo nella Terra del Sol Levante la Yakuza è socialmente accettata alla luce del sole e non è certo un’organizzazione tollerante verso gli immigrati.
Jack stringe subito amicizia con Jie (quel Daniel Wu contro cui lottava in New Police Story) e i due affrontano i rigori di una vita miserabile, disprezzati da quei giapponesi che sono però ben contenti di sfruttare gli immigrati, affittare loro una stanza per venti persone e comprare da loro a basso costo oggetti di marca rubati. Tutto il mondo è paese.
Quando Jack ritrova la fidanzata, arriva la fatale verità: dimentica delle proprie radici, veste alla giapponese ed è la compagna di uno Yakuza, a cui ha dato anche una bambina. Ormai Jack non ha più niente, è costretto a rimanere in Giappone e quindi decide di fare il “salto”, mettendo su quella che diventerà la più grande organizzazione criminale cinese del Giappone. La cosa un po’ perplime, visto che parliamo di uno che fino al giorno prima era un contadinotto ingenuo, ma diciamo che questo è un film a tema, profondamente moralistico e quindi parla per iperboli.
Comincia una tipica e noiosetta storia “di mala”, che permette a tanti bravi caratteristi giapponesi di fare una comparsata – peraltro tutti attori che si possono vedere nei film di Yakuza di Takeshi Kitano! – ma è chiaro che l’intento del film non è raccontare una drammatica storia criminale bensì pontificare su quanto siano corrotti quei Paesi che non aderiscono agli ideali del Partito cinese.
«La politica, l’alta finanza, la mafia, non li puoi separare gli uni dagli altri, sono gli ingranaggi di uno stesso sistema: è chiamato capitalismo.»
Già da questa frase si capisce che alla produzione c’è una casa nazionale cinese, ben contenta di associare tutti i mali del mondo ad un’entità inesistente ma perfetto spauracchio. (Mi piace ricordare che il capitalismo è morto negli anni Ottanta, quando è nata la finanza, concetto diametralmente opposto: con il capitalismo io rischio il mio capitale, con la finanza rischio i soldi degli altri, quindi me ne frego e faccio le peggio cose, tanto non pagherò mai per i miei sbagli. Purtroppo è la seconda a governare in Occidente: magari ci fosse ancora il compianto capitalismo!)
«Come potrei trarre profitto dal sudore della mia gente?»
L’altro sottotesto del film è che i cinesi sono tutti uniti, si spalleggiano, mica sono come quegli zozzi giapponesi che stanno sempre a pugnalarsi alle spalle. Ovviamente è propaganda di partito perché è appunto il Partito che sovvenziona il film, ma qui nasce un curioso problema. Perché girano voci sul fatto che questo film sia stato censurato nella Cina continentale?
Il 17 febbraio 2009 la testata generalista “Express” riporta una notizia di due righe:
«Jackie Chan è protagonista di un nuovo film, Shinjuku Incident, così violento che il suo regista, Derek Yee, ha deciso di non distribuirlo nella Cina continentale, visto che lì non hanno un sistema di divieti [film ratings system]».
Due giorni dopo, 19 febbraio, il quotidiano “l’Unità” riporta la notizia ma leggermente diversa:
«L’ultimo film del popolare attore Jackie Chan Shinjuku Incident è stato vietato dopo che la produzione ha rifiutato di tagliare alcune scene violente.»
Insomma, è stato il regista a non voler distribuire o è stata la Cina a vietarlo perché la produzione non voleva tagliare scene? Visto che di solito i registi non contano niente in queste decisioni, potrebbe sembrare più plausibile la seconda ipotesi, che però non ha alcun senso: è stata la Cina a produrre il film, come hanno fatto a non accorgersi che c’erano cinque secondi di scene violente? La “produzione” è quello stesso Partito che poi dice a se stesso: “Taglia quella scena di cinque secondi”, poi si alza, va dall’altra parte del tavolo, e dice a se stesso: “No, crepa!”
Non è chiro cosa sia successo, e probabilmente è solo una mossa pubblicitaria.
Per la prima volta nella sua pluridecennale carriera, Jackie muore in un film, anche se forse detta così è esagerata: lo colpiscono più volte con delle lame, gli sparano più colpi addosso ma lui, forte come una roccia, lo stesso riesce a scappare nelle fogne, finché si lascia portare via dall’acqua. In realtà non lo vediamo mai morire, e questo potrebbe essere un compromesso che l’attore ha adottato per venire incontro a quell’imposizione del suo patrigno Leonard Ho ai tempi di Armour of God (1987): non avrebbe mai dovuto morire in un film, e onestamente… in questo non ci viene mostrata la sua morte. Comunque rimane un momento epocale nella sua carriera.
È un film che ho trovato deludente la prima volta e questa seconda visione, a dieci anni di distanza, mi ha confermato l’impressione. Va citato perché è talmente anomalo nella filmografia di Jackie che ci serve a capire il suo tentativo di prendere strade diverse, di cambiare completamente genere, pur rimanendo fermamente l’eroe positivo e pacioccone che interpreta sempre. Se davvero Jackie avesse voluto cambiare ruolo, avrebbe dovuto iniziare a fare il cattivo, visto che questa storia lo consentiva, invece il tenere il piede in due staffe rende Shinjuku Incident un film di poco spessore.
(continua)
L.
- Ciclo Jackie Chan (Buon compleanno, Jackie!)
- Jackie Chan Story 32. Panoramica finale
- Jackie Chan Story 31. Police Story: Lockdown
- Jackie Chan Story 30. Shinjuku Incident
- Jackie Chan Story 29. Rush Hour 3
- Jackie Chan Story 28. New Police Story
- Jackie Chan Story 27. Rush Hour 2
- Jackie Chan Story 26. Rush Hour 1
- Jackie Chan Story 25. Esperimenti
- Jackie Chan Story 24. La tripletta americana
Non credo che potrei sopportare di vedere Jackie (quasi) morire… Troppo triste. Anche se mai quanto Forbidden Kingdom: su quello ho ancora gli incubi!
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Quell’assurdo filmaccio l’ho visto una volta sola e non voglio averci più niente a che fare. Ho il DVD per puro completismo collezionistico, ma mi rifiuto anche solo di toccarlo 😛
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L’indecisione di quando sei un nome grosso, ma i tempi sono cambiati e forse anche tu sei cambiato. Peccato che l’indecisione si veda anche nel film, in ogni caso sugli Yakuza leghisti sono scoppiato a ridere, avranno la mappa di Pontida tatuata sul corpo? 😉 Cheers
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ahahaha Pontida è una terra nota in tutto il mondo 😀
Qui Jackie fa lo stesso identico personaggio che fa sempre, solo che non combatte, quindi come prova attoriale è davvero poco incisiva. Sicuramente ci mette tutto se stesso, ma è una “via di mezzo” poco convincente.
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Poteva almeno essere un autentico film di denuncia ma, dovendo sottostare ai dettami della propaganda cinese, l’unica denuncia possibile era quella verso i “cattivi” giapponesi oltre alla corruzione che, si sa, in Cina non esiste (voci contrarie riguardo la sua esistenza e relative drastiche conseguenze penali sono ovviamente false e non meritevoli di menzione)… Non essendoci poi nemmeno uno straccio di combattimento, anche la sua prima morte ufficiale (presunta) finisce per lasciare meno il segno di quanto avrebbe potuto. Comprensibile che, non essendo più gli agili anni delle acrobatiche produzioni di Hong Kong, volesse tentare la carta della recitazione “pura” ma, forse, l’industria cinematografica cinese non era più da tempo l’ambiente adatto per farlo: il Partito gli avrebbe davvero consentito di interpretare un villain credibile fino in fondo, vista l’immagine positiva in toto che si doveva dare del popolo cinese? Possibile quindi che a Jackie fosse stato impedito di impersonare il suo primo personaggio negativo per convenienza propagandistica?
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Anche quello va tenuto conto, cioè che un cinema di Partito distingua la finzione dalla propaganda. In Occidente un attore che fa il cattivo piace molto, perché può usare doti recitative diverse da quando fa il buono, e nessuno pensa che sia cattivo sul serio. (Ricordi che botto fece Travolta con “Broken Arrow”? All’epoca nessuno parlava già più di John Woo, tutti gli occhi erano puntati su Travolta che era molto più bravo da cattivo che da buono!)
Invece in un cinema di propaganda i cinesi devono essere tutti buoni, il massimo consentito è l’infame collaborazionista, ovviamente disprezzato, e i cattivi sono sempre e solo gli stranieri, quindi non c’è alcuno spazio per qualsiasi ambizione recitative. Jackie deve fare Jackie (fermo restando che probabilmente è l’unico ruolo che sappia interpretare), senza alcuna possibilità di crescita artistica.
Hong Kong era più occidentale, gli attori facevano buoni e cattivi senza problemi, ma ormai dopo il 1997 quella cinematografia ha chiuso i battenti, una volta persa l’indipendenza.
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Vietato l’ingresso ai cinesi… ma anche ai gangster e ai minorenni 😀
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Ah, grazie della traduzione! 😛
Posso capire i minorenni, a cui basta chiedere la carta d’identità, ma… come fai a dimostrare di non essere un gangster, per entrare? 😀
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Beh dai: a mio figlio di cinque anni The Forbidden Kingdom è piaciuto. 😁
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Facile che fosse quella l’età a cui era diretta la storia 😀
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Beh dai è propaganda niente più e niente meno di ciò che avviene con la maggior parte dei film occidentali e comunque è coerente. Inoltre la figura del buono che fa cose cattive può andare più che bene se si tratta di disgraziati ai margini della società.. Magari nella realtà uno così non mette su l’organizzazione mafiosa cinese o pseudo tale più potente della zona, ma facile che inizi a spacciare o a fare scippi pur non essendo di base una persona orribile.
Sicuramente uno degli ultimi film godibili di Jackie. Personaggi magari troppo stereotipati.. Uno della gang di Jackie a na certa diventa uno dei Tokyo Hotel..
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Noi che siamo cresciuti con il cinema americano di propaganda becera ne abbiamo mandata giù insieme al latte materno, quindi lungi dall’essere una critica moralistica, la mia: semplicemente volevo sottolineare come non fosse il solito film di Jackie bensì un prodotto cinese (quindi di Partito).
Il passaggio alla criminalità ci sta tutto, e sarebbe stata un’ottima occasione per Jackie di uscire dai propri schemi, invece arriva la furbata alla “Miracles”: il capo buono, il gangster che non si sporca le mani, con la faccia d’angelo, così da poter continuare a fare lo stesso identico ruolo. No, onestamente considero il film già nella lista dello “Jackie dimenticabile”
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Ps: Finanza= mutazione del capitalismo… non a caso si chiama capitalismo finanziario Comunismo totalitario=mutazione del pensiero Marxista…
Comunismo cinese= fusione tra capitalismo, capitalismo finanziario e comunismo totalitario.. come ci sono riusciti non lo so ma è così
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Tutto sta a quantificare il concetto di “mutazione”. Dire che la finanza è mutazione del capitalismo è come dire che un assassino seriale è la mutazione di uno scippatore: sarebbe stato meglio quella mutazione si fosse fermata un po’ prima 😀
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eh so come le mutazioni del coronavirus.. sempre in peggio si va… da ambo i lati..
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Possibile in tanti anni non abbiano studiato un vaccino? 😀
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Consueto, ottimo, post di questo ciclo, arricchito con excursus storici (emigrazione cinese in Giappone in primis), aspetti politici, disquisizioni capitalismo-finanza (condivido molto il tuo ragionamento). Insomma, si parte da attori e film ma poi ci si allarga a ben altri temi e motivi sempre legati al cinema da cui siamo partiti, un viaggio con un nocchiere talmente bravo (te) che gli affiderei anche il comando del mio inestimabile vascello “orbo”! 🙂
Sul film, di primo acchito mi ispirava ma mano a mano che procede la tua narrazione/recensione, l’ispirazione si è un po’ “sgonfiata”, dunque, mi fido della tua non entusiasta impressione dello stesso! 🙂
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Ti ringrazi, sei sempre gentile. Non lo reputo un film da consigliare, ma comunque anche questo “Jackie impegnato” merita una visione 😉
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