Negli anni Cinquanta il prison movie è un genere di grande successo, tanto che la blasonata Columbia Pictures vuole essere della partita. Per il 1955 è già in lavorazione Cella 2455 braccio della morte, il film “scottante” che porta in scena la vera storia del condannato a morte Caryl Chessman, autore di una nota autobiografia, così la Columbia ha una bella idea: chiama Jack DeWitt, che sta trasformando in sceneggiatura il libro del detenuto-scrittore Chessmann, e gli chiede se per caso gli scappa pure un prison movie al femminile.
Oggi può sembrare normale un film che mostri un carcere femminile, ma all’uscita di Women’s Prison nel febbraio del 1955 è probabilmente la prima volta che gli spettatori assistono a questo tipo di pellicola.
La regia viene affidata a Lewis Seiler, regista degli anni Venti a fine carriera che proprio l’anno precedente per la Columbia ha girato The Bamboo Prison, un thriller sui detenuti americani nei campi coreani.
Il film arriva sugli schermi italiani il 28 settembre 1955 con il titolo La rivolta delle recluse, girando per anni di sala in sala: dal 1959 il film scompare totalmente dal nostro Paese.
La sceriffa Green (Lorna Thayer) scorta all’interno del carcere due nuove arrivate: una mora tutta abbottonata che si torce le mani in segno di nervosismo, ed una bionda platinata dall’abito luccicante e scollatura in vista. Il carattere delle due è già ben chiaro sin da subito.
La biondina è Brenda Martin (Jan Sterling), donnina allegra arrestata per assegni scoperti che è venuta “a riposarsi” tra le sbarre, ed è abbastanza facile immaginarsi da cosa voglia riposarsi. La mora timorosa è Helene Jensen (Phyllis Thaxter, prolifica attrice che nel 1978 sarà la mamma adottiva di Clark Kent in Superman!): è dentro perché un incidente automobilistico da lei provocato è costato la vita ad un bambino.
Il primo giorno di galera non è certo una passeggiata, così la tremebonda Helene entra subito in stato di shock, e per visitarla arriva il buon dottor Crane: interpretato da Howard Duff, attore dalla sterminata carriera televisiva.
Il buon dottore le dà un sedativo, ma visto che appena chiusa in cella di isolamento comincia a gridare, a risolvere la situazione arriva la spietata direttrice Amelia van Zandt (Ida Lupino, star del cinema sin dagli anni Trenta): una bella camicia di forza e passa la paura…
Visto che questo è probabilmente il primo film del genere WIP (Women In Prison) – anche se ancora sto “studiando” e cercando – è probabilmente il primo esempio di caratteri che torneranno quasi fissi nei decenni successivi: il buon dottore che si contrappone alla bieca direttrice è davvero un classicone inter-genere, che in fondo lo si può trovare in qualsiasi prison movie.
Per il resto siamo ancora in una rappresentazione della vita carceraria praticamente priva di qualsiasi tipo di violenza che non venga dall’alto: è l’istituzione e chi lavora per essa a mostrare crudeltà, perché le compagne di cella sono tutte simpatiche ed amicone.
Tutto il film si svolge in pratica su due binari: l’angoscia crescente della povera Helene, che non vuole essere reclusa – sebbene quello mostrato sembra più un dopo-scuola che un carcere! – e l’amore contrastato della detenuta Joan Burton (Audrey Totter, grande star e indimenticata femme fatale di Marlowe in Una donna nel lago del ’47) con il suo amore Glen (Warren Stevens), detenuto nell’altra ala. Sì, perché si tratta di un carcere misto. I due amanti galeotti riescono a darsi un bacio… e Joan rimane subito incinta!
La bieca direttrice maltratta a tal punto la donna da provocarne la morte, e questo scatena la rivolta delle detenute con aggiunta di Glen sconvolto armato di pistola. Il buon dottore cercherà di mediare e finirà tutto con secchiate di buonismo all’americana.
Se invece di svolgersi in una prigione si fosse svolto in un campo estivo, il succo di Women’s Prison non sarebbe cambiato di una virgola. Non è una denuncia del sistema carcerario, non mostra violenza se non quella della bieca direttrice, che viene spiegata sbrigativamente con una provvidenziale pazzia. Non è il sistema che è sbagliato, sembra voler dire il film: se c’è violenza, è colpa di schegge impazzite.
Davvero un film inutile, se non fosse che probabilmente ha creato da solo un intero genere: l’anno successivo esce il molto più complesso e intrigate Girls in Prison – dopo le “donne”, ecco le “ragazze” – e si può dire che i dettami del WIP sono belli che scritti.
L.
- [WIP] Savage Island (1985)
- Ilsa 4 (1977) La tigre della Siberia
- Ilsa 3 (1977) La donna bestia
- Ilsa 2 (1976) La belva del deserto
- Ilsa 1 (1975) La belva delle SS
- [WIP] Caged (1991) Le prede umane
- [WIP] Nightmare in Badham County (1976)
- [WIP] La calda bestia di Spilberg (1978)
- [WIP] Switchblade Sisters (1975) Rabbiosamente femmine
- [WIP] Swamp Women (1956)
Quindi la mamma di Superman è finita al gabbio per la stessa ragione del quattrocchi di “Oz” uguale spiccicato 😉 Ottima analisi del film, hai reso l’idea parlando del campo estivo, in ogni caso non conoscevo affatto questo film… Grazie per la lezione del giorno 😉 Cheers!
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Mitico Beecher, tra i migliori personaggi televisivi di sempre ^_^
Peccato sia un film castigatissimo: al suo confronto “Girl in Prison” è molto più noir.
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Essendo quasi certamente il capostipite del filone, i tempi non erano ancora maturi per potergli chiedere di più di quello poteva dare, mi sa… Però va apprezzata la parte sci-fi d’epoca, dove con un bacio Glen riesce a mettere incinta Joan: ovviamente, questo è possibile perché Glen è un alieno mimetizzato -sicuramente ispiratore del futuro invasore-con-sentimento-a-fini-riproduttivi interpretato da Tom Tryon in “ho sposato un mostro venuto dallo spazio”- e il dottor Crane, alla fine, riesce ad evitare che si vendichi dell’infamia subita facendo uso del suo disintegratore (abilmente camuffato da comunissima pistola) 😉
P.S. Seiler avrà potuto risparmiare qualcosa sull’illuminazione perché Ida Lupino, come sempre, brillava di luce propria 😉
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ahaha visto che quell’attore dieci anni dopo apparirà in un episodio di Star Trek, la tua ricostruzione ci sta bene! 😀
Finora è il più vecchio fil dichiaratamente WIP che ho trovato, ma magari continuando a cercare qualcos’altro uscirà: e sì, sicuramente per il ’55 più di questo non si poteva mostrare!
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Sì, me li ricordo Warren Stevens e Barbara Bouchet “Kelvani” a bordo della NCC-1701 😉
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