[Death Wish] Altre punitrici anni Ottanta


Nel 1972 la narrativa d’intrattenimento dà voce alla rabbia popolare e testimonia il crollo rovinoso delle istituzioni: polizia e politica sono colluse con quei criminali che fingono di combattere, quindi la giustizia vera può arrivare solo… da un Punitore.


La gatta sul tetto che mena

Non sempre il noto Godfrey Ho aveva voglia di rimaneggiare filmucoli taiwanesi per trasformarli in filmacci ninja di Hong Kong, a volte la casa del suo compagno di merende Joseph Lai, la IFD Films and Arts, si limitava semplicemente a distribuire nel mercato anglofono prodotti nati per i mercati locali.
È il caso di 神勇女煞星 (GoogleTranslate mi dà “Coraggiosa stella del male femminile”) diretto da Richard Chen Yao-Chi: secondo l’HKMDb il titolo internazionale è Girl with a Gun, secondo l’IMDb è Fury in Red.

Uscito in patria nel 1982, nel 1985 la IFD lo manda in giro per il mondo ma attenzione: esiste un filmaccio ninja che ha tutto l’aspetto di essere un rimaneggiamento di questo film, quindi alla fine mi sa che Ho è riuscito a infilare le sue zampette anche qui.

Vediamo se siete lettori attenti di questo ciclo zinefilo. Protagonista della vicenda è Penny (Ying Hsia), una sartina muta che un giorno, di ritorno dalla spesa, viene aggredita in un vicolo da un maniaco mascherato… Spero che siate saltati sulla sedia!
Ebbene sì: Fury in Red, o quale sia il suo titolo, è il plagio taiwanese di Angelo della vendetta (MS. 45, 1981) di Abel Ferrara.

Questa è la sartina muta di Abel Ferrara…

… e questa è la sartina muta di Richard Chen Yao-Chi, l’anno dopo

Parliamo per caso di “ispirazione”, “contaminazione”, “libera reinterpretazione”…?
No, parliamo di fotocopia scena per scena!

Certo per noi occidentali…

… la differenza c’è, e si vede

Proprio come la Thana di Ferrara, anche Penny esce devastata dalla sua doppia aggressione e decide di non subire più gli uomini ma iniziare a “punirli”, anche a costo di attirarli a sé comportandosi in modo provocante. Certo, il gusto taiwanese non mi sembra ben disposto ai costumi occidentali, quindi per attirare i maschi nella sua trappola Penny si veste come una caramella Sperlari, ma le mode sono mode.
Da notare infatti che l’apoteosi finale non la vede vestita da suora con le calze a rete, bensì da confetto della prima comunione.

La versione taiwanese di un costume provocante

Visto il totale disinteresse con cui è stato accolto all’epoca il film di Ferrara, mi fa piacere che invece in Asia abbiano saputo coglierne le potenzialità, anche se temo che questo film taiwanese non abbia avuto molta fortuna: se è finito nelle mani di Joseph Lai, vuol dire che al mercato lo tiravano via a gratis. Peccato.

Una giustiziera anni Ottanta misconosciuta

Una curiosità. Mentre Ferrara si limita a far calare un sipario sulla sua protagonista, la vicenda taiwanese si conclude invece con la povera Penny rinchiusa in manicomio: che sia un monito per le donne che vogliano seguire il suo esempio e ribellarsi?


La gatta sul tetto che mena

Fomentate dal fenomeno marziale in rapida ascesa anche in televisione, dalle donne giustiziere e vari altri sotto-generi misti, minuscole case affidano a minuscoli registi e minuscoli interpreti filmetti infinitesimali come questo Alley Cat (marzo 1984), che la Skorpion porta nelle videoteche italiane con lo stesso titolo, purtroppo in data ignota.

Billie (Karin Mani) è una ragazza tosta che vive in un quartiere tosto, un quartiere dove se cercano di fregarti la macchina esci e meni tutti a colpi di karate, o qualsiasi altro stile marziale finga di mostrare questo film. Billie è infatti una lottatrice marziale e paradossalmente ha più problemi lei con l’istituzione piuttosto che i criminali che imperversano nella zona e terrorizzano tutti: la criminalità violenta si sa che esiste, non ci si può fare niente, la giustizia violenta invece è oltraggiosa e va fermata a tutti i costi.

Billie e il suo fidanzato Johnny (Robert Torti) vivono varie avventure di vari generi, dal film marziale al WIP – infatti la ragazza deve scontare alcuni giorni di galera e via, galeotte nude sotto la doccia e cosce in cella nell’antica tradizione del Women In Prison – si va dalla denuncia sociale della malagiustizia al gialletto cittadino, insomma si spara ovunque senza però mai colpire nulla.

A sorpresa, una vera punitrice in mezzo alle vendicatrici

Pur nella sua fetenzia, questo minuscolo filmetto è unico per almeno due fattori. Al contrario di tutte le altre donne, Billie è davvero una “punitrice”: non si vendica di un torto subìto, non fa giustizia per conto di altri, ma esercita con la violenza quelle funzioni che la polizia non ha la forza (o la volontà) di eseguire.
Il secondo fattore è quello marziale: una donna che nel 1984 prenda a calci i maschietti non è assolutamente qualcosa di scontato, in un film americano, soprattutto visto che in questi anni l’americana Cynthia Rothrock deve lavorare ad Hong Kong perché negli Stati Uniti nessuno vuole una donna marziale su schermo.

Il coraggio di menare!

Un film quindi inguardabile ma lo stesso lodevole perché presenta due fattori che è davvero raro ritrovare in produzioni coeve di miglior qualità.


La vendetta è un piatto
che va servito nudo

Nel pieno della narrativa dei punitori e del sotto-genere nascente delle “vendicatrici” poteva Cirio H. Santiago rimanere indifferente? Il regista filippino ha riempito le videoteche con i peggiori film della storia del cinema, ma di sicuro capiva i filoni che piacevano di più al pubblico.
Nel dicembre 1985 in America esce il suo Naked Vengeance, che la Domovideo porta nelle nostre videoteche del 1987 in una VHS dal titolo Nuda vendetta.

Non ho trovato altro tipo di distribuzione italiana, in pratica il film è scomparso nel nulla finché non è riapparso per intero su YouTube addirittura in italiano! (O almeno quel poco che la censura nostrana ha fatto passare del film.) Santi Tubari!

Che vendetta è… se non è nuda?

Carla (Deborah Tranelli) vive una storia idilliaca con il marito che ama tanto, ma così tanto… che quando gliel’ammazzano rimane triste per tipo due minuti. Oh, ma due minuti pieni, eh?
Per riprendersi dal trauma di aver visto il marito ammazzato da un criminale da strada, la donna se ne torna a Silver Lake, suo paesino natale, ed è tutta allegra e sorridente: ma non era traumatizzata? Boh.

Totalmente dimentica del marito e di qualsiasi trauma, l’unico ostacolo alla felicità bucolica di Carla è la presenza in paese di uomini rozzi e volgari, che la donna segnala anche alle autorità senza che serva a nulla.
Ad un certo punto diventa chiaro che Santiago se ne frega dei punitori e delle vendicatrici – malgrado le tramette che potrete leggere in giro – e semplicemente sta plagiando scena per scena Non violentate Jennifer (I Spit on Your Grave, 1978) di Mier Zarchi, con la sola differenza che invece di Jennifer qui l’eroina si chiama Carla.

Questo me l’ha insegnato Jennifer Hills

Dopo essere stata aggredita e stuprata da un gruppo di mascalzoni locali, compreso un ragazzetto non proprio sveglio – appunto ricopiando fedelmente il film del ’78 – ripresasi in ospedale Carla capisce che nessuno l’aiuterà, tanto meno la polizia collusa, quindi è il momento di farsi giustizia da sola, maciullando uno per uno i vari aggressori, con sistemi truculenti, amputazioni e sangue a ettolitri.
Completata la vendetta, Carla va pure a cercare il criminale che all’inizio le ha ammazzato il marito e lo fa fuori in una posa da giustiziera della notte: sarà nata una punitrice? Allerta spoiler: no.

Poteva essere una giustiziera, è solo una fotocopia

Santiago ci ha abituato a una qualità talmente bassa che questo film sembra un gioiellino, anche solo per qualità tecnica, ma rimane un plagio smaccato. Segno però che seppur in numero minore le donne forti al cinema in questi anni Ottanta ci sono e colpiscono duro.

Una curiosità. La vendetta al femminile piaceva a Santiago, infatti una decina d’anni dopo dirige la giovane Cat Sassoon in Vendetta marziale (1993), uno dei filmacci inguardabili che hanno creato il mito del regista filippino.

L.

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12 risposte a [Death Wish] Altre punitrici anni Ottanta

  1. Zio Portillo ha detto:

    Dai, pur con qualità infime le vendicatrici hanno preso piede nel cinema. Segno che il seme gettato dai vendicatori uomini anni prima ha attecchito e si è intrecciato con le protagoniste toste che hanno iniziato ad apparire qua e là.
    E comunque anche questa volta il cinema “popolare” è riuscito ad anticipare le mode prima di quello delle major.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Anche perché dal nuovo millennio sono le grandi major a inseguire il cinema popolare alla disperata ricerca di spettatori – ormai estinti – mentre negli Ottanta erano loro a dettare le mode a cui poi la serie B-Z si rifaceva con i propri linguaggi e gusti. E all’epoca col cavolo che le major rendevano le punitrici protagoniste, ma che siamo matti? 😀
      Il fatto che venissero ricopiati (cioè plagiati) film non certo famosi, nei casi migliori vivacchiavano negli scaffali più oscuri delle videoteche, significa comunque che il messaggio degli anni Settanta era passato e le donne forti con estrema fatica stavano conquistandosi il loro spazio “serio”: non erano roba da commedia (tipo come saranno i gay fino al nuovo millennio) ma una cosa seriia tanto da essere protagonista di un film. Sono passi importanti.

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  2. Cassidy ha detto:

    Tra remake non dichiarati e furti belli e buoni, la seconda punitrice mi sembra la più ispirata, anche solo per come mena 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Giuro che non era voluta, eppure su tre film ho beccato due plagi smaccati, segno che la propensione allo scopiazzo era un’usanza ancora consolidata 😛

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      • Giuseppe ha detto:

        Almeno si copiava dai migliori (appunto) e, alla fine, voleva comunque dire che il messaggio era stato recepito 😉
        Ecco, tutt’al più la spicciola condanna “morale” (perché questo sembra) alla fine del film di Chen Yao-Chi dimostra quanto ai tempi persistessero resistenze residue nei confronti del pieno riconoscimento del diritto, per una donna forte, ad essere davvero protagonista…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        In una società come quella taiwanese dell’epoca – dove le donne non potevano più fare le attrici una volta sposate, com’è capitato alla moglie taiwanese di Jackie Chan – non stupisce che la protagonista venga sin dall’inizio ritratta come matta, per il rischio che poi qualche spettatrice dovesse farsi venire idee strane per la testa 😛

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  3. Willy l'Orbo ha detto:

    I post carrellata? Mi stuzzicano. Questo ciclo? Mi piace. La citazione di una mia recensione? Mi solletica. Gli scopiazzi in salsa Z? Mi divertono. In conclusione, questo post mi sarà garbato??? 🙂

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  4. Evit ha detto:

    Alley Cat ce l’ho in Blu-Ray, mi ha molto divertito. Per menare, menava 😄

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