Zatôichi (2003) La parodia diventa seria

Dopo averlo preso in giro in TV, Kitano si ritrova a dover fare sul serio Zatôichi, il padre nobile dei Maestri Sciancati!

Nel 1997 il cancro si porta via all’età il 65enne Shintarô Katsu, l’attore che per trent’anni ha dedicato grande parte della propria filmografia a Zatôichi, il massaggiatore cieco.
La mecenate dell’attore decide di omaggiarlo riportando in vita il personaggio, assente dagli schermi dal 1989, e per far questo pensa bene di rivolgersi all’ultima persona in Giappone in grado di riportare in vita Zatôichi. O forse la più indicata, dipende dai punti di vista.
Non sappiamo il nome della “mecenate”, ma così la chiama nelle interviste il pazzo che ha deciso di rivoltare come un pedalino uno dei più grandi miti nipponici: un pazzo di nome Takeshi Kitano.

Quando si dice omaggiare seriamente e con il dovuto rispetto…

Quando Kitano riceve la proposta dalla “mecenate”, subito rifiuta. Zatôichi è roba delle vecchie generazioni, le nuove lo conoscono di nome ma in pratica non hanno neanche mai visto un suo film, e sa bene che all’estero è pure peggio. «Solo gli intenditori conoscono questi film.»
In realtà non è una questione di notorietà, è semplicemente che Kitano un po’ si vergogna a fare “seriamente” ciò che ha preso in giro per anni…

Kitano dirige il suo amico e collega Duncan in uno sberleffo di Zatôichi

Takeshi Kitano è un personaggio molto difficile da definire, si può solo provare ad elencare le sue attività: è un comico televisivo, uno stand-up comedian, un ballerino di tip tap, un musicista, un romanziere, un saggista, uno sceneggiatore, un regista, un produttore, un attore, un pittore… e chissà quanto altro ho dimenticato. Ah, sì: è un suicida.
In un’intervista che purtroppo non so rintracciare Kitano diceva una cosa del tipo: Getting Any? è stato il mio suicidio artistico, prima del mio suicidio fisico. È ovviamente un’esagerazione, una battuta: l’incidente di moto che ha donato a Kitano quello strano viso che l’ha reso celebre non è stato un suicidio, solo un incidente. Getting Any? invece sì, è stato un suicidio artistico.
Ma cos’è Getting Any?

Problemi attoriali…

Avete presente quei comici televisivi italiani che diventano famosi per uno sketch di 3 minuti, spesso scritto da altri, e subito fanno un film di 80 minuti in cui, nel migliore dei casi, mettono insieme vari sketch di 3 minuti che così presentati non fanno ridere? Ecco, questo peccato di tracotanza l’ha compiuto anche Kitano. Con la differenza che il film Getting Any? (1994) non è una paraculata commerciale per sfruttare il nome di un comico televisivo, è un fiume inarrestabile di comicità kitaniana in piena libertà artistica.
Ogni aspetto della cultura giapponese è preso in giro senza pietà, così come i generi cinematografici tradizionali. Avete presente Godzilla? Ecco, Kitano immagina una mosca gigante che attacchi Tokyo, e per sconfiggerla piazzano una bomba. Come attirare la mosca sulla bomba? Cos’è che attira le mosche? Semplice: mettiamo una caccona gigante al centro di Tokyo!
Ripeto: un suicidio artistico. Ma vi giuro che quel film – trasmesso in Italia solo con i sottotitoli da RaiSatCinema nell’aprile 2003, e l’Etrusco era lì a registrarlo su DVD! – vi riempirà gli occhi di stupore, andando al di là del ridicolo fino a diventare irresistibilmente divertente.

Ehm, Ichi, apri gli occhi: quello è un mestolo, non una spada!

In uno degli sketch irriverenti del film, il protagonista Asao (interpretato da Duncan, il compare di Kitano di quando faceva gli spettacoli comici) vuole entrare nel cinema e accetta un ruolo in un film in costume. Indovinate di che film si tratta? Esatto: Zatôichi!
Secondo voi, Kitano si giocherà la carta del vedente che imita un cieco e distrugge il set inciampando dappertutto? Avete indovinato di nuovo: e vi giuro che si ride di gusto.
Dopo aver preso in giro quel vecchiume di Zatôichi al cinema e in TV, Kitano proprio non se la sente di accettare di fare un film “serio” sul personaggio. A meno che…

«A parte le caratteristiche del personaggio, il fatto che sia cieco, che sia un film in costume, che porta un “bastone animato” e che sia un massaggiatore, ho voluto carta bianca per scrivere la sceneggiatura. […] Il mio film ha lo stesso titolo, ma è completamente differente. Non si può definire né il seguito né la parodia di quella serie. In realtà non c’entra quasi nulla, ha solamente lo stesso titolo.»

Questa intervista di Kitano al giornalista Julien Seveon nel 2003 è presente nei contenuti speciali dell’edizione DVD Dolmen doppio disco del film (che ho comprato il 7 maggio 2004 all’esoso prezzo di € 19,50!), e ci spiega perfettamente lo spirito del film: dare carta bianca ad un pazzo come Kitano è pericoloso. O geniale, a seconda dei punti di vista.
Senza aver visto nessuno dei film interpretati da Katsu (o almeno così dice, probabilmente mentendo) Kitano si inventa il suo personale Zatôichi. E per far capire a tutti chi comanda… lo fa biondo!

Dite che sono biondo? E che ne so, io so’ cieco!

Per darvi un’idea della geniale follia del regista, mentre dirige Dolls (2002), in cui non compare come attore, si schiarisce i capelli. Il film esce, interviste, comparsate in TV e tutti in Giappone si abituano al fatto che quello stravagante di Kitano si sia schiarito i capelli. Si sa, gli artisti sono strani. E così quando piazza il suo Zatôichi biondo può sembrare una cosa “normale”. Invece non c’è nulla di normale nella geniale follia di Kitano:

«Il Cristianesimo e le armi da fuoco arrivarono in Giappone nel 1543 sull’isola di Tanegashima. A Nagasaki furono impiantate imprese olandesi: quegli olandesi erano biondi e avevano gli occhi azzurri. Ho immaginato che Zatôichi fosse eurasiatico, per questo maltrattato da tutti, e che fosse cieco per un problema ereditario. Diventa massaggiatore e, siccome è maltrattato da tutti, impara a maneggiare la spada. Non voglio parlarne troppo, ma certi giapponesi hanno gli occhi azzurri e i capelli biondi per cause ereditarie.»

Probabilmente i giapponesi biondi sono quelli che si sono incacchiati di più, per essere stati “stanati” così da Kitano!

Quando bolle il sangue olandese…

Presentato in anteprima mondiale in Italia il 2 settembre 2003, quando partecipa al Festival del Cinema di Venezia, esce in patria giapponese il 6 settembre successivo: bisogna aspettare il 14 novembre 2003 per l’arrivo nelle sale italiane.
La Dolmen lo porta in DVD Dolmen (Cecchi Gori) dal novembre 2004, anche nella versione 2 DVD Collector’s Edition, ristampato poi in Blu-ray dal febbraio 2013.

Edizione italiana salvata nel DVD Dolmen (Cecchi Gori)

Malgrado all’estero sia stato spesso presentato come un omaggio, Kitano mette bene in chiaro che questo è un film su commissione, lasciando ben capire che se fosse dipeso da lui non l’avrebbe mai fatto. Però è innegabile il successo che gli ha donato e, a posteriori, sappiamo che è l’ultimo film dell’autore che meriti di essere visto. Onestamente quei suoi recenti titoli della serie Outrage li ho trovati inguardabili, soprattutto se paragonati agli altri film di gangster fatti dall’autore.

Scusa… che hai detto dei miei ultimi film?

Kitano dunque sta svolgendo un compito ma anche divertendosi a giocare con il suo stile, perché si sappia che il film è suo ma non è suo. Così prende i temi più classici esistenti – il ronin, il cane sciolto che si offre come guardia del corpo, la rivalità tra bande criminali e una vendetta con radici nel passato – e li tratta a modo suo, infilando sketch ovunque ed alternando sapientemente umorismo e drammaticità.

La scena del gioco d’azzardo era obbligatoria, ma Kitano si è divertito

Così Ichi il massaggiatore cieco (Kitano) arriva nel solito paesino e scopre che la banda guidata da un misterioso capo sta tramando per conquistare il potere locale, soprattutto grazie all’aver assunto una fenomenale guardia del corpo: il samurai decaduto Genosuke, interpretato dal celebre Tadanobu Asano.

Spettacolare la potenza che scaturisce da questa scena…

Appena scandalizzato il mondo con il suo ruolo in Ichi the Killer (2001) e pronto a diventare niente meno che Gengis Khan per il russo Mongol (2007), Asano ha conosciuto Kitano ai tempi di Tabù – Gohatto (1999) di Nagisa Ôshima. Takeshi gli ha subito proposto il ruolo della guardia del corpo in Zatôichi ma ad una condizione: che studiasse duramente l’arte della spada, in cui era un po’ carente. (Pare sbagliasse il movimento delle anche!)
L’attore si è impegnato e nel film dà grande prova di sé, interpretando un più che convincente ronin in cerca di riscatto, tormentato dalla grave malattia della moglie.

Tadanobu Asano, il cuore duro del film

Poi ci sono Okinu (interpretata dalla splendida Yûko Daike, che Kitano ha già diretto in Hana-bi e Dolls) ed Osei (Daigorô Tachibana), due fratelli che girano di paese in paese, mantenendosi con balli ma soprattutto con la prostituzione e il taccheggio, alla costante ricerca degli uomini che dieci anni prima hanno massacrato la loro intera famiglia.

Lo sguardo di Yûko Daike ti pietrifica!

Incontrano Ichi e probabilmente entrambi stanno perseguendo gli stessi cattivoni.

E la sua “musica” ti stende!

Il tutto è condito con storie e storielle secondarie, con sketch comici o drammatici, con personaggi che vanno e vengono in una sarabanda di colori e suoni che scalda il cuore.
Aiuta il ritmo sincopato di Keiichi Suzuki, che per la prima volta sostituisce lo storico Joe Hisaishi alla colonna sonora di un film di Kitano. Il compositore segue il regista nelle sue divertenti trovate musicali e, grazie a ballerini mascherati da contadini, crea siparietti come quello dei raccoglitori sotto la pioggia.

Scenetta all’italiana: uno lavora e tre ballano…

Proprio la pioggia ha creato una “leggenda metropolitana” sul film. Stando a quanto dice Kitano nella citata intervista, mentre stavano girando la scena in cui affronta i criminali sotto la pioggia, durante una pausa dalle riprese ha detto scherzando: «Questa pioggia è un omaggio a Kurosawa». Probabilmente si riferiva al film-simbolo dell’autore Rashômon (1950) con la sua pioggia opprimente.

Che faticaccia citare Kurosawa!

A chi l’ha detta questa battuta, Kitano? Alla costumista del film, che si chiama Kazuko Kurosawa (ignoro se sia parente). La battuta ci stava tutta ma dopo un po’ la voce si è ingigantita e Kitano ha scoperto che tutti i giornali giapponesi consideravano Zatôichi un omaggio a Kurosawa, e l’avere una storia che sembra tagliata di peso da Yôjimbô (1961) non aiuta di certo.
Le bande rivali, la guardia del corpo, la pistola in mano al vigliacco… andiamo, Takeshi, di’ la verità: o è un omaggio o è una paraculata. Comunque lui nega, e dice che se davvero avesse voluto fare un omaggio a Kurosawa si sarebbe impegnato di più.

Giuro che non sto citando la scena identica di Yôjimbô!

Chiude il cerchio la scena migliore di tutto il film, che considero un capolavoro posto a chiusura della carriera artistica di un genio che in seguito non mi sembra abbia saputo eguagliare se stesso.

L’apice di un geniale regista visionario

Mi riferisco alla festa del paese che chiude la storia, quell’esplosione di colore, musica e danza che solo Kitano poteva concepire.

«Molti giapponesi quando guardano questa scena credono che provenga dall’estero, ma si sbagliano: questa pratica esiste anche in Giappone. Questo spettacolo è interpretato da ballerini professionisti, hanno inserito dei ritmi che non sono giapponesi, ma si sono ispirati alle danze tradizionali.»

Chiudere un racconto storico con un balletto di tip tap come fossimo in un musical di Broadway è una commistione che a ben pochi giapponesi sarebbe venuta in mente, ma non dimentichiamo che Kitano è un ballerino di tip tap e soprattutto un pazzo, quindi era l’unico che poteva concepire una scena del genere.

Nelle versioni home video i colori non sembrano così sgargianti, ma vi assicuro che quel pomeriggio del 17 novembre 2003, al cinema Trianon di Roma, l’esplosione su grande schermo è stata un’emozione memorabile, e sono uscito dalla sala senza toccare i piedi per terra: trasportato dal ritmo e dalla meraviglia.

Non riuscirete a rimanere fermi, davanti al balletto finale

Come film su uno spadaccino cieco non è forse memorabile, le pellicole originali d’annata erano più emozionanti; come film di Kitano è sicuramente il meno personale, visto che è girato su commissione; alla fine però si lascia guardare con piacere, si ride, si sghignazza e ci si lascia innamorare dalla scena finale. Non mi sembra un risultato da poco.

L.

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18 risposte a Zatôichi (2003) La parodia diventa seria

  1. Cristian Maritano ha detto:

    Sembra quasi un manga per come la sceneggiatura è stata scritta. Poi bellissimo quel finale ballato sulla colonna sonora di un potentissimo Keiichi Suzuki. Oltretutto a parte la coralità del pezzo “Festivo” debbo dire che “A House on Fire and Massacres All Over” sembra ptesa direttamente da Arancia Meccanica di Kubrick

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  2. Cassidy ha detto:

    La butto lì, una profezia alla Piero Fassino: Sarà il tuo post sui “Maestri Sciancati” più cliccato perché il titolo qui da noi è famosissimo, forse il film del grande Beat più celebre qui da noi.
    Detto questo, serie di ringraziamenti: Il primo per aver ricordato a tutti che Beat è pazzo e poliedrico oltre misura, era doveroso farlo 😉 Secondo per aver citato quella bombetta comica di “Getting Any?” che ufficialmente non fa parte dei film del suicidio artistico di Kitano (quelli sono “Takeshis’” e “Glory to the Filmmaker!” che altro non sono che dei “Getting Any?” ingentiliti) ma resta un vero spasso. Terzo ringraziamento aver ribadito che quel finale ballerino è geniale e solo un matto poteva farlo funzionare. Altro che La La Land, al massimo Za Za Land 😉 Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      “Takeshis” l’ho trovato odioso e neanche lo ricordavo, se non me l’avessi citato. L’altro non voglio neanche vederlo. Ormai Kitano non lo riconosco più, mi piace ricordarlo quando era un grande…
      Contento di saperti grande fan di Beat Takeshi, che in Italia è stato famoso per troppo poco tempo.

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      • Cassidy ha detto:

        Rispetto a “Getting Any?” sono film fin troppo pensati con l’intento di provocare, l’unica spiegazione è che Beat abbia voluto farsi un po’ beffe del pubblico medio dei film festival. Mi è piaciuto ancora abbastanza “Achille e la tartaruga”, mentre “Outrage” (di cui devo ancora vedere l’ultimo) mi sono sembrati poca cosa, ai primi due film continuo a preferirgli “Brother”, anche se era un Kitano in misura minore rispetto ai suoi primi titoli. Concordo in pieno, famoso per troppo poco e mai per i titoli giusti. Cheers!

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  3. redbavon ha detto:

    Non riuscii ad andarlo a vedere a cinema, ma Kitano esercita su di me un fascino che scatena il maniaco compulsivo e ossessivo acquirente di dischi argentati. Così acquistai – ahem – alla cieca il DVD. Il prezzo comunque era modesto. Mia moglie mi fa sempre: “Ma come fai a comprare un film se non sai nemmeno com’è?!?”.
    Mi piacque molto, sebbene non mi faccia gridare al “capolavoro”, ma è un film che apprezzai per i motivi che hai ben descritto e per quella sana “follia” giapponese (culturalmente siamo lontani dai giapponesi e ci sta che qualcosa non venga codificato come “normale”). Come per i registi, non mi affeziono più agli attori, ma – non avendo visto il trittico di film che avete citato tu e Cassidy – ne ho ancora un buon “ricordo”.

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  4. Zio Portillo ha detto:

    Lo vidi al cinema e me ne innamorai. Lo comprai in dvd (credo di averlo pagato un occhio anch’io! Ma all’epoca il costo dei dvd, pure quelli versione “base” era esageratamente gonfiato) ma sono abbastanza sicuro di avere il film ancora avvolto nel cellophane a casa dei miei. Forse la pellicola è stata un po’ troppo pompata qua da noi creando una sorta di aura da “film mitico” cosa che non lo è per nulla. Bella pellicola senza dubbio, ma non è certo da strapparsi i capelli. Personalmente il mio preferito di Kitano è “Dolls” ma se la gioca testa a testa con “Sonatine”…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il mio cuore sarà sempre per “L’estate di Kikujiro”, che riempì i miei occhi in un piccolo cinema di Roma…
      La copertura pubblicitaria di “Zatoichi” è stata decisamente superiore all’effettivo spessore del film, e forse in Italia questo ha un po’ avuto l’effetto contrario, ma anche “Brother” ha avuto un’ottima copertura eppure non è che sia stato tutto questo successo, da noi. E’ che spacciare per filmoni thriller o action film che non lo sono è sempre deleterio.

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  5. Sven ha detto:

    Splendido il balletto finale
    Però
    Spoiler
    Spoiler
    Spoiler
    Spoiler
    Non è un vero maestro sciancato perché in questo film (negli altri non saprei) non è davvero cieco

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Se ricordi bene, quella è un’invenzione che si gioca prima della festa, ma l’ultima scena, il fotogramma finale del film, dice che non è vero niente e che è davvero cieco. Era un modo di Kitano di giocare con il personaggio 😛

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  6. Sven ha detto:

    Ah no questo non me lo ricordavo, bisognerà che lo riveda

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non un filmone, ma merita 😉

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      • Giuseppe ha detto:

        Diciamo che relativamente all’essere un film su commissione lo Zatoichi del grande Beat Takeshi (per quanto tempo ho seguito il suo Takeshi’s Castle) E’ un autentico capolavoro… riuscissero tutti così bene quei film che, fosse dipeso solo da loro, i registi non avrebbero mai voluto fare 😉
        P.S. Getting Any? ancora mi manca, ma so già che mi divertirà assai recuperarlo 😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        E’ pura comicità allo stato brado, ed essendo parecchio lontana dai nostri schemi è ancora più deflagrante: fisserai lo schermo chiedendoti “Ma davvero sta succedendo questo????” 😛
        Nell’intervista citata Kitano racconta quanto sia stata dura farsi accettare come regista: tutti lo vedevano sempre come un comico televisivo e quasi non ammettevano che potesse fare altro, nella vita. In fondo è un problema comune a molti autori comici, la maledizione del “facce ride”.

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