Sharon Stone racconta 16. La parola a Michael e Paul

Lo so, sono passibile di accusa d’essermi incastrato con Basic Instinct (1992), il film più messo in pausa della storia del cinema (almeno secondo Conan O’Brien) che anche qui si è messo in pausa, ma il fatto è che l’insufficienza delle dichiarazioni di Sharon Stone fanno nascere la domanda: possibile che i suoi colleghi non abbiano rilasciato dichiarazioni più corpose?

Dando un’occhiata scopro così il saggio autobiografico Michael Douglas. A biography (1993) di Alan Lawson, che mi sorprende subito sbrigando Basic Instinct come l’ennesimo rifacimento di uno schema che a Hollywood funziona sempre, e aveva funzionato bene qualche anno prima con Seduzione pericolosa (1989), il thriller bollente con Al Pacino detective soggiogato sessualmente da una Ellen Barkin più scottante che mai, oltre che nuda spesso e volentieri: altro che gambe accavallate!

In effetti è puro canone noir, solo che gli ammiccamenti sessuali della femme fatale ora sono sesso esplicito, e non certo nei porcelloni anni Novanta. Perché se siamo scesi al 1989 di Seduzione pericolosa, allora non posso non pensare Dennis “migliori addominali di Hollywood” Quaid e alle sue scene bollenti con… toh, ancora Ellen Barkin, in The Big Easy (1986).

Ellen Barkin e Dennis Quaid, progenitori di Basic Instinct

E già che siamo qui, dove la mettiamo la nudissima e irresistibile Kathleen Turner che trascina l’altrettanto nudo William Hurt per la stanza… e non tirandolo certo per la mano? Va bene, in Brivido caldo (1981) il protagonista non è un poliziotto ma lo schema è identico. Puro canone ma con scene di sesso bollente esplicito. Oserei dire anzi che negli Ottanta mostravano quanto nei Novanta non avrebbero mai osato.

«Lo vedevo come un thriller psicologico a sfondo sexy, una specie di Attrazione fatale in versione anni Novanta. Ricorda quel tipo di romanzi polizieschi che magari leggi di nascosto, a letto: non proprio volgare ma sicuramente frizzante.»

Purtroppo non sappiamo se queste parole Douglas le abbia dette al suo biografo o siano un estratto da qualche intervista, con mio disappunto raramente i saggisti di cinema dimostrano una sufficiente “cultura della fonte”. Comunque sono parole molto plausibili, visto che Attrazione fatale (1987) non scherzava certo in quanto a “bollore”: la scena di sesso in ascensore rimase così impressa nell’immaginario pubblico che ricordo anche uno spot televisivo che palesemente vi si rifaceva. (Del tipo “compra questo profumo e le donne ti salteranno addosso in ascensore”, o qualcosa del genere.)

Douglas aveva già fatto tutto uguale anni prima

Stando a Lawson, di nuovo (purtroppo) senza fonti, sin dai primi giorni di riprese del film di Verhoeven la stampa coniò la geniale espressione «Cops ‘n’ Copulation thriller» per identificare un genere che, forse pochi poi se ne sono accorti, ha avuto larga risonanza anche ai “piani bassi”: la serie B, i film da videoteca che proprio in quegli anni incassavano cifre da capogiro, fecero proprio il genere e sfornarono molte reinterpretazioni del poliziotto mandrillone e della cattiva farfallona. Mi piace citare addirittura la Millennium Films, esperta d’azione, che nel 1994 affida a una delle sue colonne fondanti, Boaz Davidson (specializzato in ninja e squali!), il compito di un filmaccio televisivo Cops ‘n’ Copulation: chiamato l’american ninja David Bradley, ecco Blood Run. Una lunga striscia di sangue, la versione Millennium di Basic Instinct.

Una delle versioni Z di Basic Instinct

Tornando a Michael Douglas, secondo la biografia l’attore dopo il dramma bellico Vite sospese (1992) aveva voglia di un po’ di sesso. «Guardavo sempre le classifiche annuali dei dieci attori più sexy e il mio nome non veniva mai fuori. Mi sentivo un caratterista, non un attore». Quindi per essere un vero attore bisogna apparire in stupide classifiche stilate da rivistine scandalistiche? Spero siano dichiarazioni davanti a una bottiglia vuota.

Quello che segue non è il racconto del film, bensì delle proteste durante la sua lavorazione, quei moti che ho già raccontato la scorsa settimana. Solo che quel racconto è basato su articoli di giornale che non avevano alcun coinvolgimento diretto con la questione, nella biografia di Lawson invece abbiamo un racconto uguale ma completamente schierato verso una posizione decisamente estrema: quell’infame di Joe Eszterhas è un traditore puzzone! È incredibile quanto spazio venga dato a infangare lo sceneggiatore e a ritrarlo come un vigliacco voltagabbana, ma in fondo il libro è uscito quando ancora le polemiche erano fresche e magari i sentimenti ad Hollywood erano ancora forti.

Lo dicevo, io: l’assassino è sempre lo sceneggiatore

Douglas ci racconta che durante tutte le fasi iniziali aveva chiesto ad Eszterhas se fosse d’accordo con lo stile del film e se l’avrebbe difeso dagli attacchi, e per lo sceneggiatore era un sì tondo, salvo poi fare il salto della quaglia e dichiararsi d’accordo con i critici e detrattori, mettendosi a lavorare a cambiamenti. Non è una ricostruzione onesta, perché dall’agosto 1990 Eszterhas non aveva più alcun diritto di parola sulla sceneggiatura quindi Douglas non si capisce perché gli facesse quelle domande: lo sceneggiatore gli avrà risposto di sì per gentilezza, o perché Douglas era un pezzo da Novanta di Hollywood e mettercisi a litigare ogni giorno non è una buona idea.

«Joe ha pugnalato [il produttore] Allan Marshall alla schiena. Posso capire che era nervoso perché degli attivisti gli avevano minacciato moglie e figli, ma avrebbe dovuto chiedere aiuto ad Allan invece di voltargli le spalle.»

Certo, una massa di facinorosi che hanno già vandalizzato il bar dove sono state girate delle scene del film minaccia la mia famiglia e io vado da un produttore hollywoodiano, la creatura più falsa e inaffidabile che esista in natura, e mi affido a lui… per fare cosa? Ci avrebbe pensato Allan Marshall a difendere casa Eszterhas?

Finalmente Douglas si ricorda di essere un attore e così smette di sputare su Joe Eszterhas e ci racconta qualcosa sulla lavorazione del film. Che non è stata facile, perché il regista Paul Verhoeven non gli diceva niente. Andava bene? Andava male? Silenzio. L’attore non chiede, il regista non dice.

«Interpretare Nick è stato un processo molto doloroso per me, perché Paul non mi parlava molto del personaggio. Credo che lo facesse apposta. Oliver Stone utilizzava la stessa tecnica con me in Wall Street. Quando appari in ogni scena cominci ad impazzire, e forse – ho capito in seguito – era proprio ciò che Paul voleva.»

Queste sottigliezze registiche non sembrano aver convinto l’attore durante le riprese, perché un fenomenale litigio fra i due finisce con Paul ricoverato alcuni giorni in ospedale per via di “emorragia nasale”: mi sa che a forza di non parlare con il suo attore protagonista, questo l’ha preso a pugni in faccia!

Della questione o dell’intero film tace completamente il saggio Paul Verhoeven (1997) di Rob van Scheers. L’autore si limita a raccontare un aneddoto risalente al 1958, quando Paul è un ventenne olandese a Leida e con degli amici in un locale riconosce in lontananza una donna che conosceva, con cui aveva condiviso la frequentazione degli stessi circoli studenteschi. Anche la donna li vede e li riconosce… e lentamente cambia posizione, accavallando le gambe, così che davanti a Paul e i suoi amici si disveli la stessa scena che più di trent’anni dopo Paul condividerà con il resto del pubblico.

Quando i ragazzi si avvicinano a salutarla, Paul chiede sussurrando alla donna se sappia che «possiamo vederti tutto», e lei annuisce, rispondendo: «ma certo, è per questo che lo sto facendo». Ad arrossire dunque è stato Paul, non la donna, ed è quel tipo di sensazione che ha voluto ricreare: non l’imbarazzo di una donna ma la difficoltà in cui riesce a mettere gli uomini che la guardino.

L’ultima testimonianza è fuori tema ma è un aneddoto troppo delizioso per non raccontarlo.

Anno 2015, vent’anni dopo, siamo sul set del film Marvel Ant-Man di Peyton Reed, e siamo alla fine delle riprese. Nell’ultima scena da girare il protagonista Paul Rudd è ripreso solo di schiena perché a parlare davanti all’obiettivo è il co-protagonista Michael Douglas.

Mentre la cinepresa gira, girano anche le rotelle di Paul Rudd: sono qui… seduto davanti a Michael Douglas… che fai, non glielo fai uno scherzone? D’un tratto l’attore lentamente si slaccia i pantaloni, se li cala alle caviglie e, coprendosi i boxer aperti con la maglietta bianca come fosse un tubino… ricrea la celebre scena di Basic Instinct davanti al detective Nick Curran in persona.

Douglas, da grande professionista, non muove un muscolo e recita le sue battute senza sbagliare, ma appena viene dato lo “stop” guarda schifato Rudd e gli urla in faccia: «Ma cosa sei, un cazzo di pervertito?» No, lo scherzone non è stato apprezzato.

Paul Rudd mima il suo “accavallamento” mentre Seth Rogen se la ride di gusto

Tutto questo Paul Rudd lo racconta a Jimmy Fallon il 14 luglio 2015, ma è  più divertente quando lo rifarà al “The Graham Norton Show” il 29 aprile 2016, perché ha Seth Rogen e Martin Freeman al fianco che ridono come matti.

L.

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10 risposte a Sharon Stone racconta 16. La parola a Michael e Paul

  1. Willy l'Orbo ha detto:

    Stima per Paul Rudd ( 🙂 ), sfizioso l’aneddoto sulla nascita della celebre scena “accavalla-gambe” e gioia per la citazione di David Bradley: insomma, solito post interessantissimo! 🙂

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  2. Cassidy ha detto:

    Hai voluto la fama Michael? Ora beccati Paul Rudd 😉 Scherzi a parte, anche io sapevo la storia dell’accavallamento perché oltre che nel saggio Verhoeven l’ha raccontava spesso, il suo film poi si discosta dal canone solo per quella scena, quindi hai fatto bene a citare un po’ di antesignani, ma perché nessuno si ricorda mai di quella meraviglia di Ellen Barkin? Che peccato gran attrice e gran bellezza. Cheers!

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  3. Sam Simon ha detto:

    Grande Paul Rudd! Ahahahhah! Certo che Michael Douglas uno simpatico non sembra proprio… Ottimo articolo, come sempre, bello l’aneddoto sul giovane Paul e la sua amica disinibita e anche tutti i precedenti hollywoodiani di Basic Instinct! :–)

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  4. Madame Verdurin ha detto:

    Insomma l’accavallamento per Michael Douglas è un po’ come le esplosioni per Michael Bay: non gliene devi mai parlare! XD

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  5. Giuseppe ha detto:

    Facciamo a capirci: Michael Douglas si preoccupa di non apparire nella lista dei dieci attori più sexy perché questo l’avrebbe ridotto a semplice caratterista (ma che “ragionamento” è? Confido a mia volta fosse solo la bottiglia vuota), accusa uno sceneggiatore non avente più alcuna voce in capitolo di aver pugnalato alle spalle il produttore (lasciamo perdere poi il consiglio di affidarsi a proprio a quest’ultimo, cosa da far ridere i polli), si confronta a suon di nocche con un Verhoeven reo di spiegargli poco il personaggio… e, dopo tutto questo, nemmeno riesce a stare al divertente e meritatissimo scherzo di Paul Rudd? No, Michael, proprio non ci siamo 😛
    Nel frattempo la reticenza di Sharon è arrivata a livelli tali che, un giorno non lontano, è persino probabile che il pubblico cominci a ricordare molto più gli antesignani di “Basic Instinct” (protagoniste comprese, Ellen Barkin in testa) rispetto al film che l’ha resa famosa…

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