Jackie Chan Story 5. Mezz’etto di kung fu!

Continua il viaggio agli albori della carriera di Jackie Chan, mediante la sua corposa autobiografia I am Jackie Chan. My Life in Action (1998), eventualmente integrata con l’altra autobiografia Never Grow Up (2015). Sono entrambe inedite in Italia, quindi ogni estratto del testo riportato va intendersi tradotto da me.

Prima di andarsene per la seconda volta dall’Australia, Jackie aveva stretto un patto con suo padre, un uomo vecchia scuola per cui un impegno è inviolabile e la parola data è sacra. Il patto prevede che se entro due anni il giovane non avrà sfondato nel cinema di Hong Kong, tornerà a casa dai suoi in modo definitivo, mettendosi l’anima in pace per aver passato l’intera vita ad addestrarsi per qualcosa che palesemente non interessa a nessuno e trovando un altro lavoro.

Jackie sente di aver bisogno di un’occasione, ma incontrare Lo Wei è un passo nella direzione sbagliata, visto che è un professionista nello sfornare esattamente il genere di film che a Hong Kong nessuno vuole vedere. Uniamoci il fatto che non è interessato a vendere all’estero, ed è chiaro che il futuro di Jackie è ben radicato in Australia. Eppure servirebbe appena… mezz’etto di kung fu!


Indice:


Gli uomini di legno

Come abbiamo visto, l’esordio di Jackie sotto la “guida ispirata” di Lo Wei è un totale fallimento: New Fist of Fury è un buco nell’acqua che costringe Lo Wei a ridurre leggermente l’opinione che ha di sé, tanto da lasciare spazio a collaboratori volenterosi. Come per esempio il giovane regista Chen Chi-hwa, a cui Lo Wei concede di farsi le ossa “in forma anonima”, visto che non apparirà nei crediti: Chen è economico, quindi piace alla casa produttrice, e ha voglia di sperimentare, quindi piace a Jackie. Così l’attore (nella doppia veste di protagonista e regista delle scene d’azione) e il giovane talento Chen si mettono a lavorare insieme ad un film tanto piccolo quanto ambizioso: Shaolin Wooden Men.

Il film sfrutta le atmosfere narrative classiche del tempio Shaolin e la sua mitologia, che se per un occidentale è qualcosa di esotico non lo è per un locale: sia perché sono tutti temi ampiamente noti, sia perché due anni prima è uscito un capolavoro inarrivabile. Il maestro Chang Cheh ha diretto per la Shaw Bros Shaolin Martial Arts (1974, noto in Italia come I giganti del karate) che grazie alla presenza di titanici attori – come il compianto Fu Sheng – dà vita ad un film di culto a cui la minuscola (e cialtrona) casa di Lo Wei non può neanche allacciare le scarpe. Usare le stesse tematiche e creare lo stesso un capolavoro che si imponga come novità è un lavoro che solo un altro grande maestro di cinema può fare, e infatti ci riesce Liu Chia-liang, che quattro anni dopo sforna The 36th Chamber of Shaolin (arrivato in Italia con giusto trent’anni di ritardo!). Questi e pochi altri titoli sono le vette del tema “film marziale su sfondo Shaolin”, poi c’è un oceano di filmettini dozzinali, e purtroppo Shaolin Wooden Men con Jackie è nel fondo di questa seconda categoria. Sebbene gli uomini di legno siano un’ottima trovata narrativa.

Quando Jackie era ancora costretto a fare il “duro”

Jackie interpreta un giovane muto che studia nel Tempio di Shaolin per vendicare un giorno l’assassino del padre, e già partiamo male: il celebre tempio è un simbolo di libertà e lotta per l’indipendenza, ambientarci una minuscola storia di vendetta personale è davvero poco ambizioso. Soprattutto nello stesso momento in cui alla Shaw Bros c’è Chang Cheh che sta scrivendo con le proprie mani l’epica cinese che farà incantare tutto il mondo. Comunque il nostro giovane muto è insoddisfatto degli insegnamenti “ufficiali” e comincia a dar fastidio ad altri monaci per apprendere di più. Per esempio da un monaco ubriaco impara il kung fu dell’ubriaco, mentre dalla celebre monaca Ng Mui – che mitologia vuole in seguito abbia insegnato arti marziali a Wing Chun, la prima donna a diventare maestra di uno stile di combattimento che ancora oggi porta il suo nome – impara l’equilibrio e il dosaggio delle forze.

Riuscirà Jackie a battere gli uomini di legno?

Tutte queste prove porteranno ad un esame finale in cui l’allievo dovrà dimostrare d’essere degno di poter lasciare il tempio. Per uscire infatti dovrà attraversare un lungo corridoio pieno di “uomini di legno”, azionati da monaci, che si comportano come combattenti veri: mi piace pensare che gli autori del videogioco Tekken si siano ispirati a questo film, al momento di creare l’uomo di legno animato Mokujin.

Una citazione da Jackie contro Jackie in persona! (da “Tekken 3”)

Lo Wei è il regista ufficiale della pellicola ma nei fatti non si fa neanche vedere sul set, così che i giovani talenti possano lavorare indisturbati. Durante la serissima esecuzione dei combattimenti in stile tradizionale – come vuole Lo Wei ma che nessuno in città vuole vedere – ogni tanto Jackie comincia ad improvvisare, per esempio lo stile Shaolin del serpente lo comincia a fare in modo tale che la mano mimi la bocca aperta del serpente, idea che reputa più intrigante a livello visivo.

Facce buffe e maestri ubriachi: spunti da tenere da conto per il futuro

Con Chen inizia a provare scene che prendono il combattimento classico da cinema e ci aggiungono acrobazie circensi ma anche situazioni divertenti, che a Chen piacciono e le vuole mettere nel film, stando sempre attenti a non esagerare: in fondo questo non è il suo film, malgrado lo stia girando lui. Ricorda Jackie nella sua autobiografia:

«In un certo modo, Shaolin Wooden Men è stato il mio primo “sogno realizzato”, il primo film che ho fatto così come sentivo dovesse essere fatto. Non stavamo semplicemente creando un prodotto, stavamo facendo un’esperienza e cercando di immaginare cosa sarebbe piaciuto vedere al nostro pubblico. Abbiamo fatto molti errori, ma abbiamo imparato dai nostri errori e abbiamo cercato di correggerci. Lo Wei invece aveva fatto così tanti film che si rifiutava di cambiare il suo stile, e i suoi titoli seguivano una formula fissa, che aveva funzionato nel passato.»

Uscito nel novembre 1976 nei cinema di Hong Kong, purtroppo Shaolin Wooden Men va male al botteghino – anche se un pizzico meglio di New Fist of Fury – e solamente in seguito sarà “ripescato”, cioè solo dopo il grande successo di Jackie. Ciò che conta del film è che è un’ottima palestra di idee per quello che sarà lo stile tipico del nostro eroe, ma soprattutto che produttori e registi hanno visto su schermo le capacità di un giovante attore che fino a quel momento si credeva fosse un semplice cascatore: Jackie Chan si è appena fatto notare nel “giro che conta”.

Non è facile per Jackie uscire da questo corridoio

Lo stesso continua a lavorare per i filmucoli senza futuro di Lo Wei. Con lui va in Corea a girare The Killer Meteors (agosto 1976), dove la star ormai appannata Jimmy Wang Yu continua a perdere un braccio così da poter lottare con l’altro: a quanto pare, ci racconta Jackie, tutti i film girati “con due braccia” erano insuccessi tali che il povero attore doveva per forza perdere un arto in ogni storia. Durante la lavorazione Lo Wei si perde per strada la trama e inizi a dare indicazioni folli a Jackie su che espressioni assumere, che nel film finito non avranno senso. «Però, devo dire, il combattimento finale che ho diretto mentre Lo Wei dormiva è uscito fuori molto bene».

Jackie cerca di convincere il produttore Willie Chan – con cui si può parlare, al contrario di Lo Wei che strilla e basta – che i ruoli da eroe cupo e vendicatore non fanno per lui, come il pubblico sembra confermare non vedendo quei titoli in sala: possibile non ci sia un ruolo più brillante? Arriva con Snake and Crane Arts of Shaolin, in cui il nostro interpreta un guerriero errante che si prende diverse libertà sui combattimenti classici, mostrando in divenire tutti i suoi punti forti. Ma Lo Wei è lì a bloccare tutto, perché è l’unico uomo al mondo convinto di essere stato lui a “creare” Bruce Lee, e vuole creare anche Jackie Chan, basta fargli fare gli stessi film che faceva Lee. Questo comportamento non può che portare alla rovina. Infatti Snake and Crane Arts of Shaolin finisce nello sgabuzzino della casa produttrice e sarà scoperto solo nel 1978.

I due anni promessi al padre sono quasi passati e Jackie trema, perché i filmetti in cui è apparso sono prodotti infimi di nessun successo, e quel che peggio il suo nome nell’ambiente inizia ad essere sinonimo di “flop al botteghino”, cioè la condanna per un attore. Una sera, complice l’alcol, confessa tutti i suoi timori a Willie Chan, e questi lo stupisce con una frase: «Non preoccuparti, ragazzo: zio Willie sistemerà tutto». Jackie non saprà mai cos’abbia detto Willie Chan a Lo Wei, sa solo che il giorno dopo inizia a girare con l’amico Chen la sua prima kung fu comedy.


Mezz’etto di kung fu

Half a Loaf of Kung Fu – che mi piace tradurre con “mezz’etto di kung fu” per sottolinearne l’aspetto comico – per Jackie Chan è l’occasione di dimostrare a Lo Wei in particolare e al cinema in generale che il kung fu non è morto: semplicemente è ora che racconti storie diverse. I cinema di Hong Kong sciabordano di eroi dalla faccia ingrugnita che si lanciano su una dolorosa e cupa strada di vendetta, è un genere non solo inflazionato ma ormai evitato dal grande pubblico, stufo di qualcosa che ricorda il compianto Bruce Lee ma in peggio. È l’occasione per Jackie di dimostrare che ci sono altre soluzioni possibili. Visto che nessuno vuole più il kung fu e tutti vogliono le commedie… perché non fondere i due generi?

In realtà il genere kung fu era già “contaminato” dalla commedia, anche all’interno del più cupo film di vendetta c’erano di solito siparietti simpatici, con caratteristi buffi che sbagliavano tecniche e situazioni umoristiche varie, pur se il tono del film rimaneva serio e drammatico. Non va dimenticato che già si era provato a fare un film di kung fu comico, con The Spiritual Boxer (28 novembre 1975), ma siamo molto lontani dallo stile istrionico di Jackie e dal suo gusto umoristico. L’attore vuole cogliere questa occasione per andarci giù pesante, per creare un film di rottura che faccia esplodere ad Hong Kong qualcosa che nessuno ha visto mai.

Il celebre kung fu dell’addormentato!

Half a Loaf of Kung Fu è un film che prende ogni più piccolo canone del cinema di kung fu e lo sfotte come si farebbe tra amici al bar: ogni tema, ogni luogo comune, ogni tipologia di personaggio, tutto viene infilato in una storia pressoché inesistente e preso in giro. È un enorme one man show in cui Jackie passa da una scena all’altra solo per prendersi gioco dei più seri e sacri canoni del kung fu. Uno dei quali è quello per cui ogni pellicola vede nei titoli di testa i protagonisti eseguire tecniche spettacolari: e se invece nei titoli di testa Jackie sbagliasse tutto? Di più, se si mostrasse nelle vesti di Zatôichi, lo spadaccino cieco, che sbaglia ogni colpo? Chissà se Takeshi Kitano aveva in mente questo film, quando nel 1994 decise di creare un’opera comica completamente identica a questa, Getting Any?, che prendesse in giro tutti i canoni serissimi del cinema giapponese, e che mostrasse il protagonista nei panni di Zatôichi combinare gli stessi casini mostrati da Jackie vent’anni prima.

Un incredibile Jackie Chan nei panni di Zatôichi!!!

Jackie e Chen si divertono a dissacrare ogni immagine sacra del cinema, con un eroe che non è un eroe, che ama dormire e mangiare, che non vuole combattere e fa le facce buffe, ma che sogna di battere tutti mangiando spinaci con tanto di musichetta di Braccio di Ferro – usata probabilmente senza permesso! – e che davanti alle donne si comporta come un liceale invece che come un nobile principe del wuxiapian.

Jackie Chan due anni prima di diventare Jackie Chan

Finita questa minuziosa distruzione dissacrante, attore e regista portano la pellicola da visionare a Lo Wei, perché come proprietario della casa produttrice ha l’ultima parola su ogni prodotto: pare che il regista, noto per detestare qualsiasi tipo di volgarità, ne abbia fatta uscire parecchia dalla bocca! Stando a Willie Chan, che ha visionato il film con lui, il commento finale di Lo Wei su Half a Loaf of Kung Fu è stato: «Buttate questa spazzatura in cantina».

«E così il nostro film finì su uno scaffale dello sgabuzzino dell’ufficio, visto da nessuno se non da noi, Lo Wei e Willie Chan. Almeno fino al 1980.»

Gli sgabuzzini degli uffici di Lo Wei sono pieni di film di Jackie che nessuno ha mai visto, e che dal 1978 in poi saranno tutti ripescati e distribuiti nel mondo (tranne nella nuclearizzata Italia), per guadagnare alle spalle dell’attore. Perché nel 1976 non si può mostrare qualcosa che nel 1978 il pubblico fa a botte per vedere? Perché nel momento più buio per Jackie, qualcuno sta lavorando nell’ombra… e l’Ombra sta per arrivare.

(continua)


L.

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17 risposte a Jackie Chan Story 5. Mezz’etto di kung fu!

  1. Zio Portillo ha detto:

    I geni sono quasi sempre incompresi. E se sono geni di rottura che spezzano lo “status quo” mischiando carte e regole, prima di affermarsi devono prendersi parecchie tranvate. Poi col senno di poi è facile ragionare ma voglio fare l’avvocato del diavolo e “difendere” Lo Wei: dal suo scranno è dura cambiare quelle regole che in un modo o nell’altro ti hanno messo su quel piedistallo. Che poi sia stato cieco, testardo, ottuso,… E tutto quello che vuoi è innegabile. Ma a Hong Kong a metà degli anni ’70 non credo sia così facile “aprire” il cervello a nuove idee.

    Fortuna che al botto di Jackie manca poco…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      I segnali però erano tanti, anche se non avesse mai conosciuto Jackie comunque Lo Wei si è dimostrato molto poco attento alle tendenze: quando il pubblico lascia deserte le sale coi tuoi film e i distributori cominciano a non comprarteli più, diciamo che è un segnale abbastanza evidente che il prodotto non interessa più. La Shaw Bros poteva permettersi di continuare a sfornare film marziali, sia perché la loro qualità era altissima, sia perché vendevano tantissimo all’estero (a volte addirittura alla nuclearizzata Italia!) sia perché era una casa grande e ricca: la casa pezzente di Lo Wei (lui era ricco ma non spendeva un soldo) non poteva competere già con i film normali, figurarsi quelli marziali.
      Che tutti cerchino di difendere lo status quo è normale ma non fra i venditori, che invece devono capire subito dove va il vento e cambiare il prodotto, o almeno provarci.

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  2. Cassidy ha detto:

    Signora ho fatto mezz’etto di kung fu, che faccio lascio? 😉 Se davvero questa fosse l’origine del mio personaggio preferito di Tekken sarebbe fantastico! 😉 Dalla descrizione sembrava uno di quei film folli di Takeshi Kitano, solo con vent’anni d’anticipo, con tanto di parodia di Zatôichi. Purtroppo non ho visto nessuno di questi due film, ma mi è venuta voglia di recuperarli mentre aspettiamo l’arrivo dell’ombra, che promette molto ma molto bene 😉 Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Mokujin è troppo identico a uno dei Wooden Men del film, e visto che Tekken (parlo fino al 3, poi non so) è strapieno di rimandi al cinema marziale, con Jackie anche in divisa da Police Story, trovo difficile che sia una coincidenza. Anche perché tutti questi film all’epoca finiti in cantina dal 1978 in poi sono stati tutti recuperati in home video e fatti girare in lingua inglese in ogni angolo del mondo (tranne l’Italia) quindi stiamo parlando di film noti a chiunque ami il cinema marziale (tranne in Italia!)
      Jackie nei panni di Zatôichi mi ha sdraiato: sia per la simpatia della scena parodistica sia perché mai avrei pensato ad un cinese che dia tanta importanza a un personaggio caro ai giapponesi! 😛

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      • Willy l'Orbo ha detto:

        Anche io non penso ad una coincidenza e anche io NON VOGLIO sia una coincidenza, essendo uno dei personaggi preferiti di Tekken pure per il sottoscritto.
        Certo che già questo ciclo di post è interessante nelle sue “peculiarità principali”, se poi ci aggiungiamo queste chicchine/suggestioni/supposizioni… 🙂 🙂 🙂

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Neanch’io mi sarei aspettato di scoprire tante chicche grazie a Jackie, per di più ne sto approfittando per gustarmi questi suoi inizi carriera che finora mi ero perso per strada. Sapendo cosa diventerà Jackie, sono film molto più gustosi nella loro rozzezza.

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  3. Il Moro ha detto:

    Grande Jackie, da cascatore generico è già riuscito ad arrivare a girare diversi film da protagonista (film di merda, ma sempre da protagonista, la maggior parte dei suoi compagni di scuola in quel momento erano probabilmente a chiedere l’elemosina) e inizia a imporre il suo stile. Sto iniziando a odiare Lo Wei come se lo conoscessi! 😁

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Quasi tutti i film di Lo Wei sono inediti in Italia, quindi non abbiamo molta concezione del suo stile, ma visto che nessuno li andava a vedere e i distributori non volevano comprarli non ci siamo persi gran che 😛

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      • Giuseppe ha detto:

        Ma forse è meglio così: con l’italica mania indiscriminata di rivalutare a destra e a manca film che non si vedono e generi che non si conoscono, rischiavamo di diventare l’unico paese al mondo capace di farlo diventare un regista di culto! 😛 E Jackie (il cui procedere nella dura gavetta si fa sempre più sfaccettato e interessante) non avrebbe certo meritato anche questo affronto…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        L’esplosione marziale degli anni Settanta in Italia è ancora del tutto ignota e non studiata, magari in mezzo all’oceano di titoli arrivati da noi ci sarà pure qualcosa di Lo Wei ma è impossibile stabilirlo, visto che gran parte di quelle pellicole tradotte in italiano sono perse per sempre e ci rimangono solo titoli e attori del tutto inventati dai distributori. Magari qualche Lo Wei DOC sarà pure arrivato in Italia, ma davvero nessuno se ne è accorto all’epoca ed è impossibile stabilirlo oggi.

        Pensa che tra i 110 film marziali usciti in Italia tra il 1973 e il 1983 di cui ho trovato notizia sicura, solo circa metà è riconoscibile: c’è una cinquantina di film che potrebbero essere qualsiasi cosa, magari c’è pure Jackie in mezzo e non lo sapremo mai, perché i nomi di registi e attori sono inventati a caso dagli italiani e i titoli sono roba tipo “Tayang il terrore della Cina” o “Il cinese dal braccio di ferro” (titoli veri!) La maggior parte di questi film è scomparsa per sempre, mai distribuita in home video o in TV, quindi è impossibile stabilire con certezza cosa sia uscito in Italia e cosa no.
        Anni fa tramite Evit c’è stata la possibilità di comprare la pellicola di “Mani che stritolano”, film introvabile in italiano, ma alla fine non se ne è fatto nulla…

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      • Giuseppe ha detto:

        Peccato per “Mani che stritolano”, una rara occasione sfumata 😦
        Riguardo ai titoli circolati in Italia in quel decennio ricordo perfettamente quanto ne pullulassero i cinema di zona (in special modo fra metà e fine anni ’70), con tanto di fantasiose e raramente attendibili locandine: possibilissimo che abbia visto anche qualcosa di Lo Wei (e del Jackie ante-litteram) senza saperlo, a questo punto…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Se non fosse per le locandine apparse sui giornali, non avremmo traccia di quel periodo di esplosiva distribuzione di proporzioni epiche, in cui distributori senza scrupoli ravanavano nelle cantine oscure delle più minuscole casupole asiatiche per potare in Italia solo il peggio del peggio e spacciarlo per film di Bruce Lee. Shaw Bros costava, infatti forse solo l’1% dei film di Hong Kong usciti in Italia aveva quella provenienza, per lo più era spazzatura di casupole economiche. Lo Wei era spazzatura economica, quindi non stupirebbe un giorno scoprire che è arrivato da noi più di quanto si pensi, ma ormai è impossibile stabilirlo a meno di non avere le pellicole originali italiane, visto che solo una minuscola quantità di quei film è sopravvissuta grazie all’home video.

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  5. Kukuviza ha detto:

    Mitico Jackie che sa qual è il valore della risata.
    Comunque Lo Wei (ma è ancora vivo?) mi fa veramente ridere. Dorme sul set, segue le corse di cani, tutti sono contenti quando non c’è (“Il capo è fuori! Facciamo quel che ci pare, dai dai dai”).
    In effetti Mokujin sembra davvero quegli omini di legno.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Visto quanto Tekken si ispira all’opera di Jackie, penso proprio che Mokujin venga da quel film.
      Lo Wei è scomparso nel 1996, seguendo una curiosa maledizione di cui stranamente nessuno si è accorto: la maggior parte degli attori dei film di Lee sono morti nella metà degli anni Novanta! 😛

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