Uscire a caccia di Jim Cameron
e trovare Phil Dick
I lettori di riviste specialistiche come “Cinefantastique” sono gente informata e fan puntigliosi che non hanno paura di mettere in discussione i mostri sacri.
Per esempio nell’angolo della posta del Vol. 28, n. 2 (settembre 1996), un certo Ernie Hold di Port Orange (FL) scrive che ha notato come i film di James Cameron tendano ad avere elementi molto simili ad opere precedenti «e migliori».
Per esempio il recente Strange Days (1995), di cui Jim ha scritto solo il soggetto, secondo Hold riprende non solo l’ambientazione ma anche lo strumento per registrare memorie umane visto in Fino alla fine del mondo (1991) di Wim Wenders; The Abyss (1989) «scimmiotta» (apes) il romanzo Sfera (1987) di Michael Crichton fuso con Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) di Spielberg; True Lies (1994) imita James Bond («Perché Cameron non ha firmato per GoldenEye?»); dell’imminente Titanic (1997) non vale nemmeno la pena parlarne.
Hold è chiaramente un appassionato di narrativa fantastica che non si lascia accecare dall’innegabile talento di Cameron, e ha occhi per vedere quanto Jim sappia copiare dai migliori. Temo però che Cameron, non certo noto per il suo carattere mite, si sia fatto dare l’indirizzo di Hold dalla rivista e si sia presentato a casa sua con alcuni T-800 per risolvere la questione.
Oltre agli esempi citati, Hold non può certo tirare il freno a mano sugli esempi più discussi e accusati dell’universo cameroniano, quindi scrive:
«Terminator I & II sono stati tratti dal film La jetee (1962) di Chris Marker, che ha ispirato L’esercito delle 12 scimmie (1995), un film decisamente migliore (e Marker ha ricevuto un credito, per questo). L’intero conflitto futuro fra uomo e macchina è preso direttamente dai racconti di Philip K. Dick, in particolare Second Variety (ora diventato il film Screamers), Jon’s World 1, James P. Crow 2 e Autofac 3, tutti pubblicati fra il 1953 e il 1955.»
Non entrerò nel merito de La jetee, se non per dire che è un cortometraggio e non un film, e di sicuro Terminator ha un mare di fonti a cui si può far risalire – qualcuna l’ho anche affrontata – visto che di scontri fra uomo e macchina se ne parla da quando esiste la narrativa d’intrattenimento, quel che qui conta è che questa lettera molto ben documentata di Ernie Hold viene notata anche da un addetto ai lavori.
Qualche numero dopo, arrivati a gennaio del 1997, “Cinefantastique” (vol. 28, n. 7) pubblica una sorta di risposta-conferma a questa lettera, firmata da un certo Daniel Gilbertson di Santa Monica (CA), il quale afferma di aver letto con interesse quell’intervento di Hold e procede a rincarare la dose:
«[La ricostruzione di Hold] è particolarmente accurata: lo so perché nel 1979 ero responsabile dello sviluppo della sceneggiatura di Screamers dal racconto Second Variety di Dick: ho dato io a Cameron sia il racconto che la sceneggiatura che avevo scritto, e senza saperlo ho dato il via alla sua ascesa, fama e fortuna.»
Con ben poca modestia questo Gilbertson si professa autore inconsapevole del grande successo di James Cameron, come se bastasse leggere uno spunto di altri per diventare un regista come Jimmy, e poi in poche righe riassume il suo coinvolgimento in un progetto di vent’anni prima che poi è diventato tutt’altro.
Evidentemente qualche redattore della rivista deve aver sentito che questo Gilbertson aveva del buon materiale per le mani: perché invece di dargli qualche riga nell’angolo della posta non si provava a fargli raccontare per filo e per segno la storia di come provò a portare Second Variety al cinema?
La versione di Gilbertson
Passa un anno esatto da quel suo immodesto intervento nell’angolo della posta, e nel gennaio 1998 “Cinefantastique” (vol. 29, n. 9) offre a Daniel Gilbertson ben quattro pagine piene per raccontare tanto il suo progetto quanto il modo in cui Cameron gliel’avrebbe “fregato”.
Gilbertson racconta che per lui tutto è cominciato intorno al 1960, quando ha letto il racconto di Philip K. Dick Second Variety. Magari l’ha letto nella prima antologia dickiana a raccoglierlo, The Variable Man and other stories (Ace Books 1957; in Italia, “L’uomo variabile”, Fanucci 1979).
«Era un potente monito contro il nucleare basato, come scoprii tempo dopo, sui racconti bellici che Dick aveva sentito raccontare da suo padre, riguardo alla Prima guerra mondiale».
Un paio di decenni dopo Gilbertson è uno “sviluppatore di film” (movie development person) per la casa produttrice Capitol Pictures, perennemente alla ricerca di copioni e libri da portare su grande schermo: il recente successo dello Star Wars di Lucas lo spinge a cercare nel genere «technothriller» (così lo chiama).
Gilbertson si rivolge alla L.A. Science Fantasy Society e tramite essa raggiunge Doug Crepeau, consulente fantascientifico che gli propone Second Variety di Dick: Gilbertson scopre con sorpresa che era proprio il racconto che aveva letto da ragazzo e così tanto lo aveva colpito. È chiaramente un segno del destino. Scritta una sinossi di 19 pagine per il relativo film, la Capitol Pictures ne è entusiasta, soprattutto perché Gilbertson regala un finale più “aperto” alla vicenda. Il film si dovrà intitolare “C*L*A*W” (che lo sceneggiatore immagina essere la sigla di Cybernetic Learning Anti-personnel Weapon), in onore ai piccoli robot assassini che Dick chiama claws (in italiano, “artigli”.)
La casa spinge Gilbertson a registrare la sua sceneggiatore alla WGA (il famigerato sindacato degli autori) e ad acquisire i diritti del racconto per preparare il film. Lui va fino a Santa Ana per incontrare Philip K. Dick, che vive in un umile appartamento in uno stabile che sta diventando un condominio, e l’unica preoccupazione dello scrittore è trovare soldi per rilevare il proprio appartamento e non essere sfrattato: la Capitol compra i diritti e i problemi dello scrittore sono risolti.
Al momento di trovare uno sceneggiatore per il film, Gilbertson non ha dubbi. «Non c’era candidato migliore di Dan O’Bannon», tanto per partire subito con il piede sbagliato. Raggiunto il suo appartamento a Rancho Park, appena sentito nominare Dick lo scrittore tira fuori il suo copione di Total Recall, a cui sta lavorando da tempo: sembra una coincidenza degna di un romanzo dickiano.
La Capitol però chiede a Gilbertson di continuare a cercare uno sceneggiatore, possibilmente uno senza agente così da pagarlo poco. Fra quelli vagliati, c’è il giovane James Cameron. Chiacchierando con lui sulla realizzazione del film, Gilbertson lancia il suo vaticinio: «Chi dirigerà questo film sarà pronto per dirigere anche il seguito di Alien». Purtroppo gli spunti dati da Cameron non piacciono alla casa, quindi non se ne fa niente: nel 1980 la Capitol Pictures ingaggia O’Bannon. Mollare Jim per Dan spiega bene perché questa casa sia fallita già prima ancora di nascere: è chiaro che sappia compiere solo passi falsi.
Sin da subito la casa comincia a litigare con Dan, poi a maggio di quel 1980 lo scrittore finisce in ospedale – purtroppo un’abitudine per lui, visti i problemi intestinali di cui soffrirà per tutta la vita – e i tempi si allungano, rendendo tesi i rapporti fra la Capitol e O’Bannon, tanto che la casa minaccia di fare causa allo scrittore e licenziare Gilbertson.
Quest’ultimo corre ai ripari, chiama il già citato consulente Crepeau e con lui si mette seduto a scrivere la sceneggiatura del film al posto di O’Bannon, e a detta di Gilbertson il risultato è piaciuto non solo alla Capitol ma addirittura a Dick stesso. «Meglio del mio racconto» sarebbe stato il suo commento entusiasta. La Capitol promuove la sceneggiatura di Gilbertson e cestina ogni contributo di O’Bannon, ma per motivi legali devono lasciare il nome di quest’ultimo.
Gilbertson contatta il celebre artista svizzero H.R. Giger, appena esploso a Hollywood grazie ad Alien (1979), il quale accetta di disegnare le macchine mortali, la Capitol è al settimo Cielo e durante la festa di Natale del 1980 organizzata dalla casa Phil Dick confessa a Gilbertson che non gli piacciono le modifiche che Ridley Scott sta facendo al suo Do Android…?, ed è contento che invece lui stia mantenendo intatto lo spirito del suo Second Variety. «È stato il miglior regalo di Natale che avesse potuto farmi», ricorda Gilbertson giustamente orgoglioso.
All’inizio del 1981 la Capitol è contentissima di ricevere un’offerta di compartecipazione dalla Hemdale, nella persona del suo proprietario John Daly: l’uomo che la rivista “The Hollywood Reporter” del 4 giugno 1992 definirà uno squalo dell’industria, per cui fare affari con lui significava suicidarsi. All’epoca però c’è ancora il mito del grande produttore, quella figura che poi con la fine degli anni Novanta lascerà cadaveri dietro di sé, così la Capitol comincia ad ottenere offerte da tante grandi case, molto più serie della Hemdale.
Si comincia a dire che CLAW sarà un film che incasserà 80 milioni di dollari, e la Capitol si lascia auto-suggestionare da queste panzane: di sicuro a firmare questo “kolossal” serve un nome di spicco, com’è quello di O’Bannon, mentre un signor nessuno come Gilbertson deve sparire del tutto. La casa propone allo scrittore una sorta di “buona uscita” per scomparire dal titoli di testa, al che Gilbertson fa notare che solo la WGA può decidere cosa scrivere nei crediti: nel dicembre del 1981 il Natale precedente è dimenticato, e Gilbertson una mattina scopre che la sua chiave non entra più nella porta del suo ufficio. La Capitolo l’ha licenziato a Natale, come una commedia hollywoodiana!
Ricorso ad un arbitrato (che come sappiamo è un suicidio professionale), Gilbertson e il suo collega Doug vengono riconosciuti gli unici autori del film “CLAW”, altro che O’Bannon, quindi vengono pagati quanto meritano… e gabbati. Sono fuori dal progetto, e dopo varie riscritture il film viene comprato da Charles Fries che se lo farà per conto suo. Ciao, Daniel, mandaci una cartolina dal futuro post-bellico di Dick.
Quando nel 1984 Gilbertson va al cinema Orion a vedere The Terminator si rende conto che James Cameron si era letto bene il copione di CLAW che lui gli aveva passato, e con Terminator 2 (1991) ha ribadito la sua ottima conoscenza di quel copione. Foss’anche vero, va specificato che quel copione di Gilbertson all’epoca non solo è inedito e sconosciuto, ma si basa su un lavoro di Dick che già ha molte rassomiglianze con il futuro post-apocalittico creato da Cameron. Insomma, se Gilberson si sente copiato da Terminator… si mettesse in fila.
Note
1. Jon’s World, apparso nell’antologia “Time to Come. Science-Fiction Stories of Tomorrow” a cura di August Derleth nell’aprile 1954. Arriva in Italia nell’antologia “Millemondiestate 1986” (Mondadori) con il titolo Il mondo di Jon e la traduzione di Piero Anselmi. Di nuovo Vittorio Curtoni lo ritraduce per l’antologia “Le presenze invisibili. Volume 2” (Mondadori 1995) ed è la traduzione più usata, anche da Fanucci per “Tutti i racconti 1954” (2008).
Il Progetto Orologio prevede che due uomini – uno della Lega, e uno all’AISR (Associazione Industrie Sintetiche Riunite) – tornino indietro nel passato, quando il mondo non era un cumulo di macerie per colpa della guerra. Quella che guerra che prima si era svolta fra umani (americani contro russi) poi contro le armi che i primi avevano creato per spazzare via i secondi: gli Artigli (claws), esseri robotici autoreplicanti che avevano preso coscienza e avevano dichiarato guerra all’intera umanità, che dovette andare a ripararsi sulla Luna (cioè lo spunto del racconto Second Variety). Ora che è tornata sulla Terra distrutta, la civiltà umana ha costruito una macchina del tempo per tornare fra il 2030 e il 2037 in cui il dottor Schonerman ha creato il cervello artificiale poi usato per gli Artigli.
Entrati nel continuum temporale e raggiunto il dottor Schonerman i due uomini dopo varie peripezie riescono a ucciderlo e a portar via le sue carte, che avrebbero portato alla nascita degli Artigli. Così facendo però cambiano il futuro e quindi si troveranno di fronte ad un dilemma morale: si può accettare di perdere tutto – famiglia, amici, il lavoro di una vita – pur di assicurare un futuro migliore all’umanità?
Impossibile non scorgere nel racconto un’eco di A Sound of Thunder di Ray Bradbury, apparso solo due anni prima su “Collier’s Magazine”, con l’idea di personaggi che modificando il passato stravolgono il presente da cui erano partiti. ^
2. James P. Crow, apparso sulla rivista “Planet Stories” nel maggio 1954. In Italia appare nel 1995 all’interno dell’antologia “I racconti inediti. Volume 1” (Fanucci), tradotto da Maurizio Nati, mentre tradotto da Vittorio Curtoni appare lo stesso anno su “Le presenze invisibili. Volume 2” (Mondadori): questa di Curtoni è la traduzione più in voga, visto che è usata dalla Fanuci stessa per la serie antologica “Tutti i racconti. 1954” (2008).
Presentazione del racconto da “Planet Stories”: «Era un mondo di robot, gestito da mucchi senz’anima di metallo altezzoso. Ma tra i miseri gruppi di umani, ce n’era uno che aspirava alla grandezza, uno che mirava ad uscire dalla sottomissione. Era il ragazzo della Finestra del Tempo… era… James P. Crow.»
«I robot governavano la Terra. Era sempre stato così. Lo dicevano i nastri storici». Il racconto è ambientato in un futuro in cui la razza umana offre servitù ai padroni del mondo, i robot («Tipi D ed E. Uguali agli umani»), e mancando qualsiasi registrazione storica tutti danno per scontato che la razza umana è stata creata dai robot nel corso di esperimenti per nuove armi: dopo che gli umani avevano distrutto il mondo, i robot avevano rimesso in piedi la società convertendo le “armi umane” in più utili «cittadini di seconda classe al loro servizio».
Fra gli umani gira la leggenda di uno di loro, James P. Crow, che avrebbe superato gli esami di intelligenza con cui i robot bloccano ogni ascesa sociale umana e sarebbe arrivato al grado più alto, riuscendo ad entrare nel Consiglio mondiale. Nessuno sa che Crow ci è riuscito perché ha un apparecchio che gli permette di leggere il passato, così da spiare le domande degli esami ma anche di tornare indietro di quattrocento anni, registrando su nastro un evento sconvolgente. Alla sua prima riunione con i robot che comandano il mondo, Crow mostra quel filmato… in cui ci sono degli umani che costruiscono i robot. Sono quest’ultimi ultimi ad essere i loro servitori, e non il contrario come tutti pensano. L’ultima scena del nastro di Crow mostra «robot che combattevano contro gli uomini. Robot che alla fine uscivano vincitori». Erano loro le armi impazzite, non gli umani.
La proposta di Crow è che i robot se ne vadano dalla Terra e si stabiliscano sulle colonie spaziali, e lui non rivelerà al mondo quella verità esplosiva. Chiede solo che gli umani abbiano la possibilità di governarsi da soli: ma ne saranno in grado? ^
3. Autofac, apparso sulla rivista “Galaxy Science Fiction” nel novembre 1955. In Italia arriva già nel 1959 tra le pagine di “Galaxy” (Anno II-N. 1) per poi riapparire, tradotto da Hilja Brinis, nell’antologia mondadoriana “L’ombra del 2000” (1965). Ristampato più volte, la traduzione corrente è quella di Maurizio Nati, presenta anche in “Tutti i racconti 1955-1963” (Fanucci 2009).
Racconto che ho trovato indigesto e oltremodo confuso, tanto da non essere riuscito fino alla fine a capire la trama né lo sviluppo. Mi sembra di capire parli del solito futuro post-apocalittico in cui una fabbrica automatizzata (auto-fac) continua il suo funzionamento al di là del fatto che questo possa aiutare i superstiti umani. Dalle macerie di un racconto che ho trovato incomprensibile, mi sembra di scorgere l’ombra di Skynet, cioè un sistema industriale che diventa sempre più connesso. ^
(Continua)
L.
– Ultimi post su Philip K. Dick:
- I sogni elettrici di Dick 5 (guest post)
- I sogni elettrici di Dick 4 (guest post)
- I sogni elettrici di Dick 3 (guest post)
- I sogni elettrici di Dick 2 (guest post)
- Screamers 2 (2009) L’evoluzione
- Screamers (1995) Urla dallo spazio
- Screamers 4. La versione di Duguay e Weller
- Screamers 3. La versione di O’Bannon
- Screamers 2. La versione di Gilbertson
- Screamers 1. Second Variety
– Ultimi saggi:
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (10)
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (9)
- Tradurre Parigi: storia di una citazione negata
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (7)
- Skin (2020) La storia del nudo nei film
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (6)
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (5)
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (4)
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (3)
- Star Trek: la “vita fittizia” di Ro Laren (2)
Molyo interessante la storia di Gilbertson, anche se mi sembra ricostruita un po’ in modo fiabesco (addirittura la previsione sulla persona che avrebbe potuto dirigere il seguito di Alien!). In ogni caso, se tutti quelli che hanno letto Second Variety fossero in grado di sfornare film come Jim Cameron, ci sarebbero migliaia e migliaia di ottimi registi a Hollywood! Hai ragione quando dici che non basta leggere le cose giuste per diventare un grande regista…
Comunque O’Bannon è ufficialmente la persona più citata su Il Zinefilo o sbaglio? Ce lo ritroviamo sempre tra i piedi in un modo o nell’altro! :–D
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E’ verissimo, senza volerlo mi ritrovo a seguire continuamente la carriera di Dan, ma è anche vero che ha infilato mezzo dito ovunque, quindi è davvero difficile non ritrovarselo continuamente davanti 😛
L’elenco delle opere da cui Terminator potrebbe aver attinto è sterminato, anche se Jim si fosse messo lì con l’intento di copiare il copiabile gli sarebbero servite due vite per ricopiare le centinaia di fonti che parlano del suo stesso identico argomento. Molto più probabile invece che abbia usato un canone per dire qualcosa di nuovo, esattamente come fanno tutti gli autori, anche quelli che poi si lamentano degli scopiazzi degli altri 😛
P.S.
Ho commentato sul tuo blog ma ovviamente sono finito in spam.
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Mezzo dito dappertutto, e a detta sua era un genio inarrivabile! :–)
Concordo su The Terminator e Jim Cameron (ai tempi d’oro)!
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In tanti hanno provato a saltare sul carro di Jimmy il vincitore, certo che se preferisci Dan O’Bannon a Cameron nel suo momento di creatività migliore, beh un po’ te la vai a cercare eh? 😉 Cheers
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La Capitol Pictures dà prova di essere specializzata in passi falsi: se una cosa sembra giusta da fare, la evita accuratamente 😀
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Nomen Omen: essendo Capitol (Pictures) non potevano che capitolare, alla fine 😀
E Gilbertson avrebbe fatto bene a ricordarsi del famoso proverbio “Chi si loda s’imbroda”, vista la sua modestia nell’attribuirsi paternità illustri (a suo dire, avere praticamente tenuto Cameron a battesimo) e l’eccessiva fiducia nella capacità di scegliersi gli sceneggiatori giusti (sarcasmo), tipo Dan O’Bannon (appunto, visto che Jim era stato trattato come seconda scelta, per di più poi scartata dalla poco lungimirante Capitol)… per poi venire definitivamente mazziato dalla casa di produzione, avvalendosi per di più della brillante idea di ricorrere all’arbitrato. Finendo per vedersi fregare (sempre a suo dire) quelle idee “originali”… niente da dire, una carriera davvero fulminante la sua.
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Sicuramente l’idea di ricorrere alla WGA gliel’ha data Dan, così il povero Gilbertson ha condiviso la carriera fottuta con lo sceneggiatore. Non so se il suo copione sarà stato davvero fuoco e fiamme, addirittura migliore del racconto originale, ma questo Gilbertson non mi sembra tagliato per la carriera cinematografica 😛
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La fantascientifica carriera di Gilbertson: da stella nascente a stella al neutrone (e senza passaggi intermedi) 😛
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Però è l’uomo che ha lanciato la carriera di James Cameron! 😀
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Hai ragione! E io che me n’ero già dimenticato 😀
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Ci sarebbe pure il racconto “I difensori della Terra” dove l’umanità vive confinata nel sottosuolo; dalla superficie radioattiva arrivano i rapporti delle macchine riguardo il conflitto in corso, finché non si scopre che non esiste (più) nessun conflitto, la superficie non è contaminata e le macchine (chiamate “plumbei”) stanno mentendo agli umani per i loro scopi. Oppure “Il cannone”… È come dice l’amico Sam Simon: gli scritti di Dick formano un quadro d’insieme, un unico grande universo futuro, che per fortuna non è ancora arrivato.
Quello che scrivi Lucius mi conferma che “non è la storia, ma chi la racconta”: andando a guardare da vicino, tante storie si somigliano (per non dire che magari si somigliano un po’ tutte), è il modo di raccontarle che le fa sembrare originali e appassionanti. “Terminator” ha potuto essere “Terminator” solo perché ce l’ha raccontato Cameron nel modo in cui ce l’ha raccontato, non riuscire a vedere questo fa sembrare tutte queste speculazioni solo un riversamento di acidume e invidia sul film di J.C. da parte di tutti questi personaggioni.
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E’ indiscutibilmente così, non importa se una storia sia “nuova” (semmai esistano storie nuove) ciò che conta è raccontarla con uno stile che la faccia sembrare nuova, ma che soprattutto funzioni. Il fatto che lettori e spettatori così informati, una volta uscito Terminator non abbiano citato “Cyborg anno 2087” (1966), così come non abbiano citato i (noiosi) romanzi robotici di Ted White, tutti esempi che sembrano essere stati ricalcati da Cameron, significa che la storia era sì già stata raccontata ma non aveva lasciato segno: una volta che Cameron ha trovato lo stile giusto e la genialità che l’ha reso Cameron, anche se solo per pochi anni (malignità mia personale! ^_^) allora sì che la storia ha fatto il botto.
E’ pieno di film identici ma che non lasciano il segno, perché serve una certa alchimia, un certo stile, una certa genialità che non è la somma delle sue parti quel qualcosa in più che Jimmy aveva. Quindi avrebbe potuto ricopiare scena per scena un qualsiasi film e comunque sarebbe stato migliore.
Infine, continuo a non capire come riviste e critici possano non citare la camminata inarrestabile di Yul Brynner in Westworld come ovvia base su cui costruire l’idea di un Terminator inarrestabile, giusto per continuare a parlare di fonti ispiratrici 😛
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Ho paura che la tua malignità personale troverà conferma non appena ci sarà dato modo di vedere il nuovo “Avatar” con tutti i suoi quarantordici seguiti (anche se spero di essere smentita).
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Dubito di vivere fino al 3022, data prevista per l’uscita di “Avatar 2”, quindi per fortuna mi sarà evitata l’ennesima prova dell’umiliante fine ingloriosa di Jimmy, che negli anni Ottanta era un maestro di cinema 😛
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Un post in cui, in ossequio ad un interessante filo conduttore, sono citati Screamers, Terminator, Total Recall, Alien, Cameron, Dick…è il trionfo della fantascienza!
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