Continua il viaggio agli albori della carriera di Jackie Chan, mediante la sua corposa autobiografia I am Jackie Chan. My Life in Action (1998), eventualmente integrata con l’altra autobiografia Never Grow Up (2015). Sono entrambe inedite in Italia, quindi ogni estratto del testo riportato va intendersi tradotto da me.
Come si può passare da un film corposo ed ambizioso come Supercop ad una barzelletta che non fa ridere come City Hunter? Jackie è incolpevole, lui si rimette alla volontà della Golden Harvest e mi piace pensare che si sia gustata questa “vendetta”: gli hanno imposto dei registi per arginare la sua baldanza… ma che succede se il regista è più baldanzoso di lui?
Indice:
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- Il Cacciatore – (City Hunter)
- Crime Story
Il Cacciatore
Se all’inizio degli Ottanta la Golden Harvest ha fatto di tutto per aprire a Jackie il mercato statunitense (con risultati più che fallimentari), all’inizio dei Novanta vuole provarci con quello giapponese, il che è davvero strano: sin dall’inizio della sua carriera i film di Jackie hanno sempre ricevuto un’accoglienza entusiastica nel Paese del Sol Levante, stando a quanto racconta Jackie nell’autobiografia del 1998, e quando è trapelata la notizia che il nostro eroe era convolato a nozze si dice che una ragazza giapponese si sia tolta la vita. Siamo sicuri che Jackie avesse bisogno di conquistare un mercato che onestamente sembra già conquistato?
«Accettare il ruolo di un popolarissimo personaggio giapponese di fumetti e cartoni è stato un tentativo di avvicinamento al mio mercato giapponese», scrive Jackie nella sua biografia, lasciando intendere che sia stata sua l’idea di interpretare Ryu Saeba detto City Hunter, nato nel 1985 dai fumetti di Tsukasa Hôjô e dal 1987 protagonista di una fortunata serie animata: nel 1992 sia fumetti che serie sono giunti al termine in patria giapponese, stando a Wikipedia, quindi è facile immaginare che trarne un film sia sembrata una buona idea. Ma forse non lo sia stata.
«L’idea originale è partita dalla Golden Harvest», dice invece il regista Wong Jing in un’intervista dell’epoca, presente nel DVD italiano come contenuto speciale.
«Acquistarono i diritti e volevano Jackie Chan come attore. Io ero uno dei candidati registi che avevano in mente, così accettai il lavoro e cercai di creare un nuovo Jackie Chan. Prima di City Hunter Jackie nei suoi film era molto serio, non c’era affatto umorismo, e le attrici erano solo parte del set, avevano ruoli senz’anima, fungevano da cornice, ma in questo film ho cercato di dare un ruolo ben preciso alle attrici.»
«Il film va bene, ma non è uno dei miei preferiti: l’umorismo è troppo esagerato, nello stile tipico del regista», specifica Jackie: il più noto comico d’Asia che si lamenta di una comicità eccessiva… Qualcosa è andato davvero storto in questo film! «Non ho instaurato un rapporto speciale con Jackie», conferma Wong Jing nella citata intervista.
City Hunter esce ad Hong Kong il 16 gennaio 1993. A lungo inedito in Italia, la Dall’Angelo Pictures lo presenta in DVD dal 2012.
Protagonista, come detto, è Ryo Saeba: malgrado City Hunter sia un personaggio più che noto in Italia sin dagli anni Novanta, il doppiaggio italiano del 2012 pensa bene di chiamarlo “il Cacciatore”, così da aumentare l’imbarazzante contrasto. Perché mai un attore diversamente alto come Jackie sceglie di interpretare l’altissimo City Hunter dalle spalle chilometriche? Visto che risulta il più basso dell’intero cast, con indosso giacche grandi il doppio di lui che lo fanno sembrare un pagliaccio del Circo Togni, mi chiedo se questo ruolo non sia una pura cattiveria di Leonard Ho, imposta per vendicarsi dei tanti soldi persi da Jackie negli anni precedenti.
Ryo Saeba è uno sciupafemmine ma Jackie deve stare attento a non esagerare, quindi il suo personaggio è più interessato ai panini come Poldo di Braccio di Ferro che alle curve dell’esercito di attrici chiamato in scena. A garantire la nutrita sezione rosa del film c’è la giapponese Gotoh Kumiko, così ci teniamo buoni i nipponici, ma soprattutto la bomba sexy Chingmy Yau, vera star del film: è lei che, vestita alla Lara Croft, garantisce la vera quota marziale del film.
Nome importante del cinema di Hong Kong, il più che prolifico Wong Jing è esploso grazie all’enorme successo di God of Gamblers (1989) con Chow Yun-Fat mago delle carte, di cui sfornerà altri due seguiti, ma in realtà gira film di ogni genere, tutti accomunati da una componente umoristica importante che manda in tilt questo City Hunter. Quando Wong Jing gestisce un attore serissimo come Chow Yun-Fat e lo inserisce in una situazione umoristica, è il contrasto stesso a risultare divertente. Quando si trova a dirigere un attore comico come Stephen Chow, riesce ugualmente bene perché lui cerca sempre di fare il serio nelle situazioni umoristiche, quindi di nuovo c’è quel contrasto che funziona. Quando invece Wong Jing si ritrova davanti Jackie Chan, che non fa mai il serio ma anzi in ogni film si lancia in facce buffe, calarlo gongolante in situazioni gongolanti dove tutti gongolano… è un disastro.
A peggiorare la situazione, City Hunter cerca di ricreare quell’umorismo paradossale tipico del fumetto e della serie animata del personaggio, con l’assistente che cerca di “martellare” il protagonista, con gente che parla in camera, che fa boccacce ed espressioni esagerate tipiche da cartone animato giapponese, il che moltiplica per mille le facce buffe che già Jackie fa di base. Quindi per tutto il film non abbiamo che umorismo da cartone animato sempre a mille, senza un attimo di costruzione della storia: vediamo solo personaggi esagerati fare e dire cose esagerate con espressioni esagerate in faccia. Sembra incredibile che quattro mesi dopo questo film Wong Jing esca al cinema con l’ottimo Last Hero in China (1993), con protagonista il serissimo Jet Li in una storia marziale godibilissima. Il problema non è il regista né Jackie: il problema è l’unione dei due.
Riaggiustata la mascella slogata a forza di fare facce buffe, Jackie nel finale si prende il suo spazio per un po’ di sana azione alla vecchia maniera, dimenticando l’inutile trama e i personaggi imbarazzanti: Stop: it’s Jackie Time!
Togliamoci subito il dente: sì, il film è famoso perché Jackie e altri si travestono da personaggi del videogioco Street Fighter: mi tolgo di mezzo questa stupida scena così passiamo alle cose serie.
Ritrovatosi in un cinema, l’eroe deve vedersela con due energumeni neri alti come Kareem Abdul-Jabbar, come può uscirne?
Be’, magari lasciandosi consigliare da chi Kareem l’ha battuto: guarda caso, nel cinema stanno trasmettendo L’ultimo combattimento di Chen (1978).
Quindi, dopo vent’anni a spiegare al mondo che non combatte come Bruce Lee… Jackie decide che è il momento di combattere come Bruce Lee.
Finita la deliziosa citazione, si passa a cose ancora più serie, quelle cioè con la faccia di Gary Daniels e Richard Norton, due titani del cinema marziale.
Il londinese Gary Daniels nel 1992 è agli inizi della sua carriera nel cinema, ha appena dato l’addio al ring e sta muovendo i primi passi sull’onda che sta travolgendo le videoteche. Io ero lì, quella sera dei primi Novanta in cui Italia1 ha mandato in onda Impatto finale (1992), dove Lorenzo Lamas si diverte a prendere un giovane allievo e darlo in pasto ad un rude kickboxer biondo col codino, ed ero lì quando sempre Italia1 ha mandato Deadly Bet (1992), con il protagonista scommette su un kickboxer biondo col codino: faccio un sacco di previsioni sbagliate, ma quella per cui quel biondino sarebbe diventato uno gagliardo l’ho azzeccata.
Intervistato da Scott Adkins nell’ottobre 2020 per la trasmissione tubara “Art of Action“, Daniels racconta che quel 1992 ha ricevuto una telefonata da Hong Kong: gli andrebbe di fare un film con Jackie? A parte gli italiani, tutti nel mondo veneravano Jackie come il re del cinema marziale, anche perché all’epoca Hong Kong era la mecca di un genere che in America era appena all’alba. Daniels rivela che è stato difficile mostrarsi professionale senza professare il suo amore per Jackie.
«Non c’era programmazione, semplicemente si girava finché non ottenevano quello che volevano», ricorda l’attore delle riprese di City Hunter. «In quel film non c’era copione, perché ad Hong Kong se un film di Jackie avesse un copione qualcuno lo ruberebbe per farne un film simile»: qualunque attore occidentale lo conferma, ad Hong Kong si lavora a braccio. Quindi Daniels non ha idea di chi sia il suo personaggio, ma capisce subito che è «il classico cattivo stereotipato: il mio nome nel film è Muscles! Molto profondo.»
Daniels ci conferma che le scene di combattimento sono completamente opera di Jackie, sia nella coreografia che nelle riprese, e al contrario del sistema occidentale quello asiatico non solo risparmia pellicola e tempo ma ha qualità infinitamente più alta. Mentre in America una scena di lotta viene ripresa da più telecamere, e poi il regista in sala di montaggio sceglierà le inquadrature che gli piacciono di più – sprecando così tantissima pellicola – ad Hong Kong hanno già perfettamente in testa la scena e girano esclusivamente le parti che servono: il montaggio lo fanno già mentre girano, perché sanno cosa serve e non sprecano nulla.
L’altro pezzo da novanta del film, nonché “cattivo finale”, è il mitico Richard Norton, ex atleta e guardia del corpo dei divi portato al cinema da Chuck Norris con The Octagon (1980) ma che non può risplendere in un genere che ancora non esiste in Occidente. Dopo alcuni piccoli film d’azione è con Hong Kong che riesce a mostrarsi in tutta la sua bravura. Io ero lì, quando Italia1 mandò in esclusiva e per l’unica volta al mondo Bushido. Codice d’onore (1990), ed era chiaro che Norton era tanta roba marziale.
Intervistato da Scott Adkins, di City Hunter ricorda che «Era un prodotto dedicato credo ad un pubblico più giovane rispetto a quello solito di Jackie, era un film molto più comico ma anche più rischioso per lui». Il combattimento finale tra lui e Jackie ha richiesto sei settimane e mezzo di riprese, un tempo inconcepibile in Occidente, dove la media per le scene principali di combattimento ruota attorno ai tre giorni.
«C’è un momento in cui colpisco Jackie con dei bastoni. Non volevano da me delle tecniche marziali, volevano che fossi una sorta di “scienziato pazzo”: sin dall’inizio ho capito che le regole del gioco ad Hong Kong [per un attore occidentale] erano che dovevi fare la caricatura altrimenti non ti chiamavano. Tanto valeva divertirsi a farlo. Di sicuro è stata un’esperienza fenomenale.»
Il “metodo” di Norton funziona, infatti per questo film viene ingaggiato da quel Wong Jing che già l’aveva diretto in Magic Crystal (1986) e tornerà come cattivo di Jackie in Mr. Nice Guy (1997). Non è certo per questi ruoli che Norton merita di essere ricordato, ma è indubbio che l’esperienza ad Hong Kong gli ha dato la possibilità di risplendere in film marziali occidentali appena si è iniziato a produrne.
Crime Story
Forse per spurgarsi di tutto l’umorismo di grana grossa che Wong Jing gli ha iniettato, Jackie va a disintossicarsi dalla Paragon Films, che lo rende protagonista di una drammatica (e poco marziale) avventura poliziesca serissima firmata da Kirk Wong: Crime Story.
Il film esce ad Hong Kong il 24 giugno 1993 e rimane inedito in Italia finché la Dall’Angelo Pictures non lo presenta in DVD nel 2010.
Protagonista è l’ispettore Chan, ma stavolta è Eddie Chan, non Kevin come nella saga Police Story, alle prese con una sanguinosa banda dedita ai rapimenti.
Quello che Chan non sa è che tra i criminali che hanno stretto un patto di sangue c’è il detective Hung Ting-Bong (il paffuto caratterista Ken Cheng), quindi ogni sforzo della polizia sarà manomesso dall’interno.
Una volta iniziato a sospettare del collega, nasce fra Chan e Wong un gioco al massacro, fatto di trappole mortali e prove che spariscono, mentre il gioco psicologico logora i due tutori dell’ordine che ormai non riescono più a seguire quella legge che hanno giurato di far rispettare.
La storia è un noir cupissimo e drammatico, con tanto di poliziotto rinnegato ed eroe che riesce sempre meno ad agire seguendo la legalità. Non è un Jackie Chan Movie, malgrado un paio di scene con cadute e qualche veloce scazzottata, eppure in questo ruolo oltremodo drammatico il nostro Jackie non sfigura, forse perché ci crede davvero (quindi non scade nella macchietta), forse perché ben diretto o forse perché dopo tanta commedia aveva proprio bisogno di un drammone poliziottesco alla Mario Merola.
Da notare come il personaggio della prostituta Gaga (Christine Ng) introduca richiami sessuali espliciti sempre assenti nei film di Jackie: la scena in cui li corrotto Wong sfila le mutandine alla sua amante non è qualcosa che si vede spesso nella puritana cinematografia di Hong Kong, men che mai in un film con Jackie Chan, ma sta ad indicare la voglia di creare un noir “all’americana”. Il risultato non è memorabile ma si fa guardare con piacere.
(continua)
L.
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Di “City Hunter” ho sempre e solo apprezzato la scena omaggio a Bruce Lee, il resto è un film che oggi sfornerebbe meme tutti ispirati alle scenette sceme di “Street Fighter”. Mi getterò il prima possibile su “Crime Story” invece, non l’ho mai visto e sicuramente mi sembra un titolo più interessante del “Cinecomics” di Jackie. Cheers!
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I due film sono così abissalmente diversi, così fortemente agli antipodi, che c’è davvero da sospettare una voglia di Jackie di disintossicarsi dalle facce sceme che Wong Jing gli ha fatto fare per tutto “City Hunter”. Come risposta alla comicità più sguaiata e farsesca, è uscito fuori un noir durissimo e cupissimo: credo sia l’unico film dove Jackie non sorride MAI!
Certo, è un prodotto della Hong Kong dei primi Novanta, in quello stile reso celebre da John Woo e Tsui Hark, quindi ben lontano dai dettami del noir all’americana a cinepresa lenta, però è sicuramente un film anomalo di Jackie che merita una visione.
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Qualche scena un pò cretina in crime story mi sembra che ci fosse.. non ricordo se sorridesse ma ricordo che c’erano delle scene che stonavano con l’atmosfera.. Credo che forse in The Foreigner non ce n’è proprio traccia di scene “simpatiche”. A me piace Crime Story, anche se ritengo che il film sarebbe stato migliore se di scene di arti marziali e anche di stunt inverosimili non ce ne fosse stata traccia perchè perde credibilità.. Il fatto è che non vai a chiamare Jackie al top per non fargli fare neanche qualche sottospecie di scena marziale e qualche stunt. City Hunter l’ho visto una sola volta e ho fatto molta fatica a vederlo fino alla fine ed ero anche molto distratto. Le uniche scene che ricordo sono quella nel cinema e quella di Street Fighter , ma solo perchè sono assurde, sopratutto quella di Street Fighter.. Poi bò ricordo solo colori sparati facce esagerate e nopn so neanche che cosa facesse Jackie in quel film.
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Non ho notato alcuna scena cretina in “Crime Story”, anzi è piena di scene molto drammatiche che quindi non avrebbe trovato giustificazione nell’avere facce buffe. Certo, è sempre un film di Hong Kong, cinematografia nota per inserire sempre un pizzico di commedia anche nella tragedia più tragica: “The Foreigner” è un prodotto troppo diverso e “altro” per fare paragoni.
Jackie da tempo non faceva più arti marziali, solo stunt e giochi circensi, infatti le uniche brevi scene d’azione di “Crime Story” sono in questo senso, ma fatte in modo che non disturbano: non è un film americano, né un poliziottesco all’italiana (anche se in pratica ne ripercorre lo stile), è sempre un film di Hong Kong con Jackie Chan, quindi anzi è sorprendente come siano riusciti a rimanere seri fino alla fine. Sarà stato l’eccesso di risa del film precedente?
Ad essere maligno potrei dire che il crescente successo di Jet Li ha spinto Jackie a provare a fare anche lui un film serio – guarda caso con l’attore feticcio dei film di Jet dell’epoca – ma poi magari ha capito che non era il suo mondo.
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si beh niente di che.. Non chissà quali siparietti.. Però ricordo di aver storto un pò il naso per qualcosetta perchè la ritenevo inadatta al film. Stava dentro un ufficio.. Poi c’è la scena dove il panzone praticamente viene risucchiato dal pavimento nell’edificio in fiamme e quella non voleva essere comica ma l’ho trovata comica io!!! La cosa assurda del film è che è ispirata ad una storia vera, ma diciamo che ne hanno cambiato il finale visto che sarebbe finita male per l’imprenditore.. Non so la famiglia dell’imprenditore come l’avesse presa a vedere la loro storia iperspettacolarizzata e poi resa con un lieto fine che non c’è stato basta su un mezzo trafiletto di giornale bufalaro che lasciava spazio ad un finale diverso. Però lo trovo un bel film .
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Da ragazzino leggevo “City Hunter” (non credo però di aver mai visto il cartone… Guardavo “Occhi di Gatto” da piccolo che fa parte dello stesso universo narrativo: Hojoverse? Brrrrr… Mammamia…). Il film con Jackie nostro non credo di averlo mai visto ma dopo aver letto il capitolo che gli hai dedicato mi sa che continuo ad ignorarlo. Nonostante il duo di cattivissimi.
Il secondo film invece mi intriga di più. Vedere attori comici fare i drammi (e viceversa) mi ha sempre affascinato e fatto scoprire lati dell’attore che ignoravo. Questo me lo segno e vedo se in qualche modo riesco a recuperarlo.
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Non avendo mai frequentato i manga, City Hunter l’ho conosciuto prima per la serie animata, ma solo perché la vedeva la mia ragazza dell’epoca e mi è toccato sorbirmi diversi episodi. (Parliamo della seconda metà dei Novanta.) Scegliere Jackie per quel ruolo è stato il peggiore errore di casting della storia del cinema, è come chiamare Suor Germana a fare un film biografico su Cicciolina, ma ormai abbiamo capito che alla Golden Harvest ne sbagliano quante ne azzeccano.
“Crime Story” è un film assolutamente anomalo nella filmografia di Jackie, e sebbene di nuovo non sembri essere l’attore giusto però ci crede e si impegna, e riesce a recitare anche il classico ruolo poliziottesco che noi italiani conosciamo bene.
In seguito Jackie farà ancora ruoli molto drammatici, come vedremo.
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“Crime Story” credo che lo recupererò per primo, anche per via dei panni insoliti (sul versante serioso) vestiti da Jackie in quest’occasione… City Hunter invece mi sembra davvero ben poca cosa, nonostante Bruce Lee e camei di lusso come Daniels e Norton che comunque poco possono fare per salvare un film esclusivamente impegnato (sbagliando della grossa) ad essere ancora più cartoonesco dell’anime a cui fa riferimento.
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Non so se ricordi la versione televisiva italiana di “Kiss Me Licia”, con la giovane Cristina D’Avena e gli altri attori che davano vita al cartone animato: quello era un signor prodotto, perché non scimmiottava lo stile giapponese ma lo adattava al gusto italiano. Qui invece si cerca di ricreare con un film le movenze esagerate tipiche degli anime, scelta davvero discutibile.
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Esattamente l’errore che “Kiss Me Licia” evitava, appunto (tant’è che, in caso non si fosse stati a conoscenza dell’anime, lo si sarebbe tranquillamente potuto considerare un prodotto del tutto italiano)…
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Dove, al mondo, posso trovare un post in cui si parte da Jackie (pur in un ruolo non esattamente riuscito) e poi si citano Street Fighter, Gary Daniels, Richard Norton, Chuck Norris, Scott Adkins??? Grazie per tutto questo bendidio 🙂
Aggiungo un grazie per la citazione, tra l’altro del mio ultimo post zintage (forse recensii anche Bushido ma non sono sicuro)! 🙂
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Chiedo venia per la dimenticanza e ho aggiornato il post: è vero, il mitico Bushido era già finito nella rete di Willy! ^_^
Che rabbia averlo registrato su cassetta solo per non riuscire a conservare quell’unico passaggio al mondo…
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Figurati, anzi, grazie per l’aggiunta! 🙂
Trattasi di film a me caro e rileggere la recensione (autoincensamento in corso) mi ha divertito molto! 🙂
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Il City Hunter di Chan lo ricordo solo per la sequenza al cinema e quella omaggio a Street Fighter.
Se vuoi un bel film su City Hunter, è uscita la versione francese, molto fedele al Ryo Saeba originale (ora mi sfugge il titolo), uscito l’anno scorso
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Non mi interessa City Hunter, negli anni Novanta ho visto qualche puntata che mi ha fatto sorridere ma in genere è un personaggio per cui non provo alcun interesse.
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