Cyborg (1989) L’alba del Kung Fu-ture

La saga dei Trancers mi ha fatto ricordare di un passato in cui esisteva un futuro, distopico ma soprattutto “di menare”, un momento dei primi anni Novanta che ho avuto l’onore e il piacere (purtroppo all’epoca inconsapevole) di veder nascere e crescere, prima di scomparire per sempre.
Già alcuni titoli sparsi li ho recensiti, ma è il momento di dare un’occhiata più ragionata, partendo dalla genesi di tutto.

Difficile spiegare cosa sia stato Van Damme in Italia a chi non l’ha vissuto: esploso in un lampo tra i fan – le fonti di informazione cinematografica italiana l’hanno totalmente ignorato fino al 1995! – il segno che i suoi film avessero qualcosa in più si misura con più fattori. Per esempio i distributori nostrani recuperavano suoi vecchi film ignorati dove faceva una particina e li pompavano, comportamento storicamente dedicato ai grandi attori di richiamo. Ma a differenza di tutti gli altri eroi, una curiosità dimostra il livello raggiunto dalla “vandamme-mania” dei primissimi anni Novanta: un giorno camminando per strada trovo un venditore ambulante… con la VHS pirata di Cyborg.
Il film del 1989 non è uscito nei nostri cinema ma direttamente in videoteca, e di solito le cassette pirata si facevano solo per i film proiettati in sala: che senso ha comprare pirata qualcosa che puoi trovare normalmente in qualsiasi videoteca? Eppure l’esplosione era tale che di Van Damme c’erano versioni pirata anche delle uscite home video.
Anche perché la VHS originale dovevi riconsegnarla, dopo vista: quella pirata ancora campeggia nella mia collezione, con tanto di locandina a colori…

Se addirittura un Paese notoriamente distratto come l’Italia si era reso conto che il pubblico adorava Van Damme e che quindi c’era da fare soldi a distribuire suoi film – era anche appena nato l’home video in vendita economica, che i film di J.C. cavalcarono alla grande – stupisce che invece lo “scopritore” del belga sia stato quello che meno di tutti ne abbia capito le potenzialità: Menahem Golan.
Una vecchia volpe del cinema come Golan, che da solo aveva inventato il cinema di serie B ad uso e consumo degli spettatori invece che dei critici, l’unico che sapesse convincere grandi star a lavorare con lui (semplicemente sparandole grosse), con il giovane Van Damme non sapeva che farci.

Da “HorrorFan” n. 1 (dicembre 1988)

Leggenda vuole che venne avvicinato da lui al ristorante e, vistolo in spaccata sul tavolo, si sia convinto che poteva essergli utile. Quando però Van Damme raccontava questo aneddoto si dimenticava di far notare che la storia non aveva lieto fine: quanto può aver colpito un produttore che poi lo prende e lo butta a fare da tappezzeria in un paio di film? Per ballare sulla spiaggia sullo sfondo di Breakdance (1984) non servono chissà che doti marziali.
Jean-Claude, probabilmente deluso dal trattamento, provò anche la strada di Hong Kong ma non funzionò: e sì che lì cercano appositamente occidentali con la faccia da pesce lesso e con zero capacità recitativa. Eppure non l’hanno voluto…

Non si sa cos’abbia spinto Golan comunque a fargli girare Bloodsport, né perché poi abbia ritardato a distribuirlo: fatto sta che quando finalmente nel 1988 il film viene distribuito in sala è un successo senza precedenti, che pure Golan capisce.
La mia idea è che Golan avesse un concetto delle arti marziali distorto, come lo spettatore medio: per lui un combattimento marziale era quello di Chuck Norris, che tira mezza tecnica e casca per terra, o quello di Michael Dudikoff, che mima mezza tecnica o poco più: un’esecuzione tecnicamente perfetta di una tecnica nessuno l’ha mai vista in un film occidentale. Van Damme non è uno dei campioni del ring già apparsi al cinema, ogni suo credito marziale sarà solamente millantato, ma ha un’eleganza che semplicemente non è mai esistita sugli schermi occidentali, e Bloodsport con tutti i suoi innegabili difetti è un’esplosione.
Il decennio ninja è ormai defunto per colpa delle tartarughe ma dalle ceneri nasce la voglia di un nuovo tipo di marzialità, e se Golan non sa capire Van Damme… di sicuro sa capire il suo pubblico. Tocca tirar fuori un’altra roba dove ci si meni.

Golan è lì, alla sua scrivania con il pallottoliere che si strappa i capelli. Com’è possibile che tutti i ragazzini del mondo vendono la madre per comprarsi i pupazzi di Masters of the Universe e il film è stato un insuccesso clamoroso che non è rientrato manco dei costi? E com’è possibile che una baracconata di attori improvvisati come Bloodsport abbia guadagnato undici volte il proprio budget?
Pare che la Mattel, delusa dal risultato del film sui Masters, all’ultimo secondo abbia tolto la licenza a Golan proprio mentre si stava per partire a girare il relativo seguito, quindi ora il nostro Menahem ha assolutamente bisogno di un film fanta-qualcosa per usare tutto quel materiale: basterebbe il primo stronzo che passa con una sceneggiatura sotto il braccio… e passa Albert Pyun!

Intervistato da Jeff Menell della rivista “HorrorFan” (n. 1, 1988), Pyun racconta che lui stesso avrebbe dovuto girare Masters Part II ma quando il progetto si è arenato ha subito piazzato davanti agli occhi di Golan un proprio copione: Heat Seekers. (Titolo che Pyun riciclerà per un suo film molti anni dopo.) A Golan piace, ma forse quello che piace è il ridicolo budget di 1,5 milioni di dollari (IMDb dice pure di meno), una barzelletta. In fondo scenografie, fondali, effetti speciali, costumi, trucchi, era tutto pronto per un film che non si farà mai e può essere tutto riciclato per il nuovo titolo Cyborg.
Sarebbe bello sapere chi ha scelto questo titolo definitivo, perché è davvero un altro elemento innovatore del film.

Il termine “cyborg” viene citato una volta sola in Robocop (1987), storia del più famoso cyborg del cinema. Noi italiani, cresciuti con i cartoni animati giapponesi, conoscevamo bene la serie “Cyborg 009” ma in generale c’era ancora parecchia confusione con i termini.
Come più volte detto gli anglofoni hanno idee tutte loro sul significato delle parole, e le usano senza mai consultare un dizionario: preferiscono inventarsele, nel caso. Così gli anni Ottanta sono stati un momento molto creativo: nel 1982 nasce replicant, nel 1984 gynoid ma sottotraccia, con un utilizzo minimo e probabilmente “non ufficiale”, rimane una parola nata dai fumetti Marvel degli anni Settanta: mandroid.
A questi termini si uniscano quelli più storici come robot e android: questa ricchezza lessicale purtroppo corrisponde a grande confusione dei significati, e in pratica ognuno usa come gli pare le parole. Così Cameron nel 1984 chiama cyborg il suo terminator, che non lo è affatto.

Una ginoide o un cyborg?

Non è chiaro se il termine cyborg di Pyun sia stato scelto perché ancora relativamente inedito al cinema – è rarissimo trovare film precedenti con quella parola nel titolo, e spesso sono roba italiana – né se il suo uso sia corretto, visto che Pearl Prophet si presenta definendosi “creata in laboratorio” ma in realtà è una donna normale a cui è stato impiantato un archivio digitale nella testa. «È una donna che si è sacrificata per salvare l’umanità» la descrive Pyun nella citata intervista, facendo dunque legittimamente pensare ad un uso corretto del termine, trattandosi cioè di un “organismo cibernetico”, una donna umana potenziata.
Quel che importa è che il bilancio fatto da Golan ha un unico risultato: bisogna far fare qualcosa di marziale a Van Damme. Di nuovo Golan non sa sfruttare la sua star, infilandola in un prodotto più che minuscolo: contemporaneamente Mark DiSalle e David Worth cuciono addosso al belga Kickboxer (1989) regalandogli fama eterna. Anche i Golan sbagliano.

Il film che ha inventato il “futuro di menare”

La storia è un classico del genere post-atomico, con la differenza che il mondo non è stato distrutto da una guerra ma da un virus: il che, di questi tempi, qualche brividino sulla schiena lo fa venire.
L’umanità come al solito è tornata alla barbarie e a tribù di variopinti cattivi: nei piani iniziali la banda del perfido Fender è composta da cannibali ma mai durante la storia questo elemento viene alla luce. Così come la discutibile idea di chiamare i personaggi con nomi di chitarra – perché Pyun è leggermente appassionato dello strumento – viene notata nel film, visto che nomi ridicoli come Gibson Rickenbacker non vengono mai pronunciati.

Il copione riporta “Gibson Rickenbacker”, ma per fortuna nessuno lo chiama così

Il giovane Gibbs (Van Damme) è uno che aiuta la gente ma tempo addietro si è trovato sulla strada del perfido Fender (il ruolo della vita del caratterista Vincent Klyn, presenza costante dei film di Pyun) e a momenti ci lasciava la pelle. Salvo per miracolo ma viste morire tutte le persone che ama… niente, non succede niente. Dovrà aspettare di rincontrare Fender e di mettere a rischio di nuovo chi ama per decidere ad affrontare il cattivo.

Il ruolo della vita per Vincent Klyn

Intanto il motore della storia è la citata Pearl Prophet (Dayle Haddon), donna-cyborg che porta con sé la formula per curare il virus e dare speranza all’umanità: Fender la vuole per essere così il signore assoluto del mondo. Un signore crudele, ovviamente.

Fender con una chitarra a mitraglia! (da “HorrorFan” n. 1, dicembre 1988)

Quant’era disperato Menahem Golan per affidare ad un giovane come Pyun questa produzione scollacciata? Un giovane con tante idee (spesso balzane) ma poca tecnica, che sta ancora studiando il mezzo e forse non ha ben chiaro cosa stia facendo. Eppure quello che è probabilmente fra i film Cannon meno Cannon di sempre ha una particolarità che l’ha sollevato su tutto e tutti: una particolarità indescrivibile se non come “Stile Pyun”.
Con gli strumenti nati da un film per ragazzini con battutine da scuola elementare come Masters of the Universe, Pyun ci porta in un mondo cupo e senza speranza, fatto di violenza e di morte ma anche di amore, seppur sempre infranto. E ci aggiunge anche elementi mistici come la crocifissione.

Come fa un insulso filmucolo ad avere scene così potenti?

Non sto dicendo che Cyborg sia un filmone, basta guardare la rozzezza con cui sono costruite le scene per capire che è l’opera di chi sta ancora imparando, di chi alterna inquadrature sbagliate che sembrano finite lì per caso ad altre invece ispirate e ben costruite. Però al contrario di tanti filmacci girati al volo questo ha cuore, e lo si sente battere sotto ogni scena.

Uno dei rari combattimenti del film

Malgrado Van Damme sia un tubero immobile per l’intera durata del film e quelle due o tre battute che dice era meglio se non le avesse dette, l’aurea da eroe cupo ce l’ha tutta e in quei rari momenti in cui finalmente Pyun dà il via libera all’azione il belga è pronto a inventare il genere “Kung Fu-ture“.

da “Starlog Magazine” n. 138 (gennaio 1989)

Mai si era visto un film di fantascienza, tanto meno post-atomica, in cui ci si picchiasse a mani nude, con la possibile eccezione di qualche scena ammiccante di Alba d’acciaio (1987) con Patrick Swayze.

Il primo di tanti scontri fra Van Damme e Miltsakakis

Prima dell’uscita, alla stampa venne detto che ci sarebbero state ben 40 scene di combattimento, segno che è quello che il pubblico voleva: come mai non c’è neanche l’ombra di tutte quelle scene? Probabilmente Pyun non era interessato alla lotta quanto al percorso oscuro dei suoi personaggi, fatto sta che rimangono pochi e rari secondi di marzialità nel film: stupisce che con così poco il film abbia ottenuto così tanto.

Solo il genio di Albert Pyun poteva concepire qualcosa del genere

Grazie a caratteristi granitici come Ralph Möller e Stefano Miltsakakis – entrambi poi richiamati da Van Damme in film successivi – le scene d’azione sono efficaci seppur brevi. Pyun si lamenterà del montaggio finale del film (rimontandoselo per conto suo), segno che come Golan manco lui ha capito a chi si stava rivolgendo. L’aveva capito solo l’ufficio stampa, che infatti strillava ai quattro venti come questo fosse un film pieno di gente che si mena.

Un montaggio serrato non riesce a nascondere una delle tecniche famose di Jean-Claude

La prima volta che ho visto il film la delusione è stata cocente. Ma che è ’sta roba? Sempre meglio del film dei Masters, va bene, ma io voglio vedere Van Damme che vola e qui grasso che cola se ci sono tre tecniche in totale.
Solo con il tempo ho potuto apprezzare lo stile di Albert Pyun, un genio minuscolo che sa dare profondità anche a storie minuscole, capace di inserire visioni mistiche che danno un innegabile valore aggiunto anche a prodotti totalmente privi di valore.
Malgrado non fosse sua intenzione, Albert Pyun ha inventato il “futuro di menare” e ha dato vita alla fantascienza marziale che negli anni Novanta tanto successo ha avuto, prima di scomparire per sempre. Un risultato non disprezzabile.

da “Starlog Magazine” n. 138 (gennaio 1989)

L.

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24 risposte a Cyborg (1989) L’alba del Kung Fu-ture

  1. Willy l'Orbo ha detto:

    Dopo western, il corvo e discussioni sul Van Damme melodrammatico…Cyborg ci sta proprio bene! 🙂
    Interessanti gli aneddoti (l’ormai mitica spaccata sul tavolo ricorre come non mai), la storia iniziale, il discorso etimologico sui vari termini “made in fantascienza”, l’analisi del film, le citazioni (dai Masters a un Heatseeker che suppongo sia quello da me recensito)…interessante tutto!
    Un ottimo modo per iniziare la giornata 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Mi piacerebbe recuperare i vari “figli” di questo film, vediamo come va 😉

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      • Willy l'Orbo ha detto:

        Sarebbe una mission Z degna di essere compiuta! 🙂

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      • Giuseppe ha detto:

        Beh, potrebbe essere divertente partire da questo Cyborg “rozzo ma con il cuore” (concordo, ovviamente) per ricordarne anche i suoi figlioli successivi… comunque non brutti, sempre nei limiti di produzioni a costi contenuti. Il secondo, in particolare, con un piccolo cameo “artificiale” di JCVD: alla ginoide Angelina Jolie, infatti, vengono brevemente mostrate le memorie di Pearl Prophet con un primo piano del nostro menatore incompreso 😉
        P.S. Vincent Klyn, qui, è uno stronzo di primissima categoria…

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  2. Cassidy ha detto:

    Kung Fu-ture dovresti brevettarlo, per il resto grandissimo post, quando affronti JCVD hai una marcia in più. Albert Pyun manca, manca davvero molto, oggi possiamo solo sognarcelo 😉 Cheers!

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  3. Conte Gracula ha detto:

    Mi raccomando, bambini, se volete fare le star nei film di menare, fate spaccate ovunque: in fila al cinema, al fast food, dal proctologo…
    Prima però pompatevi come ginnasti olimpici, sennò finirete a fare gli appendiabiti!

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  4. Fabio ha detto:

    A questo film, che reputo il peggiore del periodo aureo di van Damme (1988-1994), ho sempre preferito il seguito, con una giovanissima Angelina Jolie e Jack Palance ma senza il belga

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  5. Phil ha detto:

    Cyborg è un grande piccolo film, ad avercene oggi di Pyun e di Cyborg. Pyun poi è sempre stato un regista di serie B ma ha sempre avuto un suo stile ben distinto e per niente scontato, ma soprattutto ha sempre avuto un fantastico gusto per la fantascienza e il cyberpunk. Anche cyborg ha alcune scene magnifiche, come quella in foto con Van Damme a gambe divaricate con il coltello in mano.
    Grande rece comunque.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ti ringrazio, e sebbene all’epoca non lo apprezzavo a dovere ho imparato ad amare Pyun, grazie soprattutto agli altri autori del periodo, al cui confronto Albert svetta supremo!
      Cyborg ha parecchie ottime inquadrature e scene sapientemente studiate, alternate però ad altre un po’ più rozze che denotano un autore esordiente ma talentuoso.

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